Читать книгу La Proposta Del Miliardario - Jambrea Jo Jones - Страница 10
ОглавлениеCapitolo Due
El rimase in piedi davanti alla scrivania del signor Marlow finché non gli venne detto di sedersi. Giocherellò con i polsini della camicia e lisciò il tessuto dei pantaloni per cercare di calmarsi. Non funzionò. Il suo cuore batteva troppo forte e riusciva a sentire le goccioline di sudore scendergli lungo la schiena. El aveva una cotta per il “grande capo”… non che quell'infatuazione potesse evolversi in altro. Era solo un dipendente dell'azienda, mentre Remington Marlow era un miliardario che poteva avere qualsiasi uomo volesse. Inoltre, El era lì per parlare di lavoro, non per fare il punto sulla propria vita sentimentale. Doveva iniziare a parlare e chiedergli di poter fare delle ore extra. Doveva fare in fretta per poter tornare a casa e controllare la salute di sua madre. Non aveva tempo di pensare a qualcosa che ovviamente non sarebbe mai accaduto. Doveva concentrarsi sulle cose pratiche. Le fantasie e i sogni non facevano più parte della sua vita da un bel po' di tempo.
Poi, Remington Marlow fece la cosa più sbagliata. Sorrise.
Dio.
Il cuore di El aveva forse smesso di battere? Perché non riusciva né a sentirlo né a riprendere fiato. Il suo cervello smise di funzionare e, per un breve attimo, non riuscì nemmeno a ricordare perché fosse lì. Merda. Doveva andarsene da quell'ufficio prima di rendersi completamente ridicolo. Si sarebbe ritrovato senza un lavoro nel giro di un battito di ciglia, se il “grande capo” si fosse accorto dei suoi pensieri.
“Allora, come posso aiutarti?” chiese Remington, unendo le dita sopra la scrivania e fissandolo in modo penetrante.
“Io…” El si schiarì la gola. “Vede, mi chiedevo se fosse possibile fare qualche altra ora di straordinario. Abbiamo alcuni nuovi progetti sui quali potrei lavorare fuori orario d'ufficio.”
Ecco fatto. Era riuscito a dirlo senza troppi problemi. Sperava solo che la sua faccia non fosse diventata troppo rossa e che la voce non avesse tremato tanto quanto l'avevano percepita le sue stesse orecchie. Sarebbe stato imbarazzante. Era un dipendente specializzato, dannazione, doveva comportarsi come tale.
“Ho capito. Fammi controllare un paio di cose.” Il signor Marlow si voltò verso il computer e premette alcuni tasti, poi si accigliò. “Mi dispiace. Sembra che tu abbia già raggiunto il numero massimo di ore lavorative settimanali.” Digitò qualcos'altro.
El si coprì il viso con le mani e chiuse gli occhi. Avrebbe dovuto trovarsi un secondo lavoro e non poteva più permettersi di lasciare sua madre da sola, anche se a lei andava bene. El aveva bisogno di essere al suo fianco per aiutarla.
Non avevano bisogno di nessun altro e, se avesse chiamato la casa di riposo, sarebbe stato come ammettere di aver perso. Uno dei vantaggi di quel lavoro era la possibilità di lavorare da casa. L'azienda offriva ai dipendenti dei computer per poter accedere al sistema in modo da continuare a lavorare ai progetti di cui si stava occupando, anche se non era più nell'ufficio. Aveva cercato di non abusare di quel privilegio ma, con sua madre sempre più malata, era stato costretto a fare di tutto pur di stare con lei. Le ore di straordinario potevano essere svolte a casa, ed era proprio quello che El aveva sperato di poter ottenere andando a parlare con il grande capo. Non poteva trovare un altro impiego, perché sicuramente avrebbe richiesto la sua presenza fisica sul posto di lavoro.
Questa giornata può peggiorare ancora?
Sospirò e si asciugò le mani sulle cosce, poi si alzò e tese la mano. “Mi scuso per il disturbo. Grazie per il suo tempo, signor Marlow.”
“Non avere fretta.” L'uomo tamburellò con le dita sulla scrivania. “Siediti, per favore.”
Il signor Marlow lo stava fissando così intensamente da metterlo un po' a disagio. El si voltò per andarsene. Doveva uscire. Subito. Se non lo avesse fatto avrebbe rischiato di fare qualcosa di cui si sarebbe senza alcun dubbio pentito. Quindi doveva uscire da quell'ufficio e cercare subito un secondo lavoro. “Ho davvero bisogno di fare la pausa pranzo. Io ho…”
Il signor Marlow si alzò e gli si avvicinò. “E se avessi una proposta per te? Non voglio immischiarmi nella tua vita privata, ma quanto hai bisogno di lavorare?” Si avvicinò al bordo della scrivania e si sedette, le braccia incrociate sul petto.
Quello lo sorprese. Cosa aveva intenzione di fare il suo datore di lavoro?
“È personale.” El tornò verso la sedia. Qualcosa nel modo in cui il signor Marlow lo stava guardando lo metteva a disagio. Non riusciva però a capire cosa e non poteva permettersi di offendere il proprio datore di lavoro. Se fosse stato costretto a ricominciare da capo da qualche altra parte si sarebbe ritrovato ben più indebitato di quanto fosse in quel momento. Stava cercando di fare del suo meglio con quello che aveva e non aveva mai chiesto un congedo familiare o un giorno di permesso. Nessuno all'interno dell'azienda sapeva di sua madre, tranne Sara Jo, e El aveva intenzione di continuare a tenere le cose nascoste.
Il signor Marlow sollevò entrambe le mani. “Ho una proposta da farti. Ma voglio innanzitutto dirti che quello che sto per chiederti non influenzerà in alcun modo il tuo lavoro, soprattutto se rifiuterai. Capito?”
El annuì. Sentiva una strana sensazione di pesantezza nello stomaco, come se qualcosa che non doveva essere lì si stesse muovendo all'interno.
Cosa diavolo ha intenzione di chiedermi?
“Bene. D'accordo. Voglio che tu venga a vivere con me.”
“Cosa?!” El si alzò così in fretta che la sedia sulla quale era seduto si spostò indietro.
“Un attimo, in quel modo suonava strano. Voglio che tu finga di essere il mio ragazzo. Vieni a vivere con me per un po' e aiutami a convincere mio padre che ho deciso di mettere la testa a posto e che ho trovato un ragazzo.” Il signor Marlow lo fissò negli occhi.
“Io… cosa… non… Perché?” Quello doveva essere un incubo. Per quanto ne sapeva, la mossa successiva sarebbe stata trovarsi nudo nel bel mezzo del liceo che aveva frequentato a cercare di rispondere a una domanda impossibile del professore.
“Non devi rispondermi subito. Prenditi un giorno o due. Aspetta! Non hai un compagno, vero?”
E me lo chiede ora?
El tornò a sedersi. Un compagno? Come se ne avesse il tempo. E non doveva pensare all'assenza di vita sentimentale subito dopo aver sentito la proposta del suo datore di lavoro. Avrebbe dovuto sentirsi indignato.
“Guarda, vai a pranzo. Pensaci. Quando avrai una risposta, fammela sapere. Ti darò altri dettagli in quel momento. Ti farò sapere, eventualmente, quello che ti aspetta. Possiamo stipulare un contratto. Come ho detto, questo non influirà in alcun modo sul tuo lavoro. Mi faresti un enorme favore e io in cambio ti aiuterei con i soldi extra di cui hai bisogno. Non posso davvero farti fare altri straordinari, in questo momento, quindi non la sto usando come scusa.”
Il signor Marlow si alzò e gli tese la mano. El si alzò a sua volta e la strinse, poi si voltò e se ne andò.
Non aveva nient'altro da dire. Non riusciva a dire altro. La sua mente era in subbuglio. Era entrato in quell'ufficio intenzionato a chiedere ore extra di lavoro e ne era uscito con una proposta di fidanzamento.
Solo per finta.
Non sarebbe stato qualcosa di reale. E aveva sua madre a cui badare. Cosa ne avrebbe pensato lei? Non c'era modo che El le mentisse su qualcosa. Le era rimasto troppo poco tempo.
* * * *
El tornò a casa alcune ore dopo. Cercò di fare meno rumore possibile perché non sapeva se sua madre era sveglia oppure no. Avrebbe impiegato comunque pochi minuti per scaldarle la minestra. Sua madre probabilmente non avrebbe avuto fame ma El sperava di riuscire a convincerla a buttare giù perlomeno un paio di cucchiai di brodo.
Entrò in cucina e tirò fuori la minestra che aveva cucinato quel fine settimana. Ne faceva sempre un bel po', per velocizzare la preparazione dei pasti nei giorni successivi, quando aveva meno tempo. Avrebbe dovuto preparare qualcosa anche per sé ma ci avrebbe pensato più tardi. Avrebbe mangiato mentre tornava in ufficio. Mangiare di fretta e accontentarsi di quello che trovava era un'abitudine che aveva preso quando sua madre era peggiorata.
Prese una ciotola dal mobiletto. Avrebbe tanto voluto scaldarla sui fornelli ma non ne aveva il tempo. Se avesse avuto abbastanza soldi…
Soldi.
Forse non doveva pensarci, perché altrimenti sarebbe tornato di corsa in ufficio e avrebbe accettato tutto quello che gli aveva offerto il suo capo. Non doveva buttarsi a capofitto in quel modo. Cosa sarebbe accaduto a sua madre? Doveva parlarne prima con lei. E restava comunque un'idea folle. El si chiese come fosse venuta in mente al signor Marlow. Forse avrebbe dovuto chiederglielo prima di dargli una risposta.
Riempì la ciotola con la minestra e si voltò verso il microonde per scaldarla. A sua madre non piaceva che fosse troppo calda, così l'avrebbe lasciata raffreddare un po' sul tavolo mentre andava a svegliarla. Dovevano parlare, voleva sentire cosa ne pensava lei di tutta quella situazione.
Ma se si fosse trattato davvero di una buona proposta? E se in quel modo avesse potuto ottenere i soldi necessari per quel farmaco sperimentale? Forse avrebbero potuto permettersi anche di pagare un'infermiera che andasse a casa loro un paio di giorni a settimana. El avrebbe usato tutto l'aiuto che sarebbe riuscito a trovare.
Però, quando sembrava troppo bello per essere vero, di solito era troppo bello per essere vero. Lo aveva sentito ripetere spesso da sua madre nel corso degli anni.
Il bip del microonde lo fece sobbalzare.
“El? Sei tu?” Riuscì a sentire a malapena la sua voce giungere dalla sua stanza.
“Sì, mamma. Ti ho scaldato un po' di minestra.”
“Non ho fame.”
Suonava un po' meglio di quel mattino. La sua voce non si era spezzata mentre parlava. Forse quello era uno dei giorni sì, per lei. Afferrò il guanto da forno e tolse la zuppa dal microonde.
“Forse tra un po' ti verrà fame. Comunque adesso è troppo calda per essere mangiata, lasciala raffreddare.” El entrò nella sua stanza.
Sua madre si mise a sedere sul letto. Era debole e aveva davvero bisogno di mangiare. Se non lo avesse fatto, non sarebbe riuscita a trovare le energie necessarie per sopportare le controindicazioni dei farmaci.
“Va bene. Appoggiala pure lì.” Indicò il comodino.
El avrebbe fatto di tutto per lei, anche trasferirsi a casa del suo datore di lavoro in modo da poter ricevere i soldi che lui gli aveva promesso. Ci stava davvero pensando? Sì, lo stava facendo. Per far stare meglio sua madre e allungarle la vita, avrebbe fatto ogni cosa. Non era ancora pronto a dirle addio. Fanculo al cancro.
“A cosa stai pensando così profondamente?”
El si riscosse e spostò la poltrona reclinabile vicino al letto in modo da potersi sedere accanto a lei.
“Ho chiesto altri straordinari.” Scrollò le spalle come se non fosse un grosso problema.
“Oh, El, no. Dovresti usare quel tempo per fare qualcosa di divertente.”
“Quello di cui ho bisogno è che tu stia bene.” Le sorrise.
“Si vive solo una volta. Io dovrei saperlo meglio di chiunque altro. Ci sono un sacco di cose che avrei dovuto fare prima di ridurmi in questo modo.” Tirò più su la coperta, strattonandola con le dita.
“Tipo cosa?” El era curioso. Sua madre non aveva mai parlato di quello che le sarebbe piaciuto fare, probabilmente perché non avrebbe potuto comunque farle, dato che era una madre single. Forse temeva che El si sarebbe incolpato per questo.
“Viaggiare. Non avrei dovuto preoccuparmi di non avere i soldi. Parigi, Nuova Zelanda, Giappone… Ci sono così tanti posti da vedere al mondo. Una volta che me ne sarò andata, tu…”
“Non dire così.” El non riusciva a sopportare il pensiero di una vita senza di lei.
“Devi essere realistico, tesoro. Quando me ne sarò andata, dovrai viaggiare… o comunque fare quello che avresti voluto fare ma che hai sempre rifiutato. Dovrai goderti la vita.”
El odiava sentirla parlare così. Aveva lo stomaco sottosopra e voleva disperatamente piangere. Era sua madre. Non poteva lasciarla andare. Non ancora.
“Va bene.” Per il momento era meglio assecondarla, così avrebbero potuto chiudere quel discorso tanto penoso. “È successa una cosa strana al lavoro. Quando ho chiesto al mio capo di avere altri straordinari, mi ha risposto che avevo già raggiunto il numero massimo di ore lavorative.”
“Bene!”
El emise una risata. Quella era sua madre.
“Comunque, mi ha detto che aveva una proposta da farmi.”
“Sta diventando interessante.” Sua madre si sfregò le mani.
“Senti prima quello che mi ha proposto. Vuole che mi trasferisca a casa sua.”
“Aspetta, cosa? State uscendo insieme? Non mi avevi detto di avere un ragazzo.” Sembrava un po' confusa e anche un po' offesa.
“No, non stiamo uscendo insieme. Vuole che io sia il suo 'finto' fidanzato.”
“Perché?”
“Non gliel'ho chiesto. Ero troppo shoccato dalla sua proposta. Mi ha detto che mi avrebbe pagato, perché ho bisogno di soldi. Dovrei solo trasferirmi da lui e fingere che stiamo insieme.”
“Fallo.”
El era sconvolto. “Cosa? Mi stai prendendo in giro?”
“Certo che no. Accetta la sua offerta.”
“E tu?”
“Chiama la casa di riposo.”
“No.” Non poteva farlo. Non ancora.
“Allora chiama una di quelle infermiere a ore. Sono abbastanza sicura che siano coperte dall'assicurazione. Controlla. Ma voglio che tu accetti la sua proposta. Fallo per me. Non voglio che tu rimanga solo.”
“Mamma, non hai sentito la parola 'finto'?”
“L'ho sentita. Ma non si sa mai cosa può accadere. Fidati di tua madre.”
“Questo non è un romanzo rosa. Mi trasferirò solo per un periodo di tempo limitato. Firmeremo un contratto. Sarà tutto stabilito a tavolino.”
“Sarà meglio che ti dia da fare, allora. Ho visto il tuo capo. È sexy.”
El sospirò. “Devi proprio sentirti meglio.”
“La vita è breve, tesoro. Devi divertirti.”
Divertirmi. So ancora come si fa?
Sua madre gli aveva appena detto di accettare la proposta, e lei era l'unica persona al mondo a cui non riusciva a dire di no. Ma a quale prezzo?