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CAPITOLO TRE
ОглавлениеJANICE LO VIDE attraverso la vetrina prima di entrare. La faccia tosta â sedersi nel suo posto preferito, rilassarsi su quella sedia nonostante appartenesse a lui. Lo vedeva di bellâaspetto del tipo carnagione scura, come Pierce Brosnan se avesse avuto genitori greci, quel tipo di mento scuro irsuto e la nera peluria spessa. Gli abiti sembravano cadergli bene addosso, mostrando il suo petto robusto e i suoi fianchi stretti, quelli di un uomo che si manteneva in forma, non un ragazzo senza struttura. Non aveva nessun angolo morbido, era definito e spigoloso e i suoi occhi sembravano guardarti dentro.
Poteva essere interessante. Bello conoscere un uomo che potrebbe prendere il comando, per una volta. Vide questo in lui, quella brama di dominare, di fare andare le cose a modo suo. Le sarebbe potuta piacere la sfida, se non avesse avuto altri piani.
Così eccolo lì, ad alzare gli occhi dal suo libro ora, vedendola e sorridendole allo stesso tempo, sapendo che avrebbe varcato la soglia, e aspettando solo che lei arrivasse. Il sorriso non ha toccato il suo sguardo, pensò lei, era qualcosa che aveva fatto con la bocca, un dovere sociale, prendendo atto che il gioco stava per iniziare.
Disse, âPensavo non saresti mai tornata, visto che sono stato così sgarbato e tutto il resto. Pensavo di avere rotto la magia.â
Lei guardò la sua camicia scollata, a mostrare un po' di peluria riccia affiorare, la giacca blu navy che indossava sopra che probabilmente era di Next e proveniente da un negozio di beneficenza, il libro ora a faccia in giù sul tavolo â Furore â e pensò a quello che faceva per vivere: perito assicurativo. Non se lâera bevuta. Lui si comportava come se avesse una missione, qualcosa che avrebbe fatto nella vita, un qualche posto dove sarebbe stato. Non era uno scribacchino o qualcuno che osservava cifre e faceva calcoli. Câera troppa vitalità nei suoi occhi. Qualcosa di sinistro ma intrigante.
Disse, âOffrimi un caffè.â
Lui la fissò per un momento ma poi sospirò e si alzò e andò al bancone facendole un cenno disinvolto mentre si metteva in fila. Non le aveva nemmeno chiesto cosa volesse. Probabilmente già lo sapeva dopo tutto il tempo passato a guardarla.
Non stare al suo gioco, diceva lei a se stessa. Non farti ammaliare.
Si sedette e prese fuori il suo Microsoft Surface Pro 3 portatile, aprì la tastiera flessibile e toccò lo schermo per evidenziare il file aperto. Appoggiò il suo smartphone Moto G sul tavolo accanto ad esso. Le piacevano i suoi congegni e conosceva i nomi e le caratteristiche di ciascuno di essi. E per qualche ragione voleva convincere questo Storey che era sincera, che era una giornalista per davvero, che il suo lavoro era in qualche modo importante. Di solito quando entrava da Starbucks scriveva il giornale, o talvolta lavorava a una delle sue didascalie. Le spie le chiamavano così â false identità create per salvarsi la pelle. Lei ne aveva circa dieci al momento e ogni giorno provava ad aggiungere un altro particolare, unâaltra caratteristica o eventi di vita, almeno a due delle identità . Inventandosi man mano.
Dandole qualcosa da fare mentre aspettava che David fosse cotto al punto giusto.
Storey tornò con il caffè per lei e un altro per sé.
Lei disse, âNon sei venuto per due giorni.â
âTi sono mancato?â
âNon mi può mancare qualcuno che non conosco.â
âDevo scusarmi con te.â
Lei stava mettendo dello zucchero nel suo caffè e si fermò.
Disse, âNon ti stavo pedinando. Non voglio che lo pensi. Mi è capitato solamente di essere qui quando sei entrata. Ho pensato che sembravi interessante. Sai cosa voglio dire, vedi qualcuno e pensi che ti piacerebbe conoscerlo, vedere come parla e cosâha da dire.â
Si appoggiò indietro e la guardò, come se pensasse di stare a farle un regalo.
Janice si trattenne un attimo, poi disse, âTi dispiace se mi metto a lavorare? Anche se mi piacerebbe stare qui a chiacchierare.â
Le piacque il modo in cui lui sorrise e poi scosse la testa con approvazione, come se la gara in cui si stavano misurando fosse avanzata di livello e lui sapesse che avrebbe dovuto alzare la posta in gioco. Ma non stare al suo gioco, non farti ammaliare.
Nellâaprire il portatile lo girò in modo che lui non potesse vedere lo schermo. Non câera scritto nulla sul documento a parte un titolo â Fasi successive â osservò la pagina vuota per un po', poi batté qualche tasto, mettendo per iscritto il suo nome attuale e il ruolo, tanto per fare qualcosa. Araminta Smith, giornalista. Si era imbattuta in questo nome in una recita che avevano fatto a scuola e le era sempre piaciuto. Sembrava di classe, la parte di Araminta.
Storey ignorò il suo distanziarsi, sollevò il suo libro e continuò a leggere.
Irritata nonostante dipendesse da lei, disse, âà bravo, Steinbeck?â
Lui abbassò il libro.
âHa vinto il premio Nobel per il suo peggiore romanzo. Immagina quanto è bravo. Hai visto Furore, il film?â
âPuò essere.â
âDuro come una roccia per essere un film hollywoodiano, ma addolcito rispetto al libro.â
Lei annuì e abbassò lo sguardo verso il suo schermo di nuovo. Non sapeva nulla di letteratura e iniziava ad allarmarsi quando le persone parlavano di libri, come se potessero porle una domanda a cui non sapeva rispondere. Non riusciva mai a leggere più di un articolo di giornale prima di addormentarsi. Un giorno avrebbe iniziato a concentrarsi su quella carenza e a correggerla. Un corso breve online probabilmente sarebbe bastato.
Lui colse lâoccasione della sua apertura. âCosì stai lavorando a un articolo, giusto? O è più banale â compleanni, morti, matrimoni?â
Lei disse, âNon capiresti.â
⦠poi si chiese perché lo avesse detto. La sua stessa contraddittorietà la sorprendeva a volte. Lui sembrava piuttosto perspicace, dunque perché cercava di indisporlo?
Piegò lo schermo verso di sé. âNon posso dirti molto perché è ancora in fase di sviluppo. Sto facendo ricerca, parlando con le persone.â
âDammi un indizio, così non mi offendo.â
Lei esitò, poi disse, âSi tratta di corruzione nellâamministrazione locale. Non posso dire di più.â
âCe nâè molta a Coventry?â
âNon lo so ancora. Per questo sto facendo ricerca.â
âConosci persone con cui poter parlare, persone con cui spettegolare? Ã quello che fai?â
Lei pensò che la sua curiosità era reale, ma non avrebbe ottenuto nulla di buono a lasciargli superare il limite. Ancora non sapeva niente di lui o di cosa volesse. Era bello che lui trovasse interessante parlare con lei, ma aveva troppo da fare e troppa carne al fuoco.
Disse, âCome dicevo, non posso parlarne. E non te lo direi nemmeno se potessi. Non ho idea di chi tu sia.â Fece una pausa, poi disse, âCosa intendevi quando mi hai detto che volevi vivere un giorno alla volta?â
Lui alzò le spalle. âNon prenderla seriamente. Sono un commediante. Dico un sacco di cose senza senso.â
âNon ti credo. Penso che tu sia molto serio.â Ora si stava infuriando, perché lui non stava prendendo lei sul serio, disse, âOk, questo mi ha fatto arrabbiare. Allora puoi lasciarmi da sola?â
âEro qui prima di te.â Non si arrese.
âHo bisogno del tavolo per lavorare. E poi, hai quasi finito il tuo caffè.â
Il suo volto si spense, spinse la sedia indietro e si alzò. Alla fine aveva vinto lei.
Disse, âResterò nei paraggi.â
âNon temporeggiare per meâ.
âTemporeggiare?â
âAspetta un attimo. Resta. Rimani dove non sei desiderato.â
âOh, sì, sei una scrittrice. Capisco.â
Raccolse la sua tazza di caffè, diede unâocchiata in giro nella stanza affollata e camminò fino a una sedia libera nellâangolo in fondo, vicino ai bagni. Lei notò di nuovo le larghe spalle e i fianchi stretti, una bella sagoma. Magari lo avrebbe intrattenuto unâaltra volta, quando sarebbe stata meno occupata.
O forse no.
PAUL SI CHIESE cosa stesse facendo con questa donna. Lei gli aveva fatto una semplice domanda qualche giorno prima e lui si era lasciato sfuggire cosa pensava: come poteva andare oltre, cancellare tutto? Non era nello stato mentale adatto per uscire con qualcuno ancora, ma lei aveva già creato una curiosità che non riusciva a togliersi. Seduta là , ticchettando alla tastiera, guardando fuori dalla vetrina, rifiutandosi di dare unâocchiata nella sua direzione, le sue gambe sotto al tavolo incrociate alle caviglie.
Notò che anche altri ragazzi la guardavano â per lo più studenti che avevano colonizzato il luogo, seduti avvolti nei loro montgomery, fissando il telefonino o parlando con altri vestiti esattamente come loro a parte le sciarpe di diverso colore che indossavano. Lei era una cosa a parte. Creava una sorta di aura intorno a sé, unâautosufficienza che parte di lui voleva scalfire.
Era interessante ⦠ed era falsa.
Non riusciva a spiegare come lo sapesse, ma capiva che lei stava fingendo di essere qualcosa che non era. Ti guardava di traverso, come se non potesse rischiare uno sguardo diretto, come se potesse rivelare troppo. Quando parlava, ti attaccava, tenendoti a distanza, tagliando ogni possibilità di amicizia.
Ma poi lui lâaveva guardata. Forse era sinceramente spaventata da lui, di cosa avrebbe potuto fare.
Da non credere, pensò. Cosa avrò mai fatto per spaventare la gente, a parte fargli saltare le cervella?
ORA UN UOMO camminò verso di lei. Aveva attraversato la porta di vetro e lâaveva vista subito. Non un omone, ma si atteggiava come se sapesse il fatto suo. Aveva una barba folta per lo più rossa, sebbene i suoi capelli fossero neri e lasciati crescere in giù a coprire la sommità delle orecchie. Indossava una giacca di pelle nera e jeans sdruciti. Aveva un corpo robusto sotto la giacca, e una certa andatura, che fece pensare a Paul che fosse uno allenato. Non appena giunse al tavolo della donna si guardò intorno, incrociò lo sguardo di Paul per un momento, poi avanzò. A Paul sembrò che avesse quella tensione scattosa di chi ha il sospetto di essere attaccato, magari di sorpresa, qualcuno preoccupato del suo stato.
Gli piaceva pensare di avere un talento nellâanalizzare le persone e il loro comportamento. Ma alla fine, pensò, chi non ce lâha?
Quando lâuomo arrivò di fronte a lei, lei smise di scrivere al computer e guardò in su, appoggiandosi allo schienale, con lâaria disinvolta, anche se non sorrise. Era qualcuno che conosceva ma che non voleva vedere.
Lei disse qualcosa e Giacca di Pelle si sporse in avanti sul tavolo, appoggiando le nocche ai due lati del suo computer. Lei stese un braccio e chiuse il computer. Lui disse qualcosa in risposta e Paul notò che le parole la colpirono â si aggiustò sulla sedia e le sue caviglie sotto al tavolo si scavallarono.
Ora lâuomo stava puntando un dito contro di lei, sventolandolo, e il borbottio basso della sua voce â che Paul aveva sentito ma non riusciva a distinguere â si fece più calmo. La donna distolse lo sguardo e Giacca di Pelle allungò la mano e toccò la punta del suo naso col dito, premendolo. Lei indietreggiò e disse qualcosa di sgarbato.
Paul si mosse dalla sua sedia e andò verso di loro, avvicinandosi allâuomo di lato. Sentì lâodore della pelle della sua giacca e quello fastidioso di un forte deodorante. La donna lo guardò e corrugò la fronte, ovvero un segnale per Giacca di Pelle di guardarlo.
âCosâhai da guardare?â
âSono più grosso di te. Non provocare discussioni.â
Allora lâuomo si girò, piegando il suo corpo in modo da trovarsi faccia a faccia con lui. Paul vide che i suoi occhi erano fieri e scuri, spenti nel profondo. Probabilmente aveva la stessa età di Paul, ma le rughe sul suo volto lo facevano sembrare più vecchio di dieci anni.
Giacca di Pelle disse, âVai a sederti in un angolo e faremo finta di non averti mai visto.â
âStai mettendo la ragazza a disagio e voglio che tu te ne vada.â
âQual è il tuo nome?â
âPaul Storey. Il tuo?â
âEâ Levati-Di-Torno.â
âI tuoi genitori ti hanno regalato unâinfanzia felice, non è vero?â
âEâ un tuo amico, Minty?â Si era girato a guardare la donna, ancora seduta, con le ciglia aggrottate in un modo che Paul stava cominciando a riconoscere.
Lei disse, âLascialo fuori, Cliff. Ci sentiamo più tardi.â
Cliff. Quello era un nome che non si sentiva spesso oggigiorno, pensò Paul, un nome degli anni Sessanta, ma era felice di avere un nome di riferimento.
Cliff disse, âTu non mi dici cosa devo fare â nessuno di voi. Se voglio entrare qui e parlare con te, lo faccio.â
âVai a casa, ti chiamerò.â
Cliff si girò per guardare Storey, date le sue dimensioni, in tutta la sua presenza. Paul non pensò che Cliff fosse intimorito, solo prudente. Probabilmente girava sempre con una banda, gente che lo avrebbe supportato o fatto quello che diceva. Gli aveva dato una tale confidenza che andava in giro come unâarma carica. Paul lo aveva già riscontrato in passato e non gli piaceva. Le persone che controllavano le altre in quel modo spesso avevano problemi a mantenere lâautocontrollo.
Cliff si mosse di nuovo e andò dallâaltra parte del tavolo, in piedi accanto alla donna, ridando unâocchiata a Paul. Disse, âNon mi piaci. Ma hai dello stomaco. Ci siamo conosciuti da qualche parte?â
âNe dubito.â
âSì, anchâio. Ma câè qualcosa in te che riconosco. Mi verrà in mente.â
âNon ci perdere il sonno.â
âOh, non lo farò.â Si girò e uscì dal bar come aveva detto, senza voltarsi indietro, sempre sicuro di sé.
La donna disse a Paul, âNon sederti, non avevo bisogno di un salvatore.â
âLo so.â
âAllora perché ti sei intromesso?â
âFa parte della mia natura.â
Lei lo osservò con il primo segno di curiosità che lui avesse visto da parte sua, come se avesse finalmente catturato la sua attenzione.
Lui disse, âSembrava che non volessi parlare con lui.â
âLo avevo turbato.â
âQualcosa che hai scritto?â
âNon esattamente. Puoi andare ora, per favore?â
Fece cenno di sì col capo ed era sul punto di andarsene quando gli venne in mente qualcosa. Disse, ââMinty?ââ
Lei guardò in su. âAraminta. Non ti preoccupare â non avrai mai lâoccasione di usarlo.â
âNome insolito per una scozzese.â
âNon per questa.â
âSei sempre così aggressiva?â
âSei sempre così stupido?â
Lui non disse nulla, la osservò mentre lei lo guardava, il suo sguardo sicuro, sapendo che stava cercando di manipolarlo. La stessa cosa che stava facendo lui con lei. Non era sicuro che fosse divertente, ma stava tenendo la sua mente occupata dalle altre cose. Come cosa avrebbe fatto della sua vita.
Senza cambiare la sua espressione, lei disse, âVediamoci più tardi. Per un drink.â
âVa bene. Dove?â
Lei gli disse il nome di un pub e gli diede lâindirizzo â non conosceva il posto ma conosceva la zona da quando era un bambino.
Lui disse, âTi lascio il mio numero,â e iniziò a pronunciarlo, poi si fermò per lasciarla prendere il telefono e segnarlo.
Lei lo fissò di nuovo, poi infine prese il suo telefono e annotò il numero. Una volta finito, disse, âNon è un appuntamento amoroso. Non ti vestire bene. Non so nemmeno perché lo sto facendo.â
âNon ci pensare troppo â rovinerebbe un bel momento.â
âSarò là dalle otto.â
âCome ti riconoscerò?â
âSarò quella che si fa gli affari suoi. Te lâho detto, non ti entusiasmare.â