Читать книгу Il Miraggio - Lucio d'Ambra - Страница 6
I.
ОглавлениеSeduto su un'ampia poltrona di cuoio a lato del suggeritore, col gomito poggiato sul bracciuolo di legno e la bella testa bruna sorretta dalla mano, giocherellando col bastone tenuto dalla sinistra, Giuliano Farnese assisteva faticosamente alla prova che procedeva senza inciampi, senza interruzioni, monotona, eterna, disilludente. Il palcoscenico era rischiarato da qualche raggio di sole che, filtrando a traverso il lucernario del teatro, indorava il pulviscolo ondeggiante su le lunghe file di poltrone ricoperte di velluto celeste, batteva e si rifrangeva su i lumi metallici della ribalta. Tutta la scena era rischiarata da quel sole invernale che diffondeva intorno una letizia insolita, come quella che spande nelle sognatrici anime dei pescatori, nelle chiare e bianche albe primaverili, su le spiaggie. Nell'alto del teatro qualcuno sbatteva il velluto di qualche poltrona. Su l'arcoscenico un operaio martellava, rialzando e piegando una stoffa: e questi due rumori cupi, insistenti, fastidiosi, distraevano il pensiero ed irritavano i nervi. Farnese, indifferentemente, seguitava a segnar geroglifici su la polvere delle tavole, geroglifici che poi cancellava col piede, ascoltando la sua prosa ripetuta prima dal suggeritore, poi dagli interpreti, scoloritamente, senza ispirazione e senza voglia.
Pochi attori erano sul palcoscenico del teatro Nazionale, quel giorno, pochissimi necessitandone alla nuova commedia di Farnese. Il sole, che sfolgorava raggi pallidi e tiepidi in quel pomeriggio di marzo, invitando all'esodo verso le vie luminose e verso le grandi piazze piene di luce e di vita, aveva sbarazzato il palcoscenico di tutti i piccoli attori ignoranti e tronfii, di tutte le minuscole attrici civette e mestieranti, che tumultuavano di chiacchiere, di risa e di frastuoni nei giorni in cui la pioggia grondava o la commedia in prova richiedeva un gran numero di commedianti. Erano rimasti sul palcoscenico solo gli attori principali, fra cui due attrici di prim'ordine; nel fondo, disteso sopra una tavola, un neofita della scena che recitava da poche sere, appassionato del teatro come di un'amante, ascoltava le parole ed osservava i movimenti, senza quasi batter ciglio, nel silenzio ora generale, finchè il secondo atto finì, con una scena ardentissima di passione, eseguita con foga magnifica da Claudina Rosiers. Solamente allora Farnese pronunziò un elogio. Il direttore del teatro, Savarese, stemperava i colori dei suoi complimenti meridionali per l'altra attrice seduta sotto una quinta. Allora Claudina Rosiers, d'una bellezza delicata e morbida, s'avvicinò a Farnese sorridendogli per la lode.
Giuliano Farnese, figura snella ed alta, colorito bruno e baffi castani fieramente rialzati come quelli d'un medioevale capitano di ventura, occhi azzurri, leggera barba a punta sul mento; insieme elegante delicato e forte; un gentiluomo, un poeta ed un moschettiere. Claudina Rosiers, alta e bionda, coi capelli d'oro e gli occhi bruni, con la bocca di un carminio acceso e dalle labbra tumide, maturi frutti d'amore; le luci degli occhi pallide a volte, a volte sfolgoranti, a volte truci svelavano l'anima dell'attrice, composta di sogno e di idealità, di ardore e di entusiasmo, di impassibilità e di crudeltà. Talora, sollevata in un cielo invisibile, le luci pallide dei suoi occhi interrogavano i misteri del sogno, inseguivano azzurre chimere, vedevan passare tumultuanti scorribande di illusioni; ma altre volte, invece, foschi e pure ardenti quegli occhi investivano la persona guardata di un ardore spirituale e fisico, di un incendio afrodisiaco; ed ancora altre volte, infine, quelle pupille bruciavano di minaccia, come sitibonde di dolore e di massacro, come regine della sofferenza; e al pari di quegli occhi, anche l'anima dell'attrice a volte era azzurra e perduta nel sogno e nella fantasia, a volte incendiata da un desiderio violento, a volte bramosa di fine e di lutto.
— Per ora, diceva ella a Farnese cui si era avvicinata con deferenza, per ora siamo avviati bene e siamo appena alla metà del lavoro di preparazione. Non vi pare? La Chimera deve avere un grande successo e l'avrà: un successo più largo, più grande, più intenso di quelli già magnifici che hanno portato il vostro nome alla gloria. Quando Savarese ebbe da voi una risposta affermativa alla sua richiesta di una commedia nuova, venni anch'io ad udirne la lettura, in casa vostra e senza conoscervi, ricordate? Come fui ardita! Ma non sono forse l'entusiasmo e l'ardire che sostengono nell'arte, mio caro maestro? E poi, era una commedia che mi riserbava una grande interpretazione ed era sopra tutto un'opera vostra! Come resistere? Venni, accompagnata da Savarese, e venni prevenuta molto bene; eppure, ogni mia aspettativa fu sorpassata. Ah, sento ancòra l'entusiasmo di quella lettura, mio caro Maestro!
La grande attrice lo chiamava «Maestro» per un'affermazione continua della sua ammirazione. Farnese, dapprima, se n'era schermito ridendo e protestando, ma l'attrice non aveva voluto e saputo rinunziare al piacere di quell'omaggio continuo, a confermargli sempre che ogni sua opera aveva avuto su lei un'influenza decisiva, e che la sua arte, il suo cuore ed il suo pensiero erano quasi stati creati ed alimentati da quelle opere.
— Anch'io vi vidi allora e v'udii recitare per la prima volta, rispose Giuliano Farnese. Anch'io attendevo una magnificenza, ma ogni mia aspettativa fu sorpassata.
Claudina Rosiers aveva da quattro mesi solamente esordito sul teatro con un successo strepitoso. Prima d'allora, quasi tre anni innanzi quella data, ella aveva recitato in una primaria compagnia drammatica, troppo sollecitamente e tragicamente disciolta dal colpo di rivoltella d'un grande attore. In quel tempo aveva recitato a fianco di una delle più care glorie della scena italiana, la signora Virginia Marini. L'eccellenza di questa attrice l'aveva persuasa a considerare sè stessa, la sua arte, la sua forza. Dopo questo esame, conscia della sua piccolezza, ella — esempio mirabile ed inimitato — lasciò le scene e per tre anni con le sue poche economie, viaggiò modestamente all'estero, vide ed udì attori ed attrici, assimilò il buono, respinse quanto le sembrava cattivo, studiò ininterrottamente ed enormemente, fatica ignorata e per questo più nobile. Poi si presentò a Savarese, dopo una lunga e triste odissea di rifiuti, in un momento in cui gli bisognava una grande attrice: il direttore dapprima sorrise, poi consentì ad udirla recitare ma sempre con un sorriso ironico a fior di labbra; però, dopo quell'audizione, stupito, meravigliato, gonfio di entusiasmo, avendo da vecchia volpe astuta annusato l'affare, scritturò l'attrice a condizioni per lei eccellenti; cominciò subito una rèclame esorbitante, così sfacciata, così insistente, che avrebbe potuto riuscire veramente fatale alla esordiente. Invece, la sera della sua prima rappresentazione a Milano, al teatro Manzoni, Claudina Rosiers ebbe decretato un trionfo portentoso, uno di quei trionfi tanto più solenni, quanto più giungono dopo aver vinto ostacoli altissimi di diffidenza, tanto più giocondi e festosi, quanto più non insperati ma inattesi. Ella aveva recitato in quella sera del novembre 1895 uno di quei fastidiosi pasticci ad effetto, che solo dal genio di un'attrice possono avere anima e bellezza, Adrienne Lecouvreur. Nella scena in cui Adriana, vedendo Maurizio di Saxe ch'ella ama, preso alle civetterie della duchessa di Bouillon, durante una rappresentazione di salone, recita gli stessi versi del Racine e finisce per insultare la sua rivale, dirigendole l'imprecazione della incestuosa regina raciniana, ella ebbe uno di quegli applausi inebrianti che in una vita d'artista nessun'altra gioia potrà mai far dimenticare. Il pubblico si era trovato innanzi alla potente espressione di un ingegno che, se ancòra un po' corretto e levigato, poteva divenire splendidissimo; la critica aveva trovato una terra vergine da sfruttare, gli eleganti e i damerini giovani e vecchi avevano intraveduta la possibilità di nuove conquiste, avevano trovato un nuovo campo di caccia. Tutto questo aveva concorso ad un successo che dalle poltrone era asceso alle gallerie, dai palchi aveva echeggiato negli atrii del teatro, era stato alimentato ancora più nei saloni e nelle redazioni dei giornali, nei clubs e nei caffè. In quei quattro mesi aveva percorso tutta l'Italia, precedendo, accogliendo e seguendo l'attrice illustre, divenuta così prontamente un astro fulgente su quell'orizzonte teatrale dove brillano e scintillano tante stelle di cartapesta, illuminate d'un falso bagliore dai riflettori elettrici dei successi effimeri e passeggeri.
Farnese guardava l'abito indossato dall'attrice in piedi innanzi a lui. Era un abito di saia azzurro cupo, con dei galloni ed i rivolti di amoerro bianco, una lunga gala di merletti veneziani, un alto collo di velluto turchino, alla Maria Stuarda. Su la chioma bionda aveva un cappello di feltro con due maestose piume bianche, una delle quali discendeva in molle curva sul piccolo orecchio roseo, come da un feltro di spadaccino del secolo XVII.
— Vi piace? domandò l'attrice quando si avvide dell'attenzione dello scrittore.
— Mi piacete, egli rispose.
— Parlo dell'abito, non di me, replicò sorridendo l'attrice.
— Innanzi ad una bellezza, spiegò il romanziere, non si bada al piccolo particolare squisito, al trascurabile ornamento delicato. In San Pietro, nella cappella della Pietà, non ammirate prima i mediocri affreschi di Lanfranco, ma il divino gruppo di Michelangelo.
— Dimenticate le proporzioni, replicò l'attrice con un sorriso che scoprì le due file di piccoli denti candidi.
— Perchè ho fatto un confronto fra Michelangelo e voi, un affresco di Lanfranco ed il vostro estetico abito di quest'oggi? Mio Dio, le proporzioni si possono sottintendere sempre! E poi.....
Il madrigale era stato interrotto dalla voce del Savarese che chiamava all'ordine per il terzo atto. Gli attori erano tornati verso il centro della scena, interrompendo i loro chiacchiericci. I trovarobe preparavano l'arredo scenico, segnavano le porte con due sedie corrispondenti, i divani con una lunga fila di sedie logore e scolorite. Un campanello elettrico — e col sordo mormorio del suggeritore la prova ricominciava. Le scene seguivano le scene e Farnese pure avvezzo agli inganni delle commedie in prova, avvertiva deficienze dove non ve ne erano, vedeva tutto pallido, fiacco, slavato. Sebbene egli sapesse come solo la ribalta illuminata e la sala colma fossero sufficienti a dare ingegno a quelli attori che ora sembravano poveri filodrammatici, pure temeva la loro negligenza, paventava un'interpretazione debole e frusta, visioni fosche d'insuccesso gli attraversavano il pensiero. Ma Claudina Rosiers faceva la sua entrata e subito la scena diveniva elettrica, l'orgoglio dell'autore vibrava di nuovo fiducioso, gli altri attori anche si investivano meglio della parte, procedevano più vivi e più veri. Savarese, grosso e acceso nel volto senza barba nè baffi, sorrideva dai piccoli occhi furbi e dalle labbra tumide di vecchio ebreo, presentendo l'affare ed il successo fruttifero. Ma un attore di primissimo ordine, Gray, che in quel momento non recitava, seduto su una delle due sedie che simulavano i battenti di una porta, seguiva con l'occhio sospettoso Claudina Rosiers, ardente nei suoi movimenti passionali; ed a volte gli occhi dell'attore brillavano di un riflesso sinistro. Gray era innamorato di Claudina ed aveva già confessato all'attrice la sua passione, deferentemente, offrendole la sua mano. Ma l'attrice aveva ricusato, ringraziandolo tuttavia dell'onore che le tributava: ella voleva darsi all'arte conservando il suo libero arbitrio, non voleva essere diminuita dai vincoli e dagli affanni di un marito e di una famiglia. Il suo discorso era stato così fermo e reciso che Gray non aveva saputo insistere; ed allora con voce piena di lacrime s'era fatto promettere che, se un giorno ella avesse mutato idea, avrebbe tenuto conto della sua sfortunata passione e l'avrebbe prescelto agli altri. Il giovane aveva sofferto per quella rinunzia, ma il pensiero che quella donna ch'egli non poteva avere non sarebbe nemmeno appartenuta ad altri lo consolava in quell'eterno orgoglio e in quel mascherato egoismo del maschio, che sono tanta parte di una passione virile. Quando però le prove della nuova commedia di Giuliano Farnese erano cominciate, la più atroce gelosia s'era aggiunta nell'animo dell'attore a quel rassegnato sconforto. Egli sapeva che Farnese aveva avuto molte buone fortune, sapeva quanto Farnese piacesse a Claudina Rosiers, sapeva quanto Claudina Rosiers piacesse a Farnese; e le sue buone amiche s'erano date premura di metterlo in guardia contro Farnese, ammonendolo perchè fosse vigile, comunicandogli le dicerie che correvano sul grande scrittore, le sue glorie raccolte nel giardino di Citera, le sue squisite arti seduttrici. Da allora Gray non aveva avuto un minuto di pace; il più piccolo atto di cortesia convenzionale sembrava al geloso la conferma, l'accusa, la prova della colpa di Claudina e della sua propria sventura. Con la sua gelosia illogica e senza diritti era divenuto insopportabile alla giovane donna, che di conseguenza lo sfuggiva come meglio e quanto più poteva; ma il geloso vedeva in ciò mille altre prove del suo infortunio e della relazione dell'adorata con lo scrittore.
Egli intanto, quel giorno, seguiva con lo sguardo Claudina Rosiers, finchè finito anche il terzo atto con una deliziosa scena di amore e di passione, si era andata a sedere, ancòra tutta vibrante, vicino allo scrittore che applaudiva ai suoi interpreti. Allora Gray si era perduto fra i fondali, scoppiando in lacrime come un bambino contrariato. Fortuna per lui che non vide il gesto con cui Farnese prese fra le sue la piccola mano di Claudina Rosiers ancòra ansimante e sconvolta!
— Io non so spiegarmi, le mormorava intanto lo scrittore, come voi possiate creare con verità così meravigliosa e con logica umana così inappuntabile, queste scene d'amore, che io ho sempre creduto impossibili a rendere senza aver sofferto quelle agonie. Come io ho dovuto viverle per scriverle, così immaginavo che, volendo farne una viva rappresentazione, bisognasse averle ugualmente sofferte e forse anche più di me. Ora, invece, terrei una scommessa che voi non avete mai amato.....
— L'arte mi ha presa troppo presto, rispose l'attrice, e troppo completamente, perchè io avessi il tempo di dedicarmi all'amore. Ho amato, sì, non vi dico di no, ma in fondo quale è quella giovinetta che non ha amato, senza un istante di tregua, dai sedici ai vent'anni? Alcune amano misticamente Gesù, altre amano più umanamente le spalline e gli speroni di un bell'ufficiale dei lancieri. Ognuna, ahimè, si forma il suo grande ideale, e nelle lunghe notti verginali nel lettuccio candido, su l'origliere che unico confidente sa tutti i nostri sogni più intimi, si combinano i bei visi e le belle anime, i mustacci bruni e l'amore eterno, la forza del corpo e la delicatezza del cuore. Poi viene la vita; e a chi porta la realizzazione dell'ideale, a chi porta il contrario. Le une devono temere, le altre devono sperare: come per le une giungerà il redde rationem poichè i sogni realizzati non vivono a lungo quaggiù, così per le altre giungerà il sursum corda, perchè per ognuno è destinato quaggiù almeno un quarto d'ora di felicità. Voi vedete, mio caro maestro, che parlo latino; ma sono frasi raccolte sui giornali e che non sono nemmeno sicura di pronunziare esattamente..... Ah, anch'io avevo il mio ideale a sedici anni; e volevo allora essere una grande attrice e questo si è realizzato, non per la grandezza ma per la professione; volevo esser bella e gli adulatori mi dicono che lo sono; volevo anche essere amata da un uomo illustre, completarlo, esser cosa sua come lui cosa mia, quasi direi, integrarlo. E non vi spaventate di questo parolone: è nella mia parte che devo recitare stasera! Questo ancòra non è. Sarà? Non sarà? Quien sabe? dicono gli Spagnuoli con due dolci e tristi parole che racchiudono un mondo. Anch'io aspetto il mio quarto d'ora, perchè deve venire. Ma il difficile è saperlo attendere pazientemente per coglierlo al suo passaggio. Intanto, mio caro maestro: j'attends mon astre!
Lo scrittore la guardava sorridendo, mentre ella con uno scoppio di risa riprendeva:
— Anch'io ho amato, ma l'Ideale, una creatura che la mia fantasia ha creato e che forse non esiste. Un amoretto l'ho avuto. Ho passato la fanciullezza e l'adolescenza nella mia Siena: a quindici anni volevo bene a un giovinetto della mia età, un piccolo, biondo, gracile, che ora ho ritrovato ammogliato e con prole. Allora ci davamo degli appuntamenti sotto la volta di quella meravigliosa Fonte Branda, verso il crepuscolo. Che cosa accadeva? Qualche bacio, mio Dio, e molte promesse di eterna fè! Però qualche sera, se tardavo, non trovavo più al convegno il mio padrone e signore, che, atterrito dalla sera che scendeva, dall'ombra della Fonte e dallo scrosciare dell'acqua, preferiva all'amore mio la tranquillità della sua anima infantile. Ed ecco, mio signore, in quali mani fidavo la tutela di tutta la mia vita..... Insomma, io non ho provato l'amore, ma lo sento; non l'ho conosciuto, ma non lo ignoro.
Più tardi, come lo scrittore alla fine del quarto atto si meravigliava ch'ella provasse in scena e le rendesse anche con precisione alcune sensazioni fisiologiche, Claudina Rosiers scoprì l'allusione ed il sottinteso; sorrise e disse all'orecchio del Farnese:
— Voi pensate che questo, almeno, devo averlo provato; non è vero, maestro?
E staccandosi dall'uomo, mentre Gray ricompariva mogio mogio tra i fondali, disse con l'alterezza di colei che serba immacolato il suo fiore e ne sa il prodigio:
— Ebbene, no. Io sono vergine!
Egli rimase a guardare la vergine, ma i suoi occhi non erano più limpidi come poc'anzi; una scintilla impura di cupidigia, accesa dal pensiero di quella occulta primavera, vi brillava torbidamente. La scena cominciava a vuotarsi, dopo che il direttore aveva pronunciato le abituali parole: «Possono andare; domani, prova alle undici». A poco a poco solo Claudina, Farnese e Gray erano rimasti sul palcoscenico, Farnese ancòra seduto su l'ampia poltrona, Claudina in piedi presso lui canticchiando, Gray imbarazzato con la pallida speranza di riaccompagnare Claudina. Un silenzio imbarazzante era fra loro. L'attrice e lo scrittore sentivano il bisogno d'essere ancòra soli, di poter ancòra parlare, di potere ancòra unire le anime loro nella piena confidenza che consola. Gray finalmente comprese l'inutilità della sua attesa, quando Claudina per troncar netto il disagio di quel silenzio, pregò Farnese di accompagnarla dalla sua modista. Il commediante girò su i tacchi, dopo di aver salutato in corruccio, e s'allontanò rapidamente tra le penombre dei praticabili e delle quinte. Con quella intuizione tutta propria dei gelosi, Gray imaginava che qualcosa di decisivo stava per compiersi tra l'autore drammatico e la sua interprete. Tutti gli spasimi della gelosia lo afferravano, quelli spasimi laceranti del geloso che non ha alcun diritto, dell'innamorato senza speranza che vede un altro in procinto di cogliere quel frutto di amore ch'egli credeva dovuto a sè stesso. Brani di commedie gli tornavano nella mente, di quelle commedie in cui egli doveva vivere, innanzi a mille persone, gli spasimi di una gelosia che conosceva così bene! Il povero innamorato doveva trattenere le frasi di collera e di insulto che gli salivano alle labbra verso colei che era stato il suo sogno, che era la sua madonna, ora in procinto di perdere la gloria della sua verginità per il capriccio passeggero ed inutile di uno scrittore alla moda, di un donnaiolo misogino!
Fuori, il crepuscolo scendeva. In alcune vie più strette i lampioni già erano accesi, nelle vie larghe e nelle piazze la folla passava, reduce dai suoi dolori o dalle sue fatiche quotidiane, pronta a risalire il calvario l'indomani, dopo il breve riposo di una pallida sera. Gray procedeva fra quella folla variopinta ed ignota, quasi senza vederla, attonito pel martirio di quella idea fissa, che riconcentrando ogni sensibilità sul suo fermento, pare che tolga quasi la sensazione della vista e dell'udito. Sotto quanti di quei volti si celava un dolore simile al suo? Quanti sentivano nel cuore la tenaglia crudele dell'amore senza speranza, i laceramenti atroci della gelosia senza diritto? E queste idee facevano risalire nel suo cuore la piena dell'amarezza, che talora però gli consentiva qualche minuto di speranza e di tregua. E se egli fosse ancòra in tempo? Chi sa che Claudina non avesse pregato Farnese d'accompagnarla, senza un fine recondito, forse per sola vanità femminile, per farsi vedere nell'ora di maggior folla con uno scrittore glorioso, con uno dei più grandi autori drammatici... Ma, la modista? E non poteva veramente recarsi da costei? Cosa v'era di strano e d'impossibile? Ma perchè non aveva detto anche a lui di accompagnarla? Veramente era stato lui il primo a prender congedo e ad allontanarsi; ma perchè ella non aveva detto una parola per trattenerlo, ella che sapeva quanto fosse amareggiato dai sospetti più vani e quanto ne soffrisse? E l'onda di amarezza risaliva ancòra e i laceramenti della gelosia ricominciavano, fin che non potendo più reggere al dubbio si diresse verso la casa dell'attrice, con l'intenzione di spiarla, di spiare la sua venuta, e se saliva sola o con Farnese. Il geloso girò la via delle Quattro Fontane, traversò la piazza Barberini, risalì tutta la via Sistina sino alla Trinità dei Monti, poi discese ancòra la magnifica scalinata che conduce in piazza di Spagna e, voltando a sinistra, si fermò su la porta di un piccolo caffè confinante col portone della casa di Claudina. Bevve in fretta l'assenzio che il cameriere gli aveva portato e si fermò su la porta in osservazione. E come l'attrice tardava a rincasare, la gelosia ricominciava nella pedanteria delle sue indagini e dei suoi minuti sospetti. E s'ella non tornasse? Se Farnese l'avesse trattenuta a pranzare al caffè? Ma lo scrittore aveva famiglia e non era probabile che si facesse vedere pubblicamente in tanta intimità con la giovane attrice. E se i due fossero venuti in carrozza e quindi prima, molto prima di lui? Se fossero già nell'appartamento e proprio in quella camera da letto che corrispondeva esattamente, al piano superiore, con quella sala di caffè notturno? Un'ora era passata senza ch'egli vedesse giungere l'attrice o sola o con lo scrittore, e ciò l'aveva confermato nella sua ipotesi che i due, giunti in carrozza, fossero già nell'appartamento. Egli aveva infilato il portone, aveva già salito qualche gradino, ma al momento di premere il bottone elettrico pensò che non aveva alcun pretesto per spiegare quella sua visita intempestiva. Inoltre pensò che avrebbe potuto avere la conferma di quel che temeva e quella possibile certezza lo atterrì, e ridiscese lentamente le scale, preferendo a quello spasimo immane, le continue trafitture del dubbio, che tuttavia lascia qualche minuto di speranza e di blanda illusione. Ma, al momento che egli varcava la soglia, Claudina e Farnese discendevano da una carrozza e il geloso ebbe appena il tempo di sfuggire, rasentando i muri della oscura via di Propaganda Fide, non senza essere stato visto dai due. Claudina e Farnese salirono. Su, nella casa, dopo che si fu tolto il cappello e la mantellina, l'attrice guardò tra le persiane socchiuse ed al lume della lampada elettrica di un negozio di oggetti d'arte, vide Gray fermo in attesa, con lo sguardo fisso alla sua finestra che in quel momento s'illuminò, avendo Farnese fatto scattare il commutatore della luce elettrica.
— Otello aspetta ancòra, disse Claudina ridendo allo scrittore, mentre apriva le persiane. Vi ha veduto salire ed attende che ridiscendiate. Chi sa quali sospetti e quali pene! Domani dovrò subirne la narrazione. Povero ragazzo! — E rise di una risata libera e squillante. — Però, come siamo cattive noi donne! — continuò più seria ma canzonatrice. — Ecco un uomo che soffre per me pene atroci. Egli mi segue, mi osserva, mi spia. Egli mi attende nel portone per vedere se torno sola, vi vede, fugge. Ed io ho la crudeltà di farvi salire, pur pensando che il povero giovane ci spia ancòra e che questa vostra innocente visita gli farà passare una notte bianca insopportabile. Siamo veramente malvagie?
Rise di nuovo, avvicinandosi allo scrittore. Farnese indugiava. Aveva inteso battere le sei all'orologio della stanza vicina e ricordò di aver promesso al piccolo Luca di andarlo a prendere, dopo la prova, per farlo passeggiare nelle vie eleganti con lui, poichè il bambino era tutto orgoglioso di essere visto col suo gran papà.
— Dovrei rientrare, disse repentinamente lo scrittore all'attrice. Sono già le sei ed ho fatto una promessa al piccolo Luca.
Pronunziando queste parole egli si era alzato ed aveva guardato la commediante. Un'ombra di corruccio era passata sul volto di lei, che lo scrittore scorgeva in piena luce nel quadrato luminoso della lampada. L'attrice non aveva pronunziato una parola e si era messa ad osservare attentamente le sue dita sottili. Egli riepilogava ciò che le aveva detto lungo la via ed al caffè dove si erano fermati. Ricordava di averle stretto la mano salendo le scale e che la donna aveva lasciato fare; anzi gli era piuttosto sembrato ch'ella avesse risposto con una lieve pressione. Naturalmente, tutto ciò esigeva una spiegazione e non una partenza così repentina ed egli sacrificò il desiderio del piccolo Luca, decidendo di rimanere.
— Il vostro bambino vi attenderà invano, disse allora Claudina mentre lo scrittore ritornava a sedersi presso di lei. Non vorrei essere causa di un dispiacere al piccolo Luca e — sottolineò sorridendo — anche al suo papà. — Poi, subitamente, con uno scoppio di risa aggiunse: — Resterò con tutte le mie tristezze, sola sola con loro che non mi divertono affatto. E aspetterò l'ora del teatro. — Poi dimandò, deliziosa di noncuranza: — Vi vedrò stasera?
Il romanziere guardava l'attrice con un'attenzione immobile, voleva intenderne il pensiero sincero, scoprirne l'intimo disegno. Ma ella restava impenetrabile, continuava a contemplarsi le dita con un sorriso ambiguo.
— Non passerò dal teatro, stasera, rispondeva egli, intento a spiare l'impressione destata dalle parole che stava per pronunziare. Mia moglie si lamenta della sua solitudine. Le debbo bene una sera di focolare domestico. Avrò la rappresentazione dei miei bambini e delle loro marionette.
— Ah, non verrete? soggiunse l'attrice sempre più nervosa. Tuttavia io recito solamente nella Visita di nozze e non prima delle undici e mezzo. Se il focolare domestico si spengerà prima di quell'ora... il Teatro Nazionale è vicino, soggiunse dopo una pausa significativa.
— Relativamente, disse lo scrittore sorridendo. Comunque accetto volentieri l'invito perchè per voi si sfiderebbero ben altri pericoli che la tramontana.
Su quella promessa lo scrittore avrebbe potuto andar via, soddisfare il desiderio innocente del suo piccolo Luca. Ma una certa ironia che vibrava in talune inflessioni di voce dell'attrice lo tratteneva in quel salotto, seduto in quella poltrona. Fu così durante un'ora: una voce lo esortava ad alzarsi, a partire; l'altra, contraddittoria, a indugiare ancòra. Intanto il discorso era ricaduto sul sogno adolescente di Claudina.
— Chi sa, chi sa? diceva l'attrice. Realizzerò mai questo sogno? Amare ed essere amata da un uomo illustre, da un grande artista, in modo che la mia intelligenza sia completata dalla sua, formi un tutto armonico e profondo? Chi sa? Gli incontri della vita sono così bizzarri! Desidero, voglio, invoco il grande artista, il grande scrittore e chi sa che non vada poi a finire nelle braccia di un povero attorello qualunque, in un momento di orribile stanchezza e senza volontà, come quei viaggiatori che seduti di rimpetto in uno scompartimento si trovano nelle braccia l'uno dell'altro per un urto del treno! — Sorrideva, ma tristemente; poi ad un tratto si mise a picchiare e strofinare le sue mani. — Dio, Dio, che freddo! e come potrò recitare stasera? Come potrò? Farnese, fatemi il piacere, prendetemi quel mantello su quella poltrona..... Lì, lì, benissimo! — E come Farnese, mettendole quel mantello su le spalle, s'era chinato su lei fino a sfiorarle i capelli con un bacio, ed ella aveva sorriso, così che egli fatto più audace s'abbassava verso le labbra, ella gridò: — No, no, non voglio! E levandosi, poichè Farnese l'inseguiva, quasi pregò: — Lasciatemi. Non vi avvicinate. Andatevene, andatevene, adesso....
Poi si avvicinò a Farnese, fece un cenno perchè non insistesse, gli tese le due mani, strinse amichevolmente quelle di lui e lo guardò uscire, senza sorridere e senza più una parola. Ma nelle scale lo scrittore udì la voce un po' tremante di Claudina Rosiers che gli gridava dall'alto:
— A stasera. Ricordatevene.