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IV.
Оглавление«Il mio cuore» — si diceva poco più tardi Farnese mentre la carrozza chiusa correva lungo la splendente via Nazionale verso il civettuolo teatro — «è come una di quelle famose scatolette cinesi che ne contengono successivamente altre cinque o sei, sempre più piccole, l'una incastrata nell'altra. Il mio amore per Beatrice, che tuttavia è indiscutibile, mi permette, per esempio, di recitare commedie come quella che ho recitato poc'anzi per potere andare da Claudina Rosiers. Nella scatoletta successiva vi è il rimorso per l'inganno ed il desiderio di restar con Beatrice; ma in quella incastratavi dentro trovo invece il desiderio di riveder Claudina. Così sono sicuro di trovarne dentro a questa, ritornando dal teatro, un'altra che conterrà una coerentissima noia ed il pentimento per l'inutilità di ciò che ho fatto stasera... e nuove lotte fra il rimorso e il desiderio, fra la ragione e l'impulso. Ah, che cosa ridicola!» Ma tutta questa saggia analisi non gli impediva di avere il cuore preso da una gioia quasi infantile e che si rivelava in gesti allegri e numerosi, quanto più la carrozza s'avvicinava alla bianca facciata dell'elegante teatro. «Io invento le favole per giustificare a mia moglie la mia condotta» — egli aggiungeva, in un altro momento di rimorso — «e poi, quando vedo ch'ella mi presta fede e soffoca in mio onore ogni minimo sospetto, faccio il viso di un Trissottino che ascolti lodare Vadio. Ancòra un'altro trionfo della coerenza!» Osservazione che non gli impediva, appena disceso innanzi al grande scalone di marmo del teatro, di domandare ad un impiegato, e con una mal dissimulata ansietà nella voce, se Claudina Rosiers era in scena. Avuta una risposta affermativa, egli salì un po' contrariato le scale, guardò la sala dal cristallo ovale della porta della platea: vide Claudina in scena, vide i suoi gesti ma non ne udì le parole, e l'automaticità di quei gesti senza parole lo fece sorridere mentre, percorrendo il corridoio del primo ordine di palchi, arrivava al palco di proscenio che è quasi su la ribalta e bussava su la piccola porta col pomo di cristallo del suo bastone per farsi aprire dal palchettaio. Appena entrato, guardò la sala, rispose a cinque o sei saluti direttigli dai palchi o dalle poltrone, ma si rivolse subito alla scena, poichè La visita di nozze era giunta al punto in cui, Cygneroi uscito, la povera donna prorompe, accompagnando il gesto del fazzoletto, in quel «Pouah!» più eloquente di cento parole, quel grido che viene dall'anima e dalla coscienza in rivolta, quel grido che riassume, a quel punto ed in quel senso, tutto il disprezzo di una grande miseria umana. Una salva di applausi aveva tenuto dietro a quel «Pouah!» detto da Claudina Rosiers con violenza ed efficacia meravigliose. Mentre la commedia volgeva rapidamente verso la malinconica fine, Farnese seguitava ad osservare la sala dal fondo del palco, dove s'era rifugiato per non essere visto dall'attrice e darle d'improvviso in palcoscenico il piacere della sua visita inattesa. E non appena il sipario cominciò a cadere fra gli applausi, lo scrittore uscì dal palco, dirigendosi verso la porta delle scene: ma per arrivare a quella porta, cui egli si avviava in fretta a fine di giungere da Claudina prima che gli importuni l'avessero avvicinata, lo scrittore dovette traversare il grande foyer del primo piano risplendente di marmi, di specchi e di luce elettrica. Aveva appena schivato un gruppo di giornalisti, quando una mano si posò su la sua spalla e una voce lo chiamò per nome:
— Ah, siete voi, Filangieri? disse lo scrittore volgendosi e riconoscendo l'uomo che l'aveva salutato. Come mai da queste parti? Non più alle ballerine si limita la vostra caccia serale, ma si estende anche alle commedianti? I miei complimenti!
— Pardon, pardon, rispose Filangieri con una pronunzia che marcava l'erre e non prendendo la mano che Farnese gli tendeva per congedarsi. Io non ho mai limitato le mie cacce, come dite voi, alle ballerine od alle commedianti; mio Dio, fra le starne e le quaglie la differenza non è molta..... Ma ora vengo qui perchè quella Claudina Rosiers è veramente graziosa e mi dicono anche che sia molto, dirò così, assediabile... Che ne sapete voi? voi, autore drammatico?
Farnese dovette faticare a vincere la tentazione che gli era venuta di picchiare sul cappello luccicante del fatuo bellimbusto. Cercò di rispondergli a dovere, ma Filangieri aveva già cambiato discorso e gli domandava con falso interesse:
— E voi che fate? Lavorate? Lavorate? A che, se si può sapere? È molto tempo che non abbiamo più nulla di vostro! Sarete crudele per molto tempo ancora?
— Non credo, rispose Farnese, osservando la faccia glabra e il colorito rossastro e la figura tozza e grossa dell'aristocratico viveur, poichè da quindici giorni tutti i giornali annunziano nelle loro cronache la mia nuova commedia che andrà in scena qui fra tre o quattro giorni. Buona sera.
E, stretta la mano dell'elegante, si allontanò per rivoltarsi poi a vedere il naso lungo fatto dal suo interlocutore a quella inattesa risposta che l'aveva lasciato male. Un po' infastidito per il ritardo, lo scrittore arrivò al palcoscenico, traversò la scena già pronta per il nuovo atto, passò in mezzo alla folla dei comici senza fermarsi con nessuno, arrivò al camerino di Claudina, bussò discretamente alla porta col pomo di cristallo del suo bastone e, mentre un'indifferente voce femminile rispondeva «avanti», egli entrò. Ma quale non fu la sua delusione nel trovare Claudina circondata da quattro abiti neri, che esponevano in quel camerino d'attrice ed intorno a quella donna bella la loro imbecillità e la loro presunzione! Chiunque avrebbe potuto leggere sul volto di Claudina un'eguale ed intensa espressione di fastidio, il cui significato, dopo l'ingresso di Farnese, era evidentissimo e chiunque avrebbe compreso che il meglio da fare era ritirarsi e lasciar libera la piazza. Non certo i quattro visitatori capirono questo, pur avendo osservato quell'espressione di contrattempo disegnarsi sul volto dell'attrice. Essi erano quattro purissimi rappresentanti di quella speciale gioventù che passa l'esistenza, consentita a loro oziosa dalle eredità famigliari, tra le sale dei circoli ed i bars equivoci, le orizzontali ed i bookmakers. Essi odiano i salotti perchè il loro spirito grossolano, la loro ignoranza presuntuosa e le loro attitudini equivoche ve li fanno trovare a disagio. Ogni sera, dalle otto alle tre di notte, si incontra ovunque la loro marsina perfetta ed il loro monocolo inglese, ogni sera espongono la loro bestialità e la loro volgarità. Ed il più triste è questo: che il più delle volte questi bei campioni hanno i nomi più illustri dell'aristocrazia europea e su ciascuno di essi, si può mettere, come faceva Farnese su quei quattro, un nome venerato di papa, di cardinale o di guerriero e su la loro carta da visita — che lasciano alle più volgari donne galanti con due righe d'invito o di scusa — hanno gli stemmi più immacolati e gloriosi. Farnese pensava questo, guardando quei quattro, uno dei quali era un conte di Fontanerose, il cui trisavolo era stato uno dei più illustri generali savoiardi, ed ora il giovane conte era celebre fra i suoi camerati per le sue relazioni ridicole con una orizzontale quarantenne; un altro, un Sammartino, aveva il padre ministro fra i più stimati e la sua famiglia era fra le più chiare per opere d'ingegno e di spada — mentre il giovane rampollo era divenuto celebre per aver giuocato in una notte di baccarat un suo palazzo del valore di cinquecento mila lire; il terzo, un giovine imberbe di venti anni ma già logoro e vizzo, un Morosini, aveva gli avi fra i dogi ed i più eminenti personaggi della gloriosa Repubblica Veneta e si diceva che il giovinetto minacciasse la madre, quando la povera donna ricusava di dargli quel denaro, che egli portava a una comparsa da operette in compagnia della quale si ubbriacava di acquavite, tutte le sere, in un fetido bar di via Cavour; il quarto, infine, un tal Santacroce, ultimo avanzo di antichissima famiglia fiorentina, — che aveva avuto un avo paterno in Palestina a combattere nelle crociate a fianco di Goffredo di Buglione per la liberazione di Gerusalemme ed il cui nome è ricordato da Torquato Tasso nel suo poema come quello di uno eroe integerimmo — era già stato escluso da tre clubs milanesi e veneziani perchè sorpreso mentre barava al whist.
Ripensando la storia di quei quattro importuni, Farnese, che in altri momenti se ne sarebbe rattristato, sorrise di un amaro sorriso ironico. I quattro fantocci, che avevano teso con gravità ed estrema eleganza inglese la mano allo scrittore, ricominciavano a discorrere delle gambe di una danzatrice ungherese del caffè delle Varietà, delle acconciature di una cantante dell'Olimpia, delle prossime corse a Tor di Quinto e delle probabilità di rivincita di Jenny o di Saut-de-terre, dell'ultima partita di Sammartino al Circolo del Remo, dell'abilità del giovane Morosini a confezionare i cocktails americani. Farnese non nascondeva il suo fastidio, mentre Claudina tentava di fargli capire come ella fosse annoiata dalla presenza di quei quattro bellimbusti e, ad un dato momento, avvicinatosi all'attrice col pretesto di prendere una parte manoscritta che era sul tavolo, egli le disse nell'orecchio: «Me ne vado.» Allora l'attrice si levò e spinse fuori dal camerino i quattro bellimbusti, che si erano anch'essi levati con lei, dicendo loro:
— Miei cari signori, perdonatemi, ma io devo vestirmi e se la vostra compagnia è piacevole, io devo ancora cenare.
Uno stupido gridò:
— Venite a cena con noi. Ci divertirete.
— Verrei, rispose l'attrice dalla porta socchiusa, se voi aveste, per un caso miracoloso, la medesima possibilità di divertir me!
Quello dei quattro che aveva più spirito, Santacroce, mormorò inchinandosi alla porta del camerino della commediante:
— Toccati!
Ma gli altri protestarono perchè Farnese era rimasto dentro. Santacroce mormorò:
— I vantaggi degli autori!
Poi, non avendo avuta alcuna risposta, i quattro si allontanarono fra le quinte, mormorandosi l'un l'altro e con grande convinzione: «È lui l'amante, è lui l'amante!» alludendo allo scrittore rimasto nel camerino. Intanto Farnese aiutava l'attrice ad infilare una grande redingote di foggia maschile e di color bleu e le tendeva la piccola toque di velluto celeste. Claudina e Farnese rividero i quattro bellimbusti, poco più tardi, fermi innanzi alla porta del teatro per assistere all'uscita delle signore. I quattro fecero, per essere osservati, una grande scappellata a Claudina, nel momento in cui l'attrice aiutata dallo scrittore saliva nella carrozza chiusa di lui. La carrozza partì subito per la oscura via della Pilotta. Lo scrittore aveva presa la mano all'attrice e le sfilava il guanto, mentre ella gli offriva di salir da lei a bere una tazza di buon thè autenticamente russo, per riscaldarsi un poco. L'attrice tacque per qualche minuto, poi cominciò a ritirare la mano; e Farnese chinandosi verso di lei potè vedere, al gran chiarore argenteo dei riflettori elettrici della Fontana di Trevi, due piccole lacrime brillare e gonfiarsi nell'intercilio della graziosa donna. Tacque anch'egli e tale era la lotta che si svolgeva in lui, che non trattenne nemmeno la mano della compagna, che sempre più si discioglieva dalla sua stretta amorosa. Ei sentiva rifiorire dentro la sua anima tutti i buoni sentimenti per Beatrice, pensò ch'ella lo aspettava forse, fiduciosa, in quel momento in cui egli stava per tradirla. Questo malessere spirituale cresceva tanto, minuto per minuto, ch'egli non analizzava nemmeno i sentimenti che doveva provare l'attrice per piangere, per liberare la sua piccola mano dalla stretta, per rincantucciarsi, come faceva, nell'angolo della vettura. Così quando, in piazza di Spagna, furono discesi innanzi alla casa di Claudina ed ebbero rimandata la carrozza, si guardarono in volto con una muta interrogazione. L'attrice, aperta la porta, aveva acceso una minuscola candela per salire le scale; e, come lo scrittore entrava sotto l'andito del portone per seguirla, secondo ciò che era stato stabilito al loro salire in carrozza, ella lo allontanò con la mano e con voce tremante lo pregò di considerare come non avvenuto il suo invito e di lasciarla sola. Farnese, dopo un primo momento di insistenza e di violenza — momento in cui il solo desiderio aveva tentato di imporsi — ad una seconda preghiera dell'attrice si era allontanato, baciandole solo la mano; e, poichè Claudina da dentro aveva richiuso il pesante portone, egli si era trovato solo, alla tramontana, sotto il brivido lungo e fremente delle stelle, senza conscienza di ciò che era passato in quella mezz'ora nelle loro due anime.