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III.

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Egli aveva lasciato Claudina Rosiers dopo quell'invito lanciatogli non ostante la severità di poco prima, ciò che affermava il vivo desiderio dell'attrice di rivederlo ancòra. Egli aveva schivato, durante tutto il pomeriggio di entrare in discorsi troppo intimi con la signorina Rosiers e invece, in quella carrozza e per quelle scale, era stato debole ed irriflessivo come un fanciullo. Era uscito dal teatro con l'intenzione di andar subito a prendere il piccolo Luca, appena riaccompagnata Claudina ed invece le sette e mezza suonavano all'orologio della Trinità dei Monti, quando egli traversava la piazza di Spagna, col bavero di lontra del suo soprabito freddolosamente rialzato. Fermò una carrozza che passava vuota e diede al cocchiere il suo indirizzo, raccomandandogli di far presto. Però appena chiuso nella carrozza, quell'ombra e quel tepore gli ricordarono Claudina; e passando sotto le finestre dell'attrice, lo scrittore non seppe trattenersi dall'accostare il viso al cristallo dello sportello per intravedere, come intravide, la fine figurina di Claudina Rosiers disegnata bruna sul rettangolo luminoso della finestra. Certamente non era amore quel desiderio della compagnia dell'attrice, che l'aveva preso da poche ore. Poteva meglio esser considerato come il fascino di quella giovinezza, come l'attrattiva prepotente di quella verginità ch'ella gli aveva esaltato così orgogliosamente. D'altra parte, egli poteva considerarsi ancòra come un marito amante della moglie, poichè qualche rapida corsa su la pista fallace dei facili amori non poteva considerarsi come un alto tradimento o come la conseguenza di un disamore.... Egli aveva quasi degli obblighi sensuali di rappresentanza. Per la sua fama, per la sua posizione influente, le carezze femminili gli erano esibite continuamente, per brama di scandalo o per curiosità o per guadagno o per desiderio di renderselo amico e favorevole. Pure avendo schivate quante più poteva di quelle voluttuose esibizioni, lo scrittore non poteva sottrarsi ad ogni profferta nè poteva ringraziare e rimandare, semplicemente, ognuna di quelle generose. Gli uomini invidiosi vigilavano poco lontano e Farnese non voleva assumere l'aspetto ridicolo ed umiliante di casto Giuseppe o di marito irragionevolmente fedelissimo. Aveva così conquistato quella abilità, ch'egli chiamava diplomazia amorosa, consistente nel limitarsi al minor numero possibile d'imbarcamenti per Citera, e nel compiere quei pochi innanzi ad una fitta folla di spettatori rabbiosi. Le donne di teatro volevano essere compromesse da lui per avere il vanto di essere sue amanti; nè Farnese chiedeva di meglio; e, se doveva baciarne una, coglieva il momento, tra una quinta e l'altra, in cui i soliti spettatori potessero vedere. Per questa ragione, egli pensava nel tepore di quella carrozza che gli ricordava l'attrice, come le parole e i sospiri di costei potessero non essere altro che una ancòra di quelle voluttuose esibizioni che lo perseguitavano su le tavole dei palcoscenici ed in qualche salotto di donna elegante. Tuttavia Claudina Rosiers non era una donna vana e leggera, nè poteva ammettersi in lei una venalità qualsiasi, poichè i suoi guadagni del teatro erano più che sufficienti alle necessità della sua vita modesta. Inoltre quella verginità ch'ella aveva saputo conservare pur passando per tanti ambienti diversi e corrotti, quella verginità intatta malgrado tante traversie e tante miserie, doveva essere per l'attrice un così prezioso patrimonio da non gettarlo e disperderlo per un trionfo della vanità o per il desiderio di un momento. Se ella, dunque, avesse concesso quel fiore a Farnese, egli avrebbe potuto essere sicuro dell'amore di lei, della passione che la inebriava. Ma egli non voleva quella concessione, intendeva di schivare quella sicurezza su una passione che sarebbe stata o dolorosa o delittuosa. Il ricordo di sua moglie gli attraversò il pensiero e ripensò la devozione di lei, la sua tenerezza, la sua immacolata fedeltà. Ella si sacrificava in silenzio, paga del solo amore dei suoi bambini, cullando l'unico sogno dolcissimo del loro avvenire e della loro felicità. Tuttavia l'assistenza e l'appoggio dell'uomo ch'ella amava non dovevano venire a mancarle, poichè solamente in quelli la buona creatura riponeva il suo conforto ed il suo compenso. L'idea di un più affettuoso riavvicinamento alla moglie attraversava con insistenza il pensiero dello scrittore e gli appariva possibile, poichè, le prove del La Chimera terminando tra pochissimi giorni, egli non avrebbe avuto più occasione di tornare su le scene del Teatro Nazionale e di incontrarvisi nuovamente con Claudina Rosiers. Questi saggi propositi erano a volte spezzati da lampi di desiderio suscitati dal ricordo della bellezza dell'attrice; ma, spento il pallido lampo, i buoni proponimenti tornavano, ed in uno di questi ritorni, al momento che la carrozza si fermava d'innanzi al cancello della sua casa ed il cocchiere discendeva ad aprire lo sportello, lo scrittore aveva deciso di non andare quella sera al Teatro Nazionale e di mandare un biglietto di scusa con un pretesto a Claudina Rosiers, subito, prima che avesse avuto il tempo di mutar parere.

Nel frattempo egli aveva salito le scale e subito i bambini erano accorsi al rumore del suo ingresso nell'anticamera che una lampada sospesa, coperta da un globo di cristallo azzurro, rischiarava dolcemente. I bambini, che si erano aggrappati a lui anche prima che egli avesse potuto sbarazzarsi del soprabito, gridavano festosamente.

— È venuto lo zio Leonardo! È a Roma e resterà. È arrivato oggi, dopo colazione.

— Lo zio Leonardo, qui?

Mitigato il suo primo impeto di piacere che lo spingeva ad entrare nel salotto dove sua moglie era con suo fratello Loredano, lo scrittore ricordò la lettera da scrivere a Claudina, e volendo scriverla subito come aveva saggiamente deciso, prese i bambini per la mano, e parlando sottovoce, raccomandò loro il silenzio: poi con aria comica e misteriosa, li condusse nel suo gabinetto da lavoro. Il piccolo Luca e la bionda Anna Maria lo seguivano, gravi e compunti, interessati ed incuriositi da quel mistero, camminando su le punte dei piccoli piedi.

Nel gabinetto da lavoro del papà si sedettero su due grandi seggioloni, ove rimasero, senza pronunziar parola, tutto il tempo che Farnese impiegò a scarabocchiare sopra un cartoncino queste poche righe:

Lunedì sera,

«Mia buona Claudina, l'uomo propone e le combinazioni dispongono. L'arrivo, annunziato per stasera, di mio cognato Leonardo Loredano mi vieta di venir da voi, come vi avevo promesso, a godere un poco della vostra compagnia in quel vostro così intimo camerino del Teatro Nazionale. Perdonatemi e compatitemi.

Farnese».

Poi, mentre lo scrittore chiudeva la busta e vi segnava il nome e l'indirizzo di Claudina Rosiers, i due bimbi si erano avvicinati al padre ed il piccolo Luca aveva dimandato con la stessa aria di mistero, usata poco prima da Farnese:

— Devo chiamare Stefano per mandare quella lettera?

Poi, presa la lettera dalle mani del padre, con una comica serietà, l'aveva tesa al domestico comparso alla chiamata, dicendogli:

— Questa lettera al suo indirizzo e sùbito.

Uscito il domestico, i bimbi si arrampicarono alle spalle del padre, ridendo e gridando così forte che la voce della mamma li richiamò dalla stanza vicina. Allora Farnese, più tranquillo, era entrato nel salotto, dove Loredano, seduto presso la sorella, si scaldava le mani a un'ilare fiammata.

— Finalmente sei rientrato, disse Beatrice, ma bisogna compatire l'autore drammatico nell'esercizio delle sue funzioni. È vero, Leonardo?

Leonardo si sciolse dall'abbraccio di Farnese per rispondere alla sorella, ma la sua risposta fu troncata dai gridi dei bimbi che, pieni di gioia, saltavano e battevano le mani intorno allo scrittore. Beatrice si rivolse al marito e domandò con la sua dolcezza abituale e pensierosa:

— Resti in casa, stasera?

— Tutta la serata: metà per te, metà per Leonardo.

— Ti ringrazio per la mia metà, disse ridendo Leonardo e ritornò accanto al fuoco per tendere le mani verso la fiamma brontolante.

— Sono enormemente stanco, diceva Farnese, tenendo su i ginocchi il piccolo Luca che prestava attenzione con serietà buffa. — Mi sono alzato alle sette. Ho lavorato sino a mezzogiorno. Figurati, Loredano, che una settimana fa sono venuti a domandarmi un lungo studio su Swimburne per una rivista nuova. Dovevo consegnarlo quest'oggi e non avevo scritto una parola, non avevo una nota a pagarla un tesoro. Poi, colazione. La tua signora sorella era magnifica in una veste da camera rosa della quale puoi giudicare tu stesso. Poi, le prove sino alle cinque. Dalle cinque.....

— È stato con la signorina Rosiers. Le ha scritto or ora.

Farnese credette bene di non raccogliere quella frase intempestiva del piccolo Luca, ma, avendo visto negli occhi di Beatrice un'ombra incerta che esprimeva insieme dolore ed ira, volle ripararvi:

— Il piccolo Luca, spiegò, è in collera col suo papà perchè non è venuto a prenderlo per la passeggiata, come gli aveva promesso stamane. Non è vero, Luchino? — Ed avendo il bimbo assentito del capo, aggiunse volgendosi a Loredano e poi a Beatrice: — La signorina Rosiers mi ha mandato dalla sua sarta a vedere i tre abiti pronti per la Chimera ed ho fatto tardi. Ora, siccome stasera desidero di restare in casa con voi, le ho comunicato i miei appunti e i miei consigli da profano.

Mentre costruiva questo piccolo ed abile edifizio di menzogne, egli osservava sua moglie, la cui fisonomia si rischiariva subito con un riflesso di piacere e di calma. Beatrice aveva sùbito ricominciato a parlare con Loredano, mentre Farnese pensava con soddisfazione all'abilità spiegata nel riparare all'imprudente frase del piccolo Luca. Chiunque altro si sarebbe stupito della facilità con la quale sua moglie aveva accolte per vere le sue spiegazioni, ma egli aveva talmente corso la vita di qua e di là, che da molto tempo oramai non si stupiva di niente!

Il pranzo era cominciato, fra le domande di ogni sorta rivolte a Farnese da Loredano riguardo alla nuova commedia, alla cui prima rappresentazione egli era venuto ad assistere. Farnese con piacere — e tutto l'autore si rivelava in questo piacere — aveva parlato a lungo della sua opera, narrandone il soggetto, commentandone lo svolgimento, dando notizie su l'andamento delle prove e su le varie probabilità di interpretazione e di successo. Da queste notizie erano presto passati ad una discussione artistica e Loredano, che non chiedeva di meglio, vi si era lanciato intieramente. Per la ventesima volta, ripresero una loro discussione sul teatro, passarono ad enumerare capolavori e successi, e Beatrice potè udire frasi come queste:

— Io non scriverò più per il teatro. Il teatro è un'arte inferiore, diceva Loredano. Non so più chinarmi ad affrontare il giudizio del pubblico, molte volte ingiusto ed irragionevole, nè posso subire i vincoli che m'impone il teatro, sopra tutto quello di dover pensare ad una media intellettuale del pubblico, ad un average reader, come dicono gl'Inglesi. È per questo appunto che il teatro è un'arte inferiore.

— No, non è inferiore! protestava Giuliano. Come puoi dir tale un'arte che ha avuto Shakespeare: Shakespeare, l'uomo più profondo della terra, il creatore umano più sublime?

— E che significa? Shakespeare era un Dio! rispondeva Loredano. Al suo confronto io non sono che un abatino e di conseguenza non scriverò mai più commedie in vita mia...!

— Giuramento da marinaio! interruppe Beatrice ed aggiunse finemente, sorridendo: — Come si intitola quella che stai scrivendo?

Si rise. Il piccolo Luca, pur non avendo capito, vide ridere gli altri e proruppe in un grande scoppio di ilarità.

— Ecco, continuava Farnese, tua sorella ha detto la morale della favola. Eh, eh! mio caro, si nasce autori drammatici come si nasce assassini.

— Il paragone è lusinghiero, esclamò Beatrice.

— Ma molte volte esatto! disse Leonardo ridendo; ed aggiunse: — Soggiogarsi al pubblico? No, no, mai più! Il pubblico.... chi è? cos'è? cosa vuole? Mistero. Sai chi ha detto la vera grande parola sul teatro e sul pubblico? Il tuo Orazio in una delle sue epistolae, quando al rumore degli applausi per un attore che non ancòra aveva parlato, egli domanda al pubblico: Dixit adhuc aliquid? Nil sane. Quid placet ergo? Lana Tarentino violas imitata veneno.

— Io non sono dotta in latino, interruppe la sorella, come Ninon de Lenclos. Vuoi tradurmelo?

— Significa: Disse ora qualcosa? Niente affatto. Ed allora che cosa si applaude? La lana che imita le viole con veleno tarentino. — Poi rivolgendosi a Farnese continuò: — Mio Dio, ora non si applaude più alla lana che imita le viole, ma è certo che le gambe ed i fianchi di un'attrice hanno un'enorme importanza nella riuscita di un'opera d'arte.

Beatrice ascoltava sorridendo quei discorsi uditi tante volte! Talvolta qualche parola di suo marito la riconduceva col pensiero a Claudina Rosiers. Ella non era veramente gelosa di costei, ma sospettava sempre della castità delle visite che Farnese faceva in palcoscenico. Lo amava molto e temeva quelle donne estranee che avevano per lui i fascini e gl'inganni delle ignote. Tuttavia non aveva mai espresso a Giuliano quei suoi timori per un sentimento misto di orgoglio e di rispetto: orgoglio perchè non voleva ammettere la possibilità che suo marito potesse anteporle un'altra donna qualunque; rispetto perchè non voleva stimarlo capace di un tradimento o di una calcolatrice commedia di affettuosità e di devozione verso di lei. Nè Giuliano aveva mai pensato che sua moglie potesse sospettare e soffrire per la sua vita fuori di casa, che era tanta e così turbinosa. Egli traversava l'esistenza con una certa noncuranza, occasionata anche dal fatto ch'egli non reputava tradimenti e colpe quelle sue brevi cadute senza conseguenze sul terreno sdrucciolevole della galanteria facile ed interessata. Così che, riparata alla meglio la frase imprudente del piccolo Luca, egli, non pensando che ciò potesse procurare a Beatrice preoccupazioni moleste, seguitava a parlare della signorina Rosiers con entusiasmo trascendentale. La donna taceva; così che, quando Loredano dimandò se l'attrice esaltata era bella e se era pericolosa per la fedeltà di Giuliano, ella levò sùbito il viso incontro al marito. E stupita che Loredano avesse pronunziato, con la sua ultima domanda, le parole che le si agitavano nella mente, disse, osservando l'impressione che le sue frasi esercitavano sul volto del marito:

— La signorina Rosiers? È veramente bella, ma dicono anche che sia onesta. Sebbene queste assicurazioni sieno il più delle volte erronee, pure ciò mi tranquillizza molto sul conto di Giuliano. Del resto, s'egli penserà diversamente non avrà che a dirmelo ed io prenderò una strada diversa per dignità mia, per mia pace e per lasciarlo tranquillo. Ma tutte queste sono sciocchezze, — concluse ridendo e prendendo la mano del marito — grandi sciocchezze e non vi è nulla di nulla! Non è vero, Giuliano?

Al primo momento di quella uscita inattesa, e mentre Beatrice trasaliva fin nelle più intime fibre per l'ansia di cogliere un'espressione sincera nella risposta di suo marito, questi non si rese subito conto di quel che potesse significare quel discorso; ma poi, prendendo tempo col raccontare ciò che si diceva su l'onestà della Rosiers, potè convincersi che le parole di Beatrice erano quelle di una donna che vuol convincere e rassicurare prima di tutti, sè stessa; intuì, perciò, che bisognava usar prudenza, non per aver agio maggiore nelle sue relazioni, ma per evitare dissidii famigliari e laceranti preoccupazioni a sua moglie; così che, ritrovato il suo sangue freddo, giocò di abilità e di prudenza conchiudendo col dire:

— È appunto per questa sua onestà che tu puoi essere tranquilla su Claudina Rosiers a mio riguardo. Ella cerca un marito e non un amante, un nome e non uno scandalo qualunque. — Poi subitamente e ridendo per aggiungere colore di verità alla sua indifferenza, disse ancòra: — Vuoi esserle presentato, Leonardo? Chi sa che non possiate amalgamarvi.....

I bimbi si erano già levati da tavola e, dopo una debole risata di Loredano, un silenzio imbarazzante si era fatto intorno alla mensa. Al centro di questa, in un gran parterre d'argento cesellato, era una quantità enorme di violette di Parma, la cui seta oscura era interrotta dal velluto di qualche rosa gialla. Farnese aveva ripreso a parlare con molta gaiezza, lieto per quell'ambiente intimo e raccolto; e si compiaceva per le argenterie e le biancherie che splendevano e biancheggiavano ancòra più sotto la bruna ombra di quel tappeto di violette e di rose. Beatrice prendeva dal vaso alcune di quelle violette e le sfogliava lentamente, fogliolina a fogliolina, mentre il marito aveva ripreso a sviluppare le sue idee sul teatro.

— Una commedia, egli diceva, è, come affermava Balzac, l'opera più facile e la più difficile per lo spirito umano: è un giocattolo di Norimberga od una statua immortale, è un pulcinella o una Venere... Dimmi piuttosto che è necessario pel teatro un ingegno speciale, se non un grande ingegno. Prova ne sia lo stesso Balzac, il quale chiamando melodrammi miserabili le creazioni di Hugo, non è mai riuscito a finire quella sua commedia in cinque atti, Joseph Proudhomme, tante volte e così minutamente annunziata alla sua contessa Hanska! E non si può negare che nei suoi romanzi Balzac mostrasse pel teatro tutte le attitudini desiderabili!

Mentre continuava in questi discorsi, osservando la moglie, come un altro si sarebbe detto: «Non sospetta, e del resto non ve ne sarebbe alcuna ragione» egli si diceva: «Bisogna farle smarrire le tracce per qualunque evenienza». Sotto le sue apparenze noncuranti e non ostante le sue continue fanfaronate, lo scrittore aveva la qualità principale della prudenza: la riflessione. A traverso le futilità di alcuni suoi discorsi, per esempio, si poteva scorgere la trama di un suo disegno dei più serii. In ogni occasione della sua vita egli si era conservata aperta una via d'uscita, aveva tutelata una possibile ritirata decorosa. Giammai egli si era trovato in condizioni diverse da quelle che aveva preparato egli stesso. Tutte quelle parole ch'egli pronunziava, sempre con una gaiezza spensierata o fanfaronesca, erano prima state lungamente pesate, valutate, discusse. In somma, nella vita, per non essere sorpreso inopportunamente, egli recitava una parte che egli stesso si era scritta e che aveva a lungo meditata e studiata. Così che, al momento in cui il domestico mesceva la spuma candida dell'extra-dry nelle esili coppe di cristallo e quelle coppe erano levate per augurare fortuna alla nuova commedia sua, egli diceva con la più semplice ed indifferente aria di questo mondo:

— A proposito di Claudina Rosiers posso dirvi sotto ogni riserva, però, che si mormora tra le quinte di un progetto di matrimonio fra Claudina e Lorenzo Gray. Quello che so di certo è che l'attrice è molto tenera per il suo patito. Anche oggi, dopo la prova, sono usciti insieme dal teatro, Gray l'ha accompagnata a casa e mi dicono le sue amiche che di solito egli sale e vi resta. D'altra parte, non sarebbe un cattivo affare per la Rosiers: Gray è un buon attore, ben pagato, di sicuro avvenire, è un bel giovine, un bravo figliuolo e niente affatto geloso! — Poi, come gli venne da ridere, pensando a quella sua ultima affermazione a proposito di quell'Otello in cravatta bianca che era Gray, cercò di spiegare la sua improvvisa ilarità, dicendo: — Tutto andrebbe bene. Mi dispiacerebbe solo per Leonardo che non potrebbe più amalgamarsi.....

Il risultato di quel contegno non si fece attendere. Al levarsi di tavola, Beatrice prese il braccio di lui e lo strinse al seno con un gesto pieno di confidenza e di affettuosità. E nella conversazione che seguì nel salotto, dopo che i bambini furono condotti via dalla Miss, trovò modo di essere così gentile, così amabile, così affascinante che in un momento ch'egli era uscito, Loredano disse alla sorella:

— Egli ti ama sempre molto. Puoi essere felice!

— Oh sì, rispose Beatrice, non potrebbe essere più buono e più mio.

— E tu avevi dei sospetti su quella Claudina Rosiers? dimandava il fratello.

— Già, scioccamente, rispose Beatrice. Ma ora sono tutti dissipati e la scioccherella fa ammenda.

La povera donna non avrebbe mai sospettato che suo marito fosse uscito dal salotto, appunto alla ricerca di un pretesto plausibile per andar fuori e recarsi da Claudina. A poco a poco, nella serata, il fascino dell'attrice lo aveva ripreso e gli era sembrato stupido interdirsi per quella sera il piacere spirituale che gli procurava la vicinanza dell'attrice. Uscito dal salotto, si era recato nel suo gabinetto da lavoro ed aveva cercato nel cassetto della sua corrispondenza le lettere, i bigliettini ed i brevi telegrammi di Claudina. Aveva scelto un bigliettino dell'attrice, ricevuto molte sere innanzi, ma senza data, bigliettino in cui l'attrice lo pregava di passare prima della mezzanotte dal teatro, per un affare urgente riguardo alla messa in scena della sua nuova commedia. Farnese prese quel biglietto e mandò il domestico in cerca della sua corrispondenza serale. Quando l'ebbe, vi mise in mezzo la lettera di Claudina e rientrò nel salotto. Mentre Loredano parlava a Beatrice del suo ultimo viaggio nelle Fiandre, Farnese si era seduto in un angolo del salotto per aprire e scorrere quella ventina di lettere e di giornali. Giunto alla lettera di Claudina, aveva fatto con un suo coltellino d'oro il gesto di tagliare l'orlo della busta e, scorse appena poche righe, con un gesto d'impazienza aveva detto:

— Nè pure stasera posso restare tranquillo. Ecco qua la Rosiers che mi manda a chiamare per un affare urgente.

Ed aveva tesa la lettera. Quelle parole erano state pronunziate con tale sincero accento di ira e di fastidio, che Beatrice aveva mormorato un «Povero Giuliano!» che, avendo fatto sorridere finemente Loredano, aveva procurato a Farnese una puntura di rimorso per la commedia indegna da lui recitata. Tuttavia seguitò a recitarla; e appunto Beatrice dovette pregarlo di recarsi al teatro, poichè l'affare poteva essere veramente urgente e la sua presenza necessaria. Egli osservava intanto, con compiacenza, che il suo strattagemma non aveva destato alcun sospetto in sua moglie; volle però ribadire quella sua fiducia con un ultimo colpo di azzardo, dicendo a suo cognato:

— Loredano, vieni anche tu! Ti presenterò a Claudina e vedremo se vi si potrà davvero amalgamare.

Egli aveva trascorso un minuto di ansia, prima che Loredano avesse rifiutato l'invito, pretestando il lungo viaggio fatto e la notte vegliata. Ma, mentre Farnese infilava la pelliccia e stava per prendere congedo, Beatrice insistette presso il fratello perchè si recasse anche lui al Teatro Nazionale. Farnese capì che Beatrice desiderava segretamente che Leonardo l'accompagnasse per essere più calma e sicura, e quella sua prudente riflessione lo indusse ad insistere scherzosamente con Leonardo, a fine di mostrare come la sua visita all'attrice non avesse un secondo fine da nascondere:

— Vieni, egli insistette, t'assicuro che l'amalgama è invitante. Il metallo è delizioso!

— Ma il mercurio, rispose Loredano accennando sè stesso, è così gelato stasera, che l'amalgama sarebbe chimicamente impossibile.

Scampato dal pericolo Farnese, si guardò bene dall'insistere ancora, e, salutando i due, ebbe una sorpresa quasi dolorosa nel leggere sul pallido volto di sua moglie tanta amorosa confidenza.

Il Miraggio

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