Читать книгу Per Sempre È Tanto Tempo - Morenz Patricia - Страница 14
ОглавлениеCAPITOLO 9
Mi sveglio con il profumo di hotcakes e i miei sensi si mettono in allerta, mi alzo rapidamente – ancora in pigiama – scendo al piano di sotto e trovo tutti ad aspettarmi.
«Buon compleanno, bambina mia» la zia si avvicina per essere la prima a farmi gli auguri.
«Buon compleanno, cugina pestifera» questo è Kevin, fa del suo meglio per essere gentile.
«Buon compleanno, figlia mia» questo è mio padre che mi abbraccia forte, ma io non contraccambio.
Elena ci pensa bene e mi augura solo buon compleanno da lontano, non è così stupida dopotutto.
Stiamo facendo colazione relativamente con calma quando mia zia dice che mi darà il suo regalo in questo momento e mi porge una scatola rettangolare, di media grandezza. Sono curiosa, strappo la carta regalo ed i miei occhi si spalancano per la sorpresa.
«Tu sei la zia migliore di tutte! Non posso credere che mi hai comprato un Kindle» mio padre sembra sorpreso, anche se sa che ho sempre un libro in mano.
«Di niente, tesoro. Spero che ti piaccia, ma per favore socializza un po’» entrambe sorridiamo.
«Adesso il mio!» grida Kevin.
Davvero i suoi regali mi sorprendevano sempre, lo lasciavo incartare quello che voleva darmi, così che mi aspettavo qualsiasi cosa. Mi aveva già regalato un disegno di noi due sulla spiaggia con scritto “Kevin e la cugina pestifera”. Lo aveva fatto a sette anni, così lo perdonai. Quando apro il regalo di oggi e lo alzo davanti agli occhi, so che Kevin può dimostrare il suo affetto in modi particolari, ma è sempre sincero.
È una maglietta gialla che dice: “La migliore cugina del mondo”. Davvero quel topino mi arriva al cuore.
«Grazie, Kevin. È … stupenda.»
«Grazie, è vero.» sorride.
«E lo dici perché sono la tua unica cugina, non è così?»
«È vero, ma anch’io sono il tuo unico cugino, così siamo pari» e torna alla sua colazione come niente fosse.
Papà mi regala un nuovo cellulare, davvero pratico, ma niente di personale. E sorprendentemente anche Elena ha qualcosa per me, nel momento in cui lo prendo tra le mani so cos’è e mi mortifica che lei mi conosca meglio del mio stesso padre.
È un libro. Ma non un libro qualunque. Una copia di Il Piccolo Principe di Antoine De Saint-Exupéry. Il libro che mia madre mi leggeva sempre da bambina e che porto sempre con me, anche se diventa ogni giorno più vecchio.
«Questo puoi usarlo tutti i giorni e conservare l’altro come un tesoro» dice con naturalezza mentre io continuo a guardare il libro senza sapere cosa dire. «Puoi rovinare questo e fare tesoro dell’altro.»
Alzo lo sguardo e mi rifiuto di provare qualunque tipo di simpatia per questa donna. Non so se lo fa per darmi fastidio o per farmi piacere. Ma mi secca dubitarne, non devo avere dubbi, lei non può amarmi, come io non posso amarla.
«Grazie …» è l’unica parola che riesco a pronunciare.
Dopo colazione salgo nella mia stanza a cambiarmi e a rendermi più presentabile per il pranzo, ma resto a guardare i due volumi di Il Piccolo Principe, uno vecchio e l’altro nuovo. Elena ha ragione, voglio conservare a lungo quello di mia madre e non ci riuscirò se continuo a portarlo con me dappertutto e a sfogliarlo varie volte al giorno. È una buona idea averne una copia che non mi interessa perdere o rovinare. Non so come lo ha saputo e non voglio pensarci, così prendo solo il libro di mamma e lo avvolgo nella plastica di quello nuovo finché saprò dove e come conservarlo. Terrò con me quello di Elena, per ora.
Sì, ho pianto un po’ nella mia stanza, ma mi mancava mia madre. Così ho indossato uno dei vestiti che ho portato da Tampa e che non ho mai usato. Era rosso vino, con le spalline, vita stretta e gonna a campana. La casa era riscaldata così potevo sfoggiarlo.
«Io vado» dico appena suona il campanello. So che è Jake, non ho invitato nessun altro.
Non so perché, ma il mio cuore batte un po’ più forte, è soltanto Jake, ma non posso farne a meno. E quando apro la porta mi manca il respiro per la sorpresa vedendo un enorme mazzo di girasoli tra le sue mani. I miei occhi si riempiono di lacrime e lui perde il sorriso.
«Ehi, volevo solo vederti felice, ma se non ti piacciono li restituirò.»
«NO!» sbotto. «Mi piacciono moltissimo. Grazie.» Lo abbraccio quasi troppo forte, «Prego, accomodati.»
Faccio un addobbo per la tavola con i girasoli proprio come faceva mia madre e in qualche modo la sento vicina, con mia nonna, che mi aiuta, accogliendo di nuovo Jake nella mia vita per non soffocare. Lui è la mia aria.
Mangiamo. È piacevole vedere mia zia e Jake che si aggiornano a vicenda. Non lo ha visto per anni e Kevin non ricorda.
«Ehi Jake, ti piace mia cugina?» chiede Kevin a Jake che arrossisce, mentre io resto immobile in mezzo alla sala da pranzo. Gli adulti sono in cucina.
«Siamo solo amici» chiarisce il mio amico.
«Non era questa la mia domanda» insiste mio cugino.
«Perché non ti stai zitto, cuginetto?» dico a quel topolino, e arrossisco anch’io.
«Ho qualcos’altro da dire» Kevin si rivolge a Jake «Se fai del male a mia cugina dovrò io fare del male a te.»
«Lo terrò a mente» risponde tentando di nascondere un sorriso, come me.
Mio cugino a volte può essere una spina nel fianco, ma in fondo è un bravo ragazzino e so che a modo suo mi vuole bene.
«Può essere pestifera, ma è l’unica cugina che ho» aggiunge prima di dirigersi in cucina per una seconda fetta di dolce.
Non riusciamo più a trattenerci e scoppiamo a ridere. Kevin finisce sempre per rovinare un bel discorso, ma a modo suo è adorabile, con i suoi riccioli biondi sembra uno di quegli angeli dipinti nelle chiese, ovviamente finché non lo conosci per più di cinque minuti.
«Dai, credo che farò attenzione» scherza Jake.
«Dovresti, Kevin è cintura nera.»
«Davvero?» si sorprende.
«No, ma ha una cintura di qualche colore e si sta impegnando per quella nera, quindi fai attenzione.»
Chiacchieriamo ancora un po’ finché chiede il permesso a mio padre di portarmi a prendere un gelato. Kevin vuole intrufolarsi, ma per fortuna mia zia interviene rendendosi conto che vogliamo stare un po’ da soli.
Prendo il mio cappotto, non so a che ora torneremo e cammino con Jake fino a casa sua; lui mi dice che Scott ci porterà dove vogliamo. Dopo gli auguri dei suoi genitori, saliamo sull’auto di Scott e immediatamente mi accorgo della chitarra sul sedile anteriore e sono curiosa.
«Bene … In questa bella serata sono stato assunto come vostro autista» dice Scott cerimonioso, «vi porterò ovunque desideriate, la prima destinazione è stata già decisa, quindi mettetevi le cinture perché andiamo là.»
Jake si siede dietro con me e la chitarra dalla parte del passeggero. Scott accende lo stereo e canta senza nessun ritmo, cambiando le parole. Jake mi sembra un po’ nervoso.
«Dove andiamo?» chiedo.
«Beh … ti darò il tuo vero regalo.»
Attraversiamo il Ponte di Brooklyn verso Manhattan e sono doppiamente curiosa.
«La chitarra ha qualcosa a che vedere con questo?»
«Un po’ di pazienza, principessa» mi interrompe Scott.
Quando arriviamo a Central Park, non so come andrà a finire. Cosa ci facciamo qui?
«Bene, siamo arrivati» conferma Scott. «Jake hai un’ora, non voglio che si faccia troppo tardi per riportare la principessa al suo castello.»
Jake annuisce mentre apre la sua portiera e la tiene aperta per lasciarmi scendere, prende la chitarra dal posto davanti, se la appoggia su una spalla e chiude la porta.
«Andiamo?» mi offre il braccio e io mi appoggio.
«Ma … dove?»
«A trovare un posto tranquillo dove posso cantare per te»
Mi fermo di colpo, lasciando il suo braccio. Anche lui si ferma e mi guarda.
«Dai, andiamo» mi incoraggia e continuo a camminare senza dire niente.
Troviamo un posto tranquillo e ci sediamo sopra una coperta che era nascosta dentro la custodia della chitarra. Fa molto freddo, ma non vorrei essere da nessun altra parte.
«Io … voglio regalarti una canzone, la mia prima canzone originale. La prima di molte, spero» comincia ad imbracciare la chitarra mentre io osservo incantata ogni suo movimento.
«Davvero hai scritto una canzone per me?»
«Ehi, non ti emozionare troppo. In realtà è pessima, ma è tutto quello che ho per ora.»
«È bella» dico, mentre alza la testa dalle corde.
«Non l’ho ancora cantata» sorride.
«So che sarà bella perché l’hai scritta per me» e qui arrossisce di nuovo, è quasi impercettibile, ma io conosco molto bene la tonalità della sua pelle e noto il leggero cambiamento.
«Bene, vado.»
Appena inizia riconosco gli accordi che aveva suonato nella casa sull’albero mentre io scrivevo, cercava di trovare un suono da quando gli avevo chiesto di scrivere qualcosa per me. Questo mi riempie il cuore di un sentimento sconosciuto, ma caldo, come una coperta fatta dalla nonna.
Mentre ascolto la sua voce mi viene la pelle d’oca. Jake canta con gli occhi chiusi, dandomi la possibilità di osservare ogni dettaglio, le sue labbra che si muovono, come le sue parole accarezzano l’aria e arrivano alle mie orecchie.
Non è una canzone pretenziosa, parla di me che chiedo a lui di scrivermi una canzone e di lui che esprime il sentimento di non volersi separare da me un’altra volta. È una canzone triste, ma nonostante questo mi sento felice che lui voglia restare al mio fianco come dice la canzone, anche solo come amico.
L’ultima nota resta sospesa nell’aria, mentre lui apre gli occhi timoroso della mia risposta. Riesco a malapena a trattenere le lacrime, ma appena vedo i suoi occhi non ce la faccio più e mi butto tra le sue braccia, piangendo, la chitarra tra noi due.
«Mi piace molto» mi stacco da lui e lo guardo negli occhi, asciugandomi le lacrime. Lui è senza parole, ma alla fine sorride.
«Allora ne è valsa la pena» afferma, ritrovando la voce.
«La canteresti di nuovo?»
«Di nuovo?»
«Sì … ma aspetta» cerco nella mia borsetta il cellulare che papà mi ha appena regalato, fa delle belle foto e mi viene in mente un’idea. «Non ti da fastidio se ti registro, o sì?»
Jake sembra in imbarazzo vedendo le mie intenzioni, ma sa che non può dirmi di no. Canta di nuovo mentre io tengo in mano il telefono rivolto verso di lui. Le note e la sua voce mi avvolgono ancora e desidero solo che la telecamera possa captare anche le emozioni che fluttuano intorno a noi.