Читать книгу Per Sempre È Tanto Tempo - Morenz Patricia - Страница 6
ОглавлениеCAPITOLO 1
CINQUE ANNI DOPO
Appena metto un piede fuori di casa, mi viene voglia di tornare sui miei passi, mettermi a letto, nascondere la testa sotto le coperte e pregare che il tempo torni indietro. Sì, questo andrebbe bene.
Posso quasi vedere Jake passare da casa mia per andare insieme alla fermata dell’autobus della scuola. Quasi … ma non oggi. Mi chiedo se sa già che sono tornata, se conosce le ragioni per le quali me ne sono andata e cosa più importante perché sono tornata.
Scendo i cinque gradini, arrivo sul marciapiede e osservo entrambi i lati della via, ma non c’è alcun segno di lui. Forse è meglio, non saprei cosa dirgli, come spiegare il mio silenzio durante tutti questi anni.
Inizio a camminare di nuovo guardando il terreno e mi rendo conto che indosso delle scarpe molto simili a quelle che avevo il giorno che me ne sono andata cinque anni fa. Quante cose sono cambiate da allora.
Alzo gli occhi al cielo sperando di trovare la consolazione che tanto mi manca. A New York è un giorno piacevole, con cieli sereni e persone di buon umore; per lo meno a me sembra sia così, dato che contrastano con la mia presenza ombrosa. Non è sempre stato così, il mio colore preferito era il giallo. Mi ricordava i giorni di sole. Per questa ragione lo usavo molto in inverno.
Oggi non so cosa mi aspetta, ma andrò là. Non può essere così male, giusto? Iniziare la scuola superiore senza nessun amico. Forse Jake sarà lì e mi odierà. Sì, sarà fantastico. Quello che ogni adolescente spera. Forse no.
Mi concentro sul suono delle suole delle mie scarpe che pestano il terreno, sulla mia respirazione intermittente, sulle ombre delle persone che mi passano a fianco, sui piccoli insetti che trovo a ogni angolo. Sì, sarà una giornata fantastica. Lo ripeto come un mantra.
Sono così concentrata che quando uno stupido suona il clacson della sua auto troppo vicino a me, mi vedo saltare in aria, come un gatto quando viene aperta una scatoletta di umido. Impreco a bassa voce ricordandomi di tutti i suoi antenati e della sua discendenza, ma alla fine guardo davanti a me e tutta l’aria abbandona i miei polmoni. È lui.
Jake è alla fermata dell’autobus e guarda davanti a sé. Dove sono le mie coperte quando ne ho bisogno? Diminuisco la velocità dei miei passi senza avere idea di cosa dirò quando arriverò al suo fianco. È da solo, stringe forte le cinghie del suo zaino sul petto. Poi abbassa lo sguardo e, senza sapere come, finalmente mi trovo alla sua sinistra. Ho di nuovo un anno e sto imparando a parlare, spero che in lui sia rimasto ancora qualcosa del mio migliore amico.
Ingoio la pallina da tennis che attraversa la mia gola e alzo gli occhi. Ora o mai più.
«Ci … Ciao» mi esce una voce rotta, appena udibile, ma è il meglio che riesco a fare e so che mi sente perché solleva lo sguardo e nei suoi occhi vedo qualcosa che non riesco a decifrare. Dolore?
Impiega troppo tempo per rispondere e per un momento credo che non lo farà.
«Ciao» alla fine mia saluta e torna subito alla sua posizione originaria, come se stesse fissando direttamente il sole.
Meraviglioso, questa era la mia strategia migliore e ora non so più cosa dire. È il momento di improvvisare.
«Sei … grande …»
Davvero? Ho appena detto che è grande? Quasi posso sentirlo rispondere: certo, stupida, te ne sei andata per cinque maledetti anni, certo che sono grande. Il tempo per me non si è fermato.
«Suppongo di sì»
Mi guarda di nuovo per un paio di secondi, studiando non solo il mio viso, ma anche il mio corpo, però non m'imbarazza. «Anche tu sei cambiata.»
«Suppongo di sì» ripeto le sue parole come facevamo da bambini sperando di essere spiritosa, ma ottengo solo un sorriso forzato e finto sulle sue labbra.
«Non sapevo che fossi tornata» parla con un tono di voce piatto.
«Sono tornata da una settimana» confesso e immediatamente i suoi occhi mi fissano furiosi, ma sa trattenersi molto bene e fare finta di niente.
So quello che gli passa per la mente. Sono tornata da una settimana. Una settimana in cui non l’ho cercato.
«Resterai?» chiede con un qualcosa che identifico come speranza, ma non sono sicura.
«Sì …»
Ci guardiamo in silenzio per qualche secondo finché lui distoglie lo sguardo verso un punto indefinito dietro di me.
«Ecco che arriva l’autobus» è l’unica cosa che dice e il momento intimo svanisce.
Salgo per prima e torna la paura, non conosco nessuna di queste persone e quasi tutti i posti sono occupati, dato che non siamo molto lontani dalla scuola. Per un momento penso di chiedere a Jake di sedersi con me, ma cambio idea appena sento una voce.
«Hey, Jake. Ti ho tenuto un posto» dice un ragazzo magro, con la pelle scura, che contrasta con Jake non solo per il colore della pelle, ma anche per il sorriso. Probabilmente è il suo nuovo migliore amico.
Vedo Jake prendere posto a fianco del ragazzo, mentre io passo alla fila successiva. C’è una ragazza con i capelli raccolti in un codino stretto, biondo cenere, un colore difficile da descrivere. Guarda fuori dal finestrino assorta nei suoi pensieri o nella musica emessa dai suoi auricolari. Non sembra una brutta persona, mi ricorda Campanellino – sono tentata di cercare Peter Pan -, così decido di tentare la fortuna.
«Scusa … posso sedermi qui?»
Si spaventa un po’ e subito si toglie uno degli auricolari.
«Sì, certo» risponde con cenno di assenso, timorosa e si addossa al finestrino, anche se c’è spazio sufficiente per entrambe, capisco subito che è timida, forse anche più di me.
«Sono Jocelyn» mi presento perché in realtà non ho nient’altro da dire.
«Sono Meryl» risponde e subito aggiunge «Sì, a mia mamma piace molto Meryl Streep. Sai, l’attrice di Hollywood, solo in caso tu viva sotto un sasso e non sappia chi è …».
In quell’istante qualcosa dentro di me si contrae all’udire la parola mamma, ma mi limito a sorridere. Non ho motivo di angosciare gli altri con i miei problemi. Inoltre, la ragazza è così nervosa che continua a divagare sulle qualità di attrice di Meryl Streep.
Riesco a sentire appena le parole di Jake e del suo amico, ma posso ancora osservarlo. I suoi capelli sono più scuri del solito, un poco più alti sopra che dai lati e con uno stile spettinato che sono sicura non è stato creato di proposito. Indossa una maglietta grigia con una giacca scura come i suoi jeans neri e le scarpe sportive. Sì, alcune cose non cambiano mai.
«Anche tu sei nuova?» chiede Campanellino riportandomi al presente.
«Mm … qualcosa del genere» rispondo incerta, «vivevo qui qualche anno fa, ma me ne sono andata e ora sono tornata per iniziare la scuola superiore.»
«Ah …» sembra delusa. «Allora devi avere degli amici qui, io sono di Washington. Mi sono appena trasferita.»
«Io … non lo so, spero di averne ancora qualcuno.»
In quel momento incontro lo sguardo di Jake. Non so se ha udito le mie parole.
«Io qui non conosco nessuno» si lamenta Meryl «ti da fastidio se siamo vicine di posto in autobus? Ho paura di alcune ragazzine sedute dietro.»
«Certo che no, va bene» rispondo mentre il suo viso s'illumina. Pensa che sia io a farle un favore quando è lei che lo fa a me.
«Possiamo andare insieme anche a vedere le nostre classi» propone entusiasta e subito precisa incerta «Ovviamente, se tu vuoi.»
«Grandioso» le sorrido. Potrei forse dirle di no? È così dolce.
Continuo a osservare Jake e il suo amico, cerco di ascoltare la loro conversazione, ma parlano così a bassa voce che ci rinuncio, finché all’improvviso vedo che alza la mano e da un colpo sulla nuca al suo amico, per scherzo, credo.
«Ahia! Okay! Sto solo scherzando» si lamenta il ragazzo, non riesco a sentire la sua risposta.
Dopo un poco mi guarda di nuovo e accorgendosi che anch’io lo guardo entrambi abbassiamo gli occhi. È così triste vedere ciò che resta della nostra amicizia.
«Ahhh!» grida, sussurra Meryl accorgendosi che abbiamo due ore di lezione insieme ed è una fortuna che la prima lezione di oggi sia una di queste.
«Dai cerchiamo questa classe» la incito per farla camminare.
«Possiamo sederci vicine se vuoi» mi dice di nuovo incerta, questa ragazza ha seri problemi d'inferiorità.
La osservo per un momento. Non si rende conto che è una ragazza piacevole se non inizia a dubitare di se stessa?
«Sì, benissimo» dico con un cenno di assenso.
Camminiamo tra la folla, dopo aver individuato i nostri armadietti, entriamo nella classe per la nostra prima ora di lezione. Ho perso di vista Jake appena scesi dall’autobus, ma lo intravedo di nuovo dalla porta dell’aula. Noto un posto vuoto accanto a lui e per un attimo penso di occuparlo, ma poi Meryl m'indica un paio di posti dall’altra parte, in realtà è quasi la stessa cosa perché avrò Jake alla mia sinistra e la mia nuova amica a destra.
«Guarda, il ragazzo dell’autobus che non smetteva di guardarti» lei sussurra al mio orecchio e le mie pulsazioni accelerano.
Jake mi stava osservando? Lo avevo notato appena, un paio di volte. Non rispondo nulla perché in quel momento entra la professoressa. Adesso sono io che non smetto di osservare di sottecchi il suo profilo, il modo in cui tiene in mano la matita e come la fa rimbalzare contro il quaderno.
Jake è mio amico e lo voglio di nuovo, ma non so come far tornare indietro il tempo e il suo silenzio mi sta uccidendo. Allora mi viene in mente un’idea, forse non posso tornare al momento in cui la nostra amicizia è finita, ma almeno posso provare a riprendere la nostra ultima conversazione. Spero che funzioni.
Strappo un foglio di carta senza fare tanto rumore e scrivo la risposta che gli devo da cinque anni, mentre ricordo il sapore dei biscotti con scaglie di cioccolato sfornati da mia madre. Piego il foglio e appena la prof ci da le spalle per scrivere qualcosa alla lavagna, mi armo di coraggio e mi sporgo per toccargli il braccio senza smettere di guardare davanti a me, anche così sento la sua sorpresa (e quella di Meryl che non smette di fissarmi, incuriosita).
Trattengo il respiro mentre lo vedo aprire il foglio e l’aria torna nei miei polmoni quando noto il barlume di un sorriso che s'impegna a trattenere, con la coda dell’occhio vedo che mi osserva un attimo prima di piegare di nuovo il foglio, continuando a scrivere.
Non so perché l’ho fatto, appena l’ho visto leggere quello che avevo scritto mi sono pentita del mio impeto di sincerità, ero disperata per vedere se il mio amico se ne era andato per sempre, oppure no, in ogni caso non avevo scritto nessuna bugia e lui meritava una risposta, anche dopo tanti anni dalla domanda.
Lui mi aveva chiesto se mi era piaciuto il bacio che mi aveva dato nella casa sull’albero. Mi ci erano voluti anni per accettarlo, ma oggi ho soltanto una risposta ed è quella che gli do adesso: sì, mi è piaciuto.