Читать книгу Per Sempre È Tanto Tempo - Morenz Patricia - Страница 7
ОглавлениеCAPITOLO 2
La mensa della scuola è molto rumorosa. Ho tentato il più possibile di ritardare il mio ingresso in quel recinto infernale. Mi sono accordata con Meryl per incontrarci qui e non sapevo se lei era già arrivata. Do un’occhiata in giro e non la vedo da nessuna parte, ma dei capelli scuri attirano la mia attenzione. Jake, è di spalle e noto che lo sguardo del suo amico si rivolge verso di me con curiosità, stanno pranzando su un tavolo in disparte, da soli. Mi viene l’idea di andare là senza essere invitata, ma non credo sia corretto, quindi cerco un tavolo vuoto all’estremità opposta e aspetto la mia amica.
È stata una mattinata orribile di presentazioni, ho tentato di schivare le domande personali e sono stanchissima, non vorrei fare pena a nessuno. Ho visto alcune facce familiari, ma nessuno mi ha rivolto la parola in tutta la mattinata.
Vedo Jake voltarsi e guardarmi solo una volta, so che lotta con l’idea di avvicinarsi a me o fare finta che non ci sono, ma qualcun altro prende la decisione al posto suo.
«Ciao, mi dispiace per il ritardo, eccomi qui» dice Campanellino «com'è andato il resto della tua mattinata?».
«Niente di buono» mi esprimo, senza molta emozione.
«Sì, un ragazzo ha continuato a darmi dei soprannomi per tutta la lezione, mi ha chiamato persino Campanellino. Ci credi?» non posso evitare di sorridere per queste parole.
«Mi dispiace, ma davvero le assomigli. Ma non farci caso, i ragazzi sono degli idioti.»
«Lo so …» sospira profondamente. «Ma tu, cos’hai con quel ragazzo? Ho visto che gli hai dato un biglietto. Ti piace?» chiede con emozione trattenuta nella voce.
«No !!!» esclamo troppo in fretta.«Lui … una volta era mio amico. Il mio migliore amico, in realtà.»
«E cosa è successo?»
«Me ne sono andata e non ho più saputo nulla di lui.»
«E perché adesso non riprendete la vostra amicizia?»
«Non lo so …» mi stringo nelle spalle.
Il resto della giornata è una noia mortale, abbiamo un’assemblea di benvenuto per i nuovi studenti che viene posticipata, davvero non so come potrò sopravvivere alla scuola superiore. Sono sicura di essere diventata la nemica della ragazza più popolare della scuola quando mi sono scontrata accidentalmente in corridoio con il suo stupido ragazzo, anche lui mi guarda come se avessi dei vermi in faccia. Ragazzi stupidi.
Sono contenta quando termino le ultime ore, ma poi mi ricordo che vedrò Jake continuare la propria vita e il suo nuovo amico sull’autobus e il mio stato d’animo finisce tre metri sottoterra.
Meryl cerca di essere amichevole e simpatica nonostante la sua timidezza, ma in realtà non voglio fare amicizia, voglio solo che finisca questa maledetta giornata. L’autobus si ferma alla mia fermata e vedo Jake alzarsi in piedi mentre io faccio lo stesso. Si avvicina un silenzio imbarazzante, ho questo presentimento.
Iniziamo a camminare senza dire una parola; non avevo mai pensato che il rumore dei passi potesse essere così sconfortante.
«E allora … com'è andata la tua vita?» chiede timoroso.
«Un disastro» ammetto con sincerità, lui sembra sorpreso.
Continuiamo in silenzio per qualche altro metro.
«Mi puoi raccontare, se vuoi» m'incoraggia e lo guardo confusa.
«Perché vorresti saperlo?»
«Perché siamo amici» risponde in un sussurro.
«Lo siamo?»
«Spero di sì.»
«E tu?» cambio argomento «Come va la tua vita?»
«Poteva andare meglio» mi osserva con attenzione.
«Mi puoi raccontare, se vuoi» ripeto le sue parole e questa volta sorridiamo entrambi.
«Sarà per un altro giorno, stiamo già arrivando a casa tua.»
«Sì, ci vediamo domani.»
«Ciao.»
Per la prima volta in tutta la giornata ho la speranza che forse non tutto è perduto.
Elena è stesa sul divano quando entro in casa, credo che stia guardando qualche serie televisiva, è troppo concentrata. Non voglio disturbarla, così salgo tranquillamente nella mia stanza. Va bene, sto mentendo. Sì, voglio disturbarla ed è proprio quello che faccio. Lei è la mia matrigna, ma in realtà non ho alcun rispetto né per lei né per nessun'altra donna che sta con mio padre, che non sia mia madre. Si è sposata con mio padre appena un anno fa e si crede la padrona e la signora della casa.
«Ma tu davvero non hai un lavoro? Eh?» più che una domanda è un'affermazione. Lei subito mi lancia occhiate di fuoco, ma si ricompone.
«Ne avevo uno, ma ho deciso di lasciarlo per un periodo, per occuparmi di tuo padre, della casa e ora anche di te.»
«Di me?!» esclamo offesa. «Non ho bisogno di nessuno che si occupi di me e tantomeno di te o di qualunque donnina che mio padre decida di mettere qui in casa.»
«Jocelyn, non parlare così, tutti vogliamo appoggiarti in questo momento così duro che stai attraversando.»
«L’unica maniera in cui puoi aiutarmi è non incrociando la mia strada» dico con tutto il disprezzo che sento e corro verso la mia stanza.
Mamma … quanto mi manchi. Non dovevi andartene, c’è tanta spazzatura nel mondo che forse questo non era un posto per te, ma ancora non smette di fare male. Mi addormento piangendo, quando vengo svegliata da alcuni colpi alla porta.
«Jocelyn» mi chiama mio padre, più stanco che arrabbiato «scendi a cena, ti stiamo aspettando.»
«Adesso arrivo» è l’unica cosa che riesco a dire.
Mi cambio la maglietta, respiro profondamente preparandomi per una predica di mio padre per aver gridato contro la sua nuova mogliettina. Mi avvicino alla tavola già pronta e mi siedo mentre Elena tira fuori qualcosa dal forno.
«Sai» commenta papà «ti ho dato del tempo perché ti abituassi di nuovo alla casa, ma credo che d’ora in poi potresti iniziare ad aiutare. Inoltre, così ti distrai un po’.»
«Come? Aiutare in cosa?» lo sfido.
Perfetto, ora devo guadagnarmi vitto e alloggio. Non che io sia pigra, ma questa non la sento più casa mia.
«Aiutare Elena a cucinare la cena o preparare la tavola, ogni tanto lavare i piatti o qualcosa del genere.»
«Cosa?! Aiutare Elena? Sei pazzo!» entrambi si guardano imbarazzati. Lei non ha pronunciato una parola finora, ma sicuramente gli ha raccontato la nostra piccola discussione di poco fa.
«Lascia perdere, Charles. Credo abbia bisogno di più tempo» si rivolge a mio padre.
«Non ho bisogno del tuo aiuto» le ribatto.
«Jocelyn, non essere scortese. Elena vuole solo aiutare, entrambi vogliamo aiutarti.»
«Sapete una cosa? … va bene, darò una mano. Per non essere in debito con uno di voi due» gli faccio notare.
«Possiamo cenare in pace, per favore?» protesta papà, sconfitto, mentre Elena fa un cenno di assenso e inizia a servirci.
Mi fa schifo dover mangiare ogni sera qualcosa preparato da questa donna. Sono sicura che il suo cibo piacerebbe a chi non la conosce, ma io riesco appena a digerirlo. E ora vogliono che io la aiuti a prepararlo. Aiutavo sempre mia madre in cucina, era il nostro momento da condividere insieme, se anche la nonna partecipava, la cucina si trasformava in un parco giochi. Niente di più lontano da quello che sarebbe questa piccola esperienza con questa donna.
La osservo di sottecchi prendere con la forchetta un po’ di lasagne, le sue mani magre e le unghie color uva, come il vino rosso che beve mio padre ed è allora che questo piccolo dettaglio che prima non avevo notato si dimostra minaccioso. Lei non ha bevuto una goccia di alcol, né mio padre glielo ha offerto da quando sono qui. Va bene, forse sono paranoica, ma ho visto un paio di foto dove entrambi tengono in mano un bicchiere di vino brindando a chissà cosa. Smetto di pensare sciocchezze e mi concentro sul finire la mia cena. C’è un silenzio di tomba interrotto solo dalle posate che sbattono contro i piatti.
«Jocelyn, vogliamo parlare con te di una cosa importante» inizia papà «sappiamo che questo non è facile per te.»
Allora prende la mano di Elena e il mio stomaco si rivolta.
«No, non lo è» ammetto sprezzante.
«Lo sappiamo, figlia mia, e per questo non do importanza a tutti questi tuoi comportamenti negativi, ma voglio chiederti per favore di non sfogare la tua rabbia con Elena.» Sì, gli ha raccontato tutto. La fulmino con lo sguardo e lei abbassa gli occhi.
«Lei deve stare tranquilla, voglio che cerchiamo tutti di essere una famiglia» sento i miei occhi riempirsi di lacrime, «soprattutto adesso.»
Tutto il mio corpo si paralizza aspettando le sue prossime parole. Non so come, ma lo so prima che lo dica.
«Elena è incinta, avrai un fratello o una sorella, Lyn.»
Sento i muri chiudersi intorno a me e inghiottirmi, sbuffo così forte che mi viene la nausea.
«Stai parlando seriamente?!» mi alzo dalla sedia facendola cadere a terra. «Non ti è bastato sposarti con lei? Ora la metti incinta e speri che io accetti tutto questo e giochi alla famiglia felice. No!» grido impazzita.
«Non sto dicendo questo» esclama papà alzando anche lui un po’ la voce, «voglio solo che tu dia un’opportunità ad Elena e che troviamo il modo per andare avanti tutti insieme.»
«Questa non è la mia vita, papà …» sussurro atterrita. «Non è la vita che voglio!!! Non voglio alzarmi e vedere ogni giorno la puttana che hai sposato che porta in grembo tuo figlio!»
«Scusati subito con Elena» papà sembra sul punto di picchiarmi, ma io non desisto.
«Non ci penso proprio! Non penso di scusarmi a dire la verità!» corro nella mia stanza e chiudo la porta con tutte le mie forze.
Posso sentire i passi di mio padre che salgono le scale e quelli di Elena dietro di lui.
«Jocelyn! Apri questa maledetta porta!» urla fuori di sé, mentre io affondo il viso nel cuscino per soffocare i miei singhiozzi.
«Lasciala stare, Charles. Lascia che si calmi» lei dice a papà tentando di tranquillizzarlo ed è quello che mi dà più fastidio, il ruolo di mediatrice che vuole adottare, so che è falso, deve esserlo.
«Va bene … ma domattina mi aspetto queste scuse» sentenzia mio padre prima di allontanarsi dalla porta.
«Aspetta e spera,» penso.
Perché c’è così poco ossigeno in questa maledetta stanza? Mi sto asfissiando. Sento la necessità di uscire, ma non so dove andare, non ho nessuno a cui rivolgermi. Penso di scappare e andare a trovare Jake, ma ancora non è il momento giusto. Poi ricordo le parole di mia zia.
«Chiamami se hai bisogno di me, non importa l’ora», ma la verità e che non riesco a parlare e la farei solo preoccupare.
Decido di affrontare da sola tutto questo, così tiro fuori il mio quaderno giallo dallo zaino e mi metto a scrivere, non so nemmeno cosa, so solo che le parole che non riesco a esprimere a voce alta si riversano dalle mie dita sulla carta, come le lacrime dai miei occhi.
Con gli auricolari a volume massimo mi addormento ascoltando “Unsteady” degli X Ambassadors. Quanto mi manchi mamma.
***
Sento un movimento nel corridoio anche prima di poter aprire gli occhi. Sicuramente mio padre si sta preparando per andare al lavoro, con Elena che gli ronza intorno come un’ape nel suo alveare, l’immagine mi fa venire i brividi.
So che devo alzarmi, ma non trovo alcuna motivazione per farlo.
Davvero so che non posso rimandare ancora questo momento, devo scendere al piano di sotto e affrontare la mia nuova vita. Quando faccio la mia comparsa in cucina, entrambi stanno facendo colazione in silenzio. Non dico una parola e mi siedo a tavola, aspettando che qualcuno parli.
«E quindi …?» grugnisce papà «Stiamo aspettando.»
«Cosa?» faccio finta di non capire.
«Le tue scuse. Suppongo che tu abbia riflettuto durante la notte, quindi non uscirai da qui finché non le avremo ascoltate.»
Solo l’idea di passare tutta la giornata rinchiusa con questa imitazione di matrigna, mi provoca l’emicrania, non devo sentirlo davvero per dirlo, giusto? Se così posso uscire da questo mondo parallelo dove tutto fa schifo lo farò, che importa. Mi schiarisco la gola prima di scagliare le parole che bruceranno appena pronunciate.
«Io … mi dispiace.»
«Di cosa ti dispiace?» vuole sapere mio padre, mentre Elena gli afferra il braccio come volendo chiudere la questione.
«Mi dispiace per ieri sera» chiarisco senza guardare nessuno dei due e senza molta convinzione nella voce. Mio padre mi osserva per un attimo.
«Va bene … per ora accetteremo le scuse, anche se so che in realtà non ti dispiace» inizia ad alzarsi in piedi «sbrigati, non voglio che arrivi tardi, buona giornata, ci vediamo a cena.»
Termino di fare colazione e ho appena il tempo per qualche respiro profondo e prendere il mio zaino, voglio davvero uscire da qui. Non saluto nemmeno Elena quando le passo accanto e corro in strada, ma mi fermo di colpo quando vedo Jake vicino casa mia. Mi sta aspettando?
Riesco quasi a sentire un sorriso che si affaccia sulle mie labbra, ma prima devo essere sicura che non è un sogno. I nostri occhi s'incrociano e lo vedo raddrizzare la postura. Si ravvia i capelli con un gesto nervoso della mano. Mi avvicino lentamente, non smette di osservarmi. Mi pento di non essermi truccata per nascondere le occhiaie e la mia faccia insonne. Avrei dovuto rubare il correttore a Elena, che sicuramente ne usa molto.
«Puoi fare con calma un altro giorno, perché credo che oggi siamo un po’ in ritardo» commenta serio, ma nascondendo un sorriso.
«Possiamo arrivare in tempo» lo sfido.
«Ah, sì? Come?»
«Propongo una corsa, a partire da adesso!» parto sparata mentre lui impiega un paio di secondi per capire cosa ho appena fatto.
Da bambini lo facevamo sempre quando eravamo in ritardo o quando semplicemente ci annoiavamo. Mi sento così viva di nuovo, ho di nuovo nove anni e la mia unica preoccupazione è prendere buoni voti a scuola e avere tempo per stare con il mio migliore amico.
Sento le sue lunghe gambe dietro di me, le sue scarpe contro il marciapiede quando mi raggiunge e alla fine mi sorpassa.
«Mi dispiace … forse un altro giorno ti lascerò vincere» ripete le parole che diceva sempre da bambino.
Per niente seccata di avere perso, voglio solo lanciarmi su di lui e abbracciarlo affinché tutto torni a essere come prima. Entrambi sorridiamo mentre riprendiamo fiato, quando vediamo avvicinarsi l’autobus giallo. Cerchiamo di respirare normalmente, ma ogni volta che ci guardiamo, sorridiamo come stupidi e in quel momento mi rendo conto di quanto mi è mancato tutto questo. Non so se lui prova le stesse cose, finché mi lascia salire per prima sul bus e quando gli passo accanto, mi sussurra: mi sei mancata molto.
«Se sapessi, quanto tu sei mancato a me» penso, e prego che il mio sorriso per lui rifletta meglio ciò che sento in questo momento.