Читать книгу Solo chi è coraggioso - Морган Райс, Morgan Rice - Страница 10
CAPITOLO DUE
ОглавлениеDust girovagava per l’isola mentre il caos regnava attorno a lui. Gli era difficile comprendere ciò che stava accadendo. Il fuoco esplodeva attorno ai suoi piedi, e lui semplicemente non reagiva. Invece continuava ad arrancare, con le rocce che gli crollavano accanto, l’intera isola che stava implodendo nel genere di entropia che Dust non avrebbe mai creduto possibile prima di aver guardato nello specchio.
“Mi sono sbagliato,” mormorò tra sé e sé mentre avanzava. “Mi sono sbagliato un sacco.”
Una volta aveva creduto in un mondo dove i sacerdoti erano tutto, e aveva mantenuto il destino sul suo unico corso predefinito. Poi era stato sicurissimo di poter scegliere una via tra quelle offerte dal fato. Aveva visto gli orrori in arrivo, aveva visto la morte che andava fermata.
Ora Dust non sapeva che pensare.
Inciampò andando avanti, mentre i massi gli cadevano attorno. Non tentava di schivarli, ma loro lo mancavano comunque, forse grazie a qualche rimasuglio di irragionevole conoscenza che gli faceva mettere i piedi nei punti giusti.
“Com’è possibile?” si chiese. “Come si può comprendere la vastità del tutto?”
Ora capiva perché si dicesse che lo specchio faceva impazzire la gente, anche se nessuno gliel’aveva detto, no? Era stata solo una delle tante cose che aveva visto. Aveva visto tutto, e quel tutto era davvero troppo per una sola mente. Aveva visto tutto ciò che aveva già visto un tempo nel fumo dei sacerdoti, e un milione di altre cose accanto a quelle.
La lava esplose accanto a lui, e Dust si voltò a guardarla con sguardo vuoto, gli occhi che quasi non la vedevano. Non c’era spazio per questo dopo tutte le cose che sarebbero potute succedere, e che erano successe, e che non sarebbero mai successe, ogni cosa raggomitolata in una palla che era impossibile sbrigliare.
“Ho fatto così tanto,” disse, arrampicandosi su un pezzo di ossidiana e non sentendo neppure i punti in cui i suoi palmi si tagliavano. “Pensavo…”
Poteva vedere in modo molto chiaro ciò che aveva pensato. Prima aveva creduto che i sacerdoti avessero ragione, e aveva fatto quello che gli ordinavano. Aveva fatto ciò che i segni sembravano suggerire, anche quando questo significava uccidere delle persone che non gli erano state nemiche e che non sarebbero mai state una minaccia per lui. Anche quando si era reso conto dei giochetti dei sacerdoti, aveva fatto delle scelte che avevano fatto del male alla gente. Aveva riversato la sfortuna in un anello per causare il caos. Era venuto a caccia di Royce…
“Merito di morire,” disse Dust. “Me lo merito.”
Continuò ad avanzare barcollando, cercando di capire il modo migliore per farlo, cercando di capire cosa fare. Camminò attraverso un prato ricoperto da quelle che sembravano schegge di vetro, non curandosi se si tagliava le gambe. Con la coda dell’occhio vide qualcosa che gli correva incontro.
Dust si girò senza pensarci, spostandosi ed evitando un colpo di lancia destinato al suo cuore. Una creatura dalle sembianze di una lucertola gli sibilò contro, tirando indietro la lancia, pronta a sferrare un altro colpo. Dust fece un passo in avanti, colpendole la gola con le dita rigide. La creatura barcollò all’indietro, annaspando, e Dust le fu subito addosso pugnalandola al petto con un coltello, così vicino che ora poteva sentire il calore del sangue su di sé. In quel momento gli sembrava l’unica cosa che poteva sentire.
Quando la bestia cadde a terra, Dust si maledisse per aver contrattaccato. Avrebbe potuto restare fermo, avrebbe potuto permettere alla creatura di ucciderlo come meritava per tutto quello che aveva fatto.
“Puoi ancora farlo,” disse Dust. Osservò il coltello che aveva in mano, la lama che brillava al sole e che quasi lo ipnotizzava, nonostante il sangue scuro che ora lo ricopriva. Sarebbe stato così facile farlo scorrere lungo la propria gola, o piantarlo nei punti dove il sangue del corpo scorreva vicino alla superficie. Certi promessi Angarthim che si erano allenati con lui l’avevano fatto, quando gli sforzi imposti dai sacerdoti erano diventati insopportabili, conducendoli alla pazzia.
Se non con il coltello, allora c’erano cento altri modi per morire. Poteva sdraiarsi ai piedi di una creatura-lucertola, o lanciarsi da una scogliera. Poteva mettersi sotto a un masso che cadeva, o buttarsi in mezzo al fuoco. Poteva anche solo sedersi dove si trovava adesso. Su un’isola come quella, era più difficile tenersi in vita che morire, eppure Dust in qualche modo resisteva.
Era dubbioso, e mentre pensava, cercò di capire tutto ciò che aveva visto, ma non c’era modo di spiegare le cose. Aveva sempre pensato in termini di una singola linea del destino da poter scegliere, e invece c’erano decisioni che si diramavano in una rete di possibilità, fino a che nessuno poteva dire quale di queste cose sarebbe davvero accaduta.
Aveva visto tutto ciò che aveva visto prima, con la luce di Royce e il buio e il sangue che ne sarebbero seguiti, ma Dust aveva anche visto tutti i modi in cui non sarebbe successo, e tutta la luce che si sarebbe potuta trovare oltre. Aveva appreso della propria libertà, ma aveva dimenticato quella di ogni altro essere al mondo.
Aveva dimenticato la speranza.
“Speranza?” chiese parlando al vento. “Quale speranza c’è qui, su un’isola che sta crollando? Che speranza c’è di disfare ciò che ho già fatto?”
Conosceva già la risposta a questa domanda. Aveva visto un momento più potente di quelli che gli erano apparsi nel fumo dei sacerdoti. Più certo, più cruciale. Aveva visto una battaglia, e una figura con un’armatura scintillante che brandiva una spada di cristallo con abilità incredibile. Aveva visto quella figura uccidere, e aveva capito che quello era il momento che contava.
Dust si guardò attorno e si rese conto che in qualche modo aveva raggiunto la costa dell’isola. Lì c’era una barca che non era sua, ma era leggera, e aveva remi, e fu facile per lui spingerla in acqua mentre alle sue spalle l’isola crollava a pezzi.
Saltò nella barca, guardando il cielo sopra di sé e tentando di decidere cosa fare adesso, ma in verità Dust già sapeva quello che doveva fare. Si mise a sedere, fissando l’acqua, guardando l’isola che aveva attraversato venendo qui e contemplando ciò che sarebbe stato necessario per salvare il mondo.
Si mise a remare.
Mentre remava, considerò il problema centrale della cosa che avrebbe dovuto gestire adesso: un avversario che sembrava così ben protetto da non poterlo sconfiggere. Tanto che il solo tentativo lo avrebbe potuto distruggere.
Ma a Dust questo non importava: lui bramava la distruzione. Se gli fosse piombata addosso, l’avrebbe accolta a braccia aperte.
“No,” disse a se stesso. “Non prima di fare ciò che devo.”
Per quanto riguardava il farlo effettivamente, avrebbe trovato un modo. Lui era un Angarthim, con tutto l’addestramento che ne conseguiva. Forse lui era davvero l’unico che poteva farlo. Poteva scivolare silenziosamente sull’isola, e…
“Non funzionerà,” disse. Fu un’occhiata alle nubi sopra all’isola a dirglielo. I segni erano pieni di morte e di ciò che la anticipava. Lui poteva anche essere furtivo, ma avrebbe fallito e sarebbe morto. Doveva trovare un altro modo.
Dust ora lasciò che la barca andasse alla deriva, sapendo che le correnti del punto in cui si trovava l’avrebbero portato all’isola che voleva. Prendendo uno dei remi e il più affilato tra i suoi coltelli, iniziò a intagliare. Avrebbe potuto farne un altro se fosse sopravvissuto a questo.
Tagliuzzava il legno con mani sicure, raschiando riccioli dal manico del remo fino a che iniziò a formarsi una punta. Dust la rifinì con decisione mentre la corrente lo trascinava verso l’isola, trasformando il bastone in una cosa affilata come l’acciaio, producendo un giavellotto leggero, equilibrato e letale.
Prendendo una borsa che teneva alla cintura, Dust mescolò il contenuto con acqua di mare, poi vi immerse la punta della lancia appena creata. Il legno sibilò a contatto con la pozione che aveva creato. Dust gettò la borsa in mare: era troppo pericolosa per toccare adesso ciò con cui la polvere era venuta a contatto.
Si avvicinò di più alla costa, e già poteva sentire l’attrazione verso l’isola in quel frastornante e dolce profumo che sembrava riempire ogni poro, facendogli provare il desiderio di avvicinarsi.
La donna uscì dalla foresta, ed era la creatura più bella che Dust avesse mai visto, anche se parte del suo cervello vide anche oltre, in quel momento. Vide una donna che era tutto ciò che aveva sempre voluto, e allo stesso tempo vide gli artigli.
Lanciò il giavellotto. L’arma volò in aria e la donna ruotò su se stessa, veloce come un serpente, rimanendo solo sfiorata. La punta graffiò la pelle, e Dust poteva solo sperare che il veleno facesse il suo lavoro.
Ma la creatura non cadde. Invece il profumo attorno a Dust si intensificò, e lui capì che doveva lanciarsi in avanti, tuffandosi in acqua e trascinando la sua barca sulla spiaggia.
Lei lo stava aspettando, e lui si rese conto di cos’era. Era impossibile, perché la sua bellezza gli faceva male solo a guardarla. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei in quel momento. Qualsiasi cosa.
“Sono Lethe,” disse lei, con voce morbida come il miele. “Tu come ti chiami?”
“Dust,” le rispose lui.
“E mi ami, Dust?”
“Ti amo,” confermò lui.
Lethe fece un passo verso di lui, le braccia aperte, la sua bellezza completa, perfetta, assoluta.
“Pensavi davvero che la tua piccola lancia mi potesse uccidere?” gli chiese. La sua bocca era schiusa in un sorriso che era allo stesso tempo bellissimo e troppo pieno di denti.
“No,” ammise Dust.
“No?” La cosa parve prendere Lethe di sorpresa.
“Il veleno che contiene non uccide. Non avevo niente che potesse ucciderti. Ma ho delle cose che ti possono indebolire.”
“Indebolirmi?” Dust poteva sentire ora la paura nella sua voce.
“Ti amo, ma sono un Angarthim, e noi possiamo uccidere coloro che amiamo, se il fato lo richiede.”
Dust colpì con un coltello, la lama che volava contro la gola della donna. Lethe non ebbe neanche il tempo di gridare. Cadde e basta. Dust aveva reso la sua fine il meno dolorosa possibile, perché cos’altro poteva fare per qualcuno che amava così tanto?
Si inginocchiò lì e pianse nel suo dolore. Pianse sia per ciò che aveva perso in Lethe, e perché doveva ancora essere l’assassino che era stato.
A Dust parve di metterci un secolo prima di sentirsi sufficientemente forte da alzarsi di nuovo in piedi e inoltrarsi nell’isola. Il posto sembrava diverso ora, morto come la creatura che prima lo governava, privo di vita e silenzioso mentre Dust cercava.
Trovò quello che stava cercando poco distante dalla capanna, gettato in un mucchio, come se semplicemente fosse roba di nessuna importanza. In effetti, immaginò Dust, non aveva avuto importanza confronto all’amore di Lethe. Dust prese la spada di cristallo, togliendola dal fodero solo per poter ammirare come la lama brillava alla luna prima di riporla. La avvolse nell’armatura, prendendo entrambe e tornando in direzione della sua barca.
Ci mise un’altra ora a intagliare un altro remo, un’ora dopo di questo per raccogliere frutti e acqua fresca dalla foresta. Dust caricò tutto sulla barca e la spinse in acqua.
Iniziò a remare verso la terraferma, sapendo che il destino era lì davanti, per lui, per Royce, per tutti.