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CAPITOLO TRE

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Genevieve stava scoprendo che la vita alla corte del re era diversa rispetto a quella che conduceva al palazzo del padre di Altfor. Prima di tutto, la gente la guardava come se fosse effettivamente una nobile, piuttosto che lanciarle occhiate commiserevoli e di sprezzo che sottolineavano la sua origine da ragazza contadina portata via dalla sua vita precedente.

E in secondo luogo, c’era la costante sensazione di minaccia che proveniva dal sapere che ogni passo falso la poteva far ammazzare.

“Gli uomini di Lord Ber saranno qui prima dell’offensiva finale contro il nemico?” chiese re Carris a un consigliere, alzandosi dal suo trono e camminando avanti e indietro nella sala dei convegni dove stava discutendo i suoi piani.

“Non ci sono ancora notizie, mio re,” disse l’uomo.

“Il che significa che non ha in programma di venire qui,” rispose il re con tono secco. “Sta aspettando di vedere chi vincerà. Le nostre possibilità sembrano così misere?”

“No, mio re,” disse l’uomo. “Devo inviargli altri messaggi?”

“Solo uno,” disse re Carris. “Digli che se non porta i suoi uomini dal mio esercito in tempo, ucciderò lui e la sua famiglia, e chiunque altro si metta dalla sua parte. Questa è una lotta contro la gente che vuole portarmi via il regno: se non si unisce a me in questa battaglia, allora è un mio nemico.”

“Subito,” rispose l’uomo.

Arrivarono altri consiglieri e messaggeri, ciascuno con alcuni frammenti di notizie sull’imminente conflitto. Un lord venne avanti e si inginocchiò.

“Mio re,” disse. “Sono Sir Verris di Yall. Ho portato trecento uomini con me al servizio del vostro esercito.”

“Avete la mia riconoscenza, Sir Verris,” rispose il re. “Verrete ricompensato. Il vostro posto sarà con la fazione che attaccherà da nord.”

Genevieve stava verso il fondo della folla di gente, cercando di prendere nota dei nomi e dei numeri, man mano che gli uomini venivano a giurare fedeltà alla causa del re. Si sarebbe scritta ogni cosa per essere certa di avere tutto per le mani, ma qualcuno l’avrebbe vista.

Altfor l’avrebbe vista. Lui si trovava più avanti, dove poteva essere notato da tutti, il più vicino possibile al re. Anche così, però, i suoi occhi sembravano sempre seguire Genevieve, sfidandola a fare un errore nel pericoloso gioco che stava conducendo.

“Jani tornerà presto,” disse Genevieve tra sé e sé. “Ricorderò tutto fino a quel momento.”

Doveva sperare che la spia che lavorava per sua sorella fosse riuscita a tornare da Sheila. Con le informazioni che Genevieve aveva inviato, forse Royce sarebbe riuscito a vincere senza tutte le morti che l’imminente battaglia prometteva. Genevieve aveva già mandato informazioni riguardo all’assalto via mare che sarebbe arrivato da nord. Ora sperava di trovare qualcosa che li aiutasse a vincere direttamente.

“Ditemi della flotta,” disse re Carris.

Un uomo con indosso abiti che sembravano più costosi di quelli di un marinaio si fece avanti. Aveva dei gioielli che lo adornavano e che sembravano essere stati rubati da una dozzina di posti diversi.

“Siamo pronti e aspettiamo di trasportare i vostri soldati, mio re. Non appena saremo pagati.”

“Mentre siamo qui a parlare, il denaro sta viaggiando dal mio tesoro,” promise re Carris.

Genevieve si trovò a chiedersi se ci fosse un modo per sabotare la consegna. Se fosse riuscita a far avere a Sheila quella informazione, allora sarebbe stato possibile organizzare il furto del denaro, o almeno un ritardo nel trasporto. Stava per trovare una scusa per congedarsi dalla sala, quando si fermò, provando una sensazione simile a gelo che la pervadeva.

Ma non era il genere di gelo che aveva a che vedere con il mondo fisico. Era invece come se qualcosa di molto sottile le stesse sussurrando nell’anima, e Genevieve si trovò a girarsi automaticamente verso la porta. Tutti nella stanza fecero lo stesso, muovendosi all’unisono per guardare le figure che stavano entrando.

Erano a decine, con la pelle grigia e la testa rasata, anche se molti di loro portavano la barba, o delle catene d’oro attorno al cranio, o tatuaggi raffiguranti simboli mistici. Indossavano delle tuniche grigio scuro, alcuni con i cappucci tirati sulla testa. La maggior parte di loro si guardò attorno nella stanza con occhi intensi. Quello che stava a capo del gruppo era tanto vecchio da dover camminare con l’aiuto di un bastone, piegandovisi sopra a ogni passo. I suoi occhi incrociarono quelli di Genevieve per un momento, e lei si trovò a rabbrividire involontariamente.

“Chi siete?” chiese re Carris. “E perché siete qui, nella mia corte?”

“Siamo i sacerdoti degli Angarthim,” disse l’anziano. “Vediamo tutto quello che deve essere, e inviamo gli Angarthim per assicurare che accada come deve. Io sono Giustinio, il sommo tra i sacerdoti.”

“Ancora questo non mi spiega perché siate qui,” disse re Carris. “O perché non dovrei farvi uccidere.”

“Siamo qui perché la vostra causa è la nostra, re Carris,” disse Giustinio. “Non potremo mai permettere che il ragazzo che si chiama Royce diventi re.”

“Avete attraversato l’oceano per dirmi questo?” chiese il re, e per un momento Genevieve pensò che potesse reagire con tutta la rabbia che aveva già visto in altre occasioni, quando aveva ucciso certi prigionieri con le sue stesse mani.

“Abbiamo guardato nei futuri, e abbiamo visto la distruzione del nostro ordine nell’ascesa di Royce al potere,” disse Giustinio. Se aveva paura di re Carris, non lo dimostrava per niente. “Abbiamo inviato uno dei nostri Angarthim a ucciderlo, ma in qualche modo ci ha traditi.”

“Quindi siete dei falliti?” chiese re Carris.

L’aria si increspò e in quel momento Genevieve ebbe l’impressione che ci fosse qualcosa accanto a lei, qualcosa con artigli, denti e fame. Le ci vollero tutte le sue forze per non gridare. Molti dei presenti non furono altrettanto coraggiosi. Molti sguainarono le spade, e un uomo cadde a terra tenendosi le mani al petto.

Con la stessa rapidità con cui era arrivata, la sensazione di strane presenze scomparve, lasciando i sacerdoti Angarthim al centro della stanza, fermi e con i loro sguardi letali.

“Non siamo privi di poteri,” disse Giustinio. “Quando giungerà il momento, porteremo questo potere in vostro aiuto.”

Si spostò e si portò accanto al re, senza che gli venisse richiesto, mentre gli altri formavano una linea davanti ai nobili. Nessuno sollevò obiezioni.

Genevieve pensò che potesse essere per il pubblico, ma vide che re Carris si stava trattenendo a fatica.

“Che altro?” chiese. “Che altre novità ci sono? Che novità ci sono sui miei nemici?”

Un messaggero si fece avanti, tremando con evidenza. “Abbiamo notizie di Royce, mio re,” disse. “Viaggia tra i villaggi reclutando gente comune per la sua causa. Dicono che il vecchio re è tornato.”

“E allora sono degli sciocchi,” disse re Carris. “E cosa vorrebbe far insorgere Royce nei villaggi? Un esercito di contadini?”

I nobili si misero a ridere, ma non tutti. Alcuni di loro avevano ovviamente capito che i numeri sarebbero stati importanti, e Genevieve dal canto suo sapeva con quanta forza combatteva la gente quando doveva proteggere la propria casa.

“Comunque, saperlo sarà utile,” disse re Carris. “Saprò in anticipo quali villaggi sono pieni di traditori: quali debbano andare distrutti e quali potrò invece ricompensare per la loro lealtà.” Si guardò attorno. “Non c’è dubbio: questa è una lotta non solo contro un usurpatore, ma per il nostro intero modo di vita. Anni fa abbiamo combattuto per destituire Filippo, e tutti i suoi modi. Abbiamo combattuto contro un mondo dove un uomo può affermare di essere re per qualche dettato di magia, piuttosto che per ereditarietà di carica dovuta a nobili origini di nascita. Qualcuno di voi tornerebbe a quei tempi? C’è qualcuno?”

Mentre i nobili declamavano a gran voce la loro risposta, Genevieve iniziò a capire come re Carris fosse riuscito a diventare re. Aveva il carisma per convincere la gente, e la spietatezza per uccidere coloro che gli si opponevano. Era una combinazione pericolosa.

“Ora andate a eseguire i vostri compiti,” disse re Carris. “E…”

“Mio re,” disse Altfor. “C’è un’altra cosa.”

“Che cosa, duca Altfor?” chiese il re. Genevieve vide suo marito gongolare sentendosi definire con il suo titolo. Si chiese se anche lui notasse l’impazienza del re.

“C’è un dono per voi, mio re,” disse Altfor. “Da parte di lord Aversham. L’ho incontrato al cancello.”

“Che dono?”

Altfor fece un cenno verso la porta. Quando si aprì, Genevieve si sentì il cuore in gola. Questo non era un gruppo di sacerdoti, non era la paura letale che veniva dalla presenza degli Angarthim. Questo era molto peggio.

C’era Moira, accompagnata da un nobile e da un gruppo di cavalieri. Spinsero davanti a loro una figura, legata e malconcia, e Genevieve riconobbe Garet all’istante. Il giovane barcollò e uno dei cavalieri gli diede un calcio, facendolo cadere disteso a terra. L’uomo a capo del gruppo fece un inchino.

“Vostra maestà.”

“Lord Aversham, cosa mi avete portato?”

“Vi ho portato ciò che Lady Moira ha portato a me,” disse Lord Aversham.

Genevieve sentiva un formicolio alle dita mentre Moira veniva presentata. Parte di lei avrebbe voluto saltarle addosso a strangolarla per quello che aveva fatto. Questo… questo era peggio di tutto il resto messo insieme.

“Questo è il fratello di Royce,” disse Altfor. “O almeno uno dei ragazzi con cui è cresciuto. Stava cercando di sovvertire i lord portandoli a supportare la causa di Royce. Solo l’astuzia di Moira le ha consentito di portarlo a Lord Aversham, che è leale.”

“Come siete leale voi, Altfor,” disse re Carris. “Avete i miei ringraziamenti. E anche voi, Lady Moira. Ora, guardie… prendete questo ragazzo e mettetelo in catene. Voglio sentire tutto quello che sa.”

“Non vi dirò niente,” disse Garet.

“Oh, sì invece,” promise re Carris. “Quando sentirai i ferri ardenti sulla pelle, parlerai come fanno tutti.”

Le guardie entrarono e afferrarono Garet. Lo trascinarono via, anche se lui lottava, e Genevieve si sentì spezzare il cuore mentre lo guardava. Era ancora peggio che guardare Altfor che si avvicinava a Moira e le metteva un braccio attorno alle spalle, così davanti agli occhi di tutti, come se Genevieve neanche fosse lì. Altfor guardò verso di lei e sorrise in modo crudele, chiaramente sapendo benissimo quali effetti avrebbero avuto le sue azioni su di lei.

Genevieve lottò per non mostrare alcuna reazione, nonostante il modo in cui le ribolliva il sangue. Uscì dalla sala, ma alla stessa velocità degli altri nobili, assicurandosi di non correre, di non lanciarsi a forza verso l’aria fresca che c’era oltre le pareti del castello.

Quando fu uscita però, inspirò l’aria con forza e a scatti, cercando di non gridare per tutto ciò che era appena successo. Gli orrori inflitti dai sacerdoti già erano stati terribili di per sé, ma vedere Garet lì, a quel modo, era stato molto peggio.

Genevieve ora sapeva per che motivo era lì, perché era rimasta nella corte del re invece di scappare con sua sorella a Porto Autunno. Aveva sperato di trovare qui qualcosa da fare per poter cambiare le cose, e ora vedeva che c’era effettivamente qualcosa che andava ben oltre le informazioni da origliare.

Poteva salvare Garet, doveva farlo. Se fosse arrivata a lui, allora avrebbe potuto tentare di trovare un modo per liberarlo. Se avesse potuto salvare il fratello di Royce, allora forse questo sarebbe bastato a farla perdonare per tutto il resto che era successo.

E se avesse trovato un modo per uccidere Moira nel contempo, allora tutto sarebbe stato perfetto.

Solo chi è coraggioso

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