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CAPITOLO SETTE

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Mentre navigavano, Royce era consapevole del senso di speranza che aleggiava sulla barca. Avevano trovato suo padre, lo specchio stava nella sua borsa sul fondo dell’imbarcazione e ora erano diretti verso casa. Avevano davvero fatto quello che avevano programmato di fare, nonostante tutte le sfide che si erano trovati davanti sulle Sette Isole. Se erano riusciti a fare questo, probabilmente sarebbero riusciti a completare anche tutto il resto.

“È davvero il re,” sussurrò Mark, guardando verso il punto in cui si trovava seduto il padre di Royce, intento a osservare le onde. Il ragazzo sembrava stupefatto e attento a seguire ogni singola mossa di re Filippo, come se fosse in attesa di istruzioni da parte sua.

“Ed è anche mio padre,” disse Royce. Per quanto lo riguardava, quella era la cosa più importante.

“Tuo padre, il re,” confermò Mark. “Mi spiace, so come suona, e hai fatto un sacco di cose impressionanti anche tu, ma te ti conosco.”

“E con il tempo conoscerai anche mio padre,” disse Royce. Lui stesso voleva conoscere meglio suo padre. Dopo tutto quel tempo divisi, avevano tantissime cose da recuperare. Royce voleva sapere tutto ciò che suo padre aveva fatto da quando se n’era andato, e voleva capire di più che genere di uomo era.”

Iniziò ad avanzare, andando verso il punto in cui sedeva suo padre. Questo significava passare accanto a Matilde e Neave che stavano appollaiate nel mezzo. Le due sembravano discutere su una qualche storia che riguardava le imprese di suo padre.

“Te lo dico io,” disse Matilde. “Era un grande eroe. Ha lottato contro i nobili.”

“Era un nobile,” ribatté Neave. “E poi ha perso contro i nobili.”

“Ha combattuto contro dei mostri.”

“Anche noi abbiamo combattuto contro dei mostri,” sottolineò Neave.

“Ha dato la caccia ai banditi per tenere le strade sicure.”

“Alcuni di loro erano Picti.”

“È questo il problema? Non ti piace perché ha combattuto contro i Picti? Perché pure io ho combattuto contro i Picti. Ti ho battuta, ricordatelo.”

“Va tutto bene?” chiese Royce, prima che la discussione potesse decollare e andare oltre. Era sempre difficile dire se quelle due stessero davvero discutendo o meno.

“Neave non pensa che tuo padre sia qualcuno che vale la pena di seguire,” disse Matilde.

Neave scosse la testa. “Sei tu quella che pensa che dovremmo seguirlo alla cieca, senza pensare.”

“Neave?” disse Royce accigliandosi. La ragazza Picti aveva qualche genere di problema con il ritorno di suo padre?

“Sono felice che l’abbiamo trovato,” disse lei, “e so che ci tornerà utile nelle battaglie che ci saranno, ma Mark e Matilde lo stanno guardando come… è quasi il modo in cui guardavamo Lethe. Niente discussioni, nessuno pensiero: solo meraviglia.”

“Perché abbiamo ritrovato il re legittimo!” insistette Matilde. “Cosa vuoi di più? Pensavo che i Picti seguissero sempre coloro che davano mostra dei giusti segni magici.”

“Coloro che possono far cantare le pietre e che sanno manovrare la vecchia magia hanno tutto il nostro rispetto,” confermò Neave. “Ma non li seguiamo alla cieca. A volte c’è qualcuno che deve fare da guida, ma ciò non vuol dire che noi ci andiamo dietro senza pensarci, senza decidere con le nostre teste cosa sia giusto.”

“Il ritorno di mio padre porterà dei problemi tra i Picti?” le chiese Royce.

“Non lo so,” ammise Neave. “È un uomo che ha fatto un sacco di cose impressionanti, ma è stato anche quello che ha lasciato il regno nelle mani di re Carris e dei suoi nobili. Avrebbe potuto restituirci il nostro posto nel mondo e non l’ha fatto. Avrebbe potuto fare di più.”

“Magari questa volta lo farà,” suggerì Royce.

“Forse,” disse Neave. “In ogni caso, continuerò a seguire te. Ho sentito che tu fai cantare le pietre, almeno, e mi hai mostrato che sei una persona che fa le cose giuste, Royce.”

Royce provò un certo orgoglio davanti a quelle parole. Era riconoscente della fiducia di Neave dopo tutto quello che avevano passato. Dopotutto forse era un bene che ci fosse qualcuno di meno ammaliato rispetto a Mark e Matilde, perché così le cose sarebbero rimaste sotto controllo, aiutandoli ad assicurarsi di seguire la strada giusta e per i giusti motivi.

Intanto si accontentò di proseguire lungo la barca, portandosi al punto dove suo padre stava seduto, intento a guardare davanti a loro, insieme al bhargir Gwylim che gli stava accanto. Sembrava quasi che suo padre stesse discutendo qualcosa con la bestia, con la testa di Gwylim che si muoveva come in segni di assenso man mano che l’uomo parlava.

“Se potrò farti tornare ciò che eri, lo farò,” diceva suo padre. “Ma devi anche conoscere i pericoli delle cose che verranno. Senza la tua pelle, potrai anche essere in trappola ma sei pur sempre potente.

“Padre?” disse Royce, avvicinandosi di più.

Suo padre si voltò e gli sorrise. “È bello sentire che mi chiami così. Stavo giusto discutendo i piani con il nostro amico qui.”

“E pensi che abbia capito ogni cosa?” chiese Royce. Gli sembrava davvero strano parlare con un essere che assomigliava a un lupo.

“Sai cos’è un bhargir, Royce?” chiese suo padre. “Un uomo che ha potuto assumere le sembianze di una bestia imbevuta di magia e diventare essa. Una cosa antica, e potente. Una creatura come lui può guarire le proprie ferite, può combattere contro gli avversari più feroci e poi tornare al campo col corpo dell’uomo che era un tempo. Solo che questo non può.”

Royce annuì. Lo capiva. Ad ogni modo era comunque difficile a volte pensare a Gwylim come alla creatura che sembrava essere.

“Hai compagni strani e potenti,” disse suo padre, indicando la figura di Bragia, che disegnava cerchi in volo. “Dovrai presto parlare con la tua strega, perché vorrei sapere cosa pensa di fare adesso. Per quanto riguarda me… posso prendere in prestito la tua spada per un po’?”

“È tua, se la vuoi,” disse Royce. Prese la spada ossidiana dalla cintura e la porse quasi con riverenza.

Suo padre scosse la testa. “Non per tenerla. Vivere da solo così a lungo mi ha insegnato delle abilità, e penso di poter migliorare questa lama.”

“Migliorare?” chiese Royce.

“Un guerriero dovrebbe avere una buona spada,” disse suo padre. “Vai, parla con la tua strega. Io qui farò quello che posso.”

Royce avrebbe voluto dire a suo padre che non era così facile, che Lori si presentava a parlargli solo raramente, quando voleva lei. Suo padre sembrava così sicuro, però, che Royce dispiegò i propri sensi verso Bragia, chiamando Lori.

Ebbe l’immagine di uno spazio aperto, in mezzo a un gruppo di antiche rocce. C’era un fuoco acceso nel centro, che ardeva lentamente alimentato da torba, ma anche da qualcos’altro che donava alle fiamme laterali delle sfumature verdi e viola. A Royce parve di entrare nell’immagine, avanzando fino alla luce del fuoco.

“Speravo che venissi,” disse Lori, la strega, fissandolo negli occhi. “Vieni, Royce, siediti accanto al fuoco. Dimmi quello che sta succedendo.”

“Non lo sai?” le chiese. Si portò a sedere vicino al fuoco, in un punto dove c’era una pietra bassa che faceva da sedile. Royce aveva la sensazione di percepirla e allo stesso tempo no. Era come se esistesse e non esistesse allo stesso tempo.

“No,” rispose Lory e Royce vide quanto sembrasse preoccupata. “È questo il problema.” Gettò qualcosa nel fuoco e il colore delle fiamme cambiò di nuovo, ora con le tonalità arancioni di una forgia. “Guarda il fuoco, Royce, e dimmi quello che vedi.”

Royce fissò obbediente le fiamme, guardando sempre più a fondo, immaginando che più profondamente fosse riuscito a osservare, più probabile sarebbe stato trovare visioni di ciò che riservava il futuro. Confronto alle molte possibilità dello specchio, era un metodo più rozzo, ma Royce avrebbe accolto ogni aiuto possibile.

“Vedo… solo fiamme,” ammise dopo qualche minuto di osservazione.

“È questo il problema,” disse Lori. “Anche io. Dovrei vedere di più, ho visto di più, ma dal momento in cui hai guardato in quel tuo specchio, sono riuscita solo a cogliere qualche sprazzo di cose future.”

“Stai dicendo che lo specchio interferisce con altre forme di magia?” chiese Royce, pensando al pezzo di vetro che ancora adesso si trovava al sicuro sulla loro barca.

“Forse,” disse Lori scrollando le spalle. “O forse il fatto che ti abbia mostrato così tanto rende in un certo senso più incerto il mio genere di predizione.”

“Non poter vedere nulla potrebbe essere sconcertante,” disse Royce, “ma non serve che lo facciamo diventare un problema. Ho guardato nello specchio. Ho visto…” Anche lì, in quelle condizioni, sapeva di non poter ammettere con esattezza ciò che aveva visto, e Lori stava già tendendo una mano per interromperlo.

“No,” disse. “Il futuro è troppo fragile. Lo stai trattando come una specie di fune d’acciaio, quando invece è un filo delicatissimo. Stai più attento, Royce.”

Ora la preoccupazione nella sua voce sembrava essersi trasformata in netta paura.

“Lori,” disse Royce. “So che non puoi vedere nulla, ma questo non significa che tutto vada storto.”

“Non ho detto che non posso vedere niente,” disse Lori. “Ti ho spiegato che colgo ancora degli sprazzi, e quegli sprazzi sono cose di ombre e sangue. Vedo violenza, Royce, ovunque io guardi.”

Royce scosse la testa. “È una possibilità, ma non l’unica. Ho trovato mio padre. Torneremo, e la gente lo seguirà. Vedranno il ritorno del vero re, e tutti capiranno che le cose sono cambiate. Se siamo fortunati, addirittura re Carris si ritirerà e scapperà.”

Lori rise a quelle parole. “A volte dimentico quanto tu sia giovane, Royce, o forse quanto io sia vecchia. Non tutti hanno visto… quello che hai visto tu. Non tutti hanno la saggezza che deriva direttamente dallo specchio, o la tua certezza del fatto che tuo padre sia il re perfetto. La gente non si inchinerà in automatico solo perché lui torna.”

“Spero che ti sbagli,” disse Royce.

Lori sorrise, ma era un sorriso amaro. “Lo spero anche io, Royce. Lo spero anche io.”

L’immagine della strega accanto al fuoco sbiadì e Royce si ritrovò sulla barca insieme agli altri. Con sua sorpresa, il sole aveva attraversato il cielo nel tempo che lui aveva speso a conversare con Lori, spostandosi molto più di quanto pensava fosse realmente il tempo trascorso.

“Sei sveglio,” disse Matilde. “Bene. Mi sa che ci stiamo avvicinando alla costa, e dovremo metterci a remare quando saremo più vicini.”

“Non vuoi essere tu a farlo, eh?” ipotizzò Royce.

“Dopo tutto il tempo che ho passato a remare nelle Sette Isole?” chiese Matilde scuotendo la testa. “Te lo lascio volentieri.”

Royce era felice che lei e Neave apparentemente avessero smesso di discutere per il momento. Andò verso suo padre, che era ancora seduto a prua, intento a lavorare sulla spada ossidiana.

Royce quasi non la riconobbe. Suo padre aveva lavorato la lama, trasformando l’arma in qualcosa di liscio, affilato e letale. Aveva ricoperto l’elsa con una striscia di cuoio e vi aveva applicato sopra un’asta di legno per formare una guardia a croce. Ora sembrava occupato a sistemare qualcosa su quest’ultima, e Royce ci mise un attimo a riconoscere…

“Il tuo anello con sigillo?” gli chiese.

Suo padre annuì, finendo di premere il simbolo all’interno di un intaglio creato appositamente per contenerlo.

“Non è molto, ma volevo che questa spada fosse qualcosa di personale, qualcosa che potesse essere solo tuo,” gli spiegò.

“È perfetta,” disse Royce, prendendo la spada dalle sue mani. Provò la lama e sentì le regolazioni che erano state fatte. Ora era più leggera e la lama fischiò fendendo l’aria quando tirò un colpo di prova a vuoto. Non era la perfezione scintillante della spada di cristallo, ma era qualcos’altro con tutta una sua dignità, e si muoveva agilmente nelle mani di Royce.

Lui rimase lì con suo padre e la mano di re Filippo gli si posò sulla spalla mentre entrambi guardavano in direzione del regno. Presto la linea scura della costa iniziò ad apparire alla vista e Royce si voltò a guardare suo padre.

“Stiamo andando a casa,” gli disse.

“Sì,” rispose lui. “E poi comincerà la lotta per riconquistarla.”

Solo chi è coraggioso

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