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Capitolo 3

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Germania 1918-1920

Kurt Müller era imbarazzato. Seduto in un'ambulanza piena di soldati feriti che si lamentavano, provò vergogna per il fatto che la sua ferita fosse così insignificante. Anche la sensazione di sollievo per il fatto di abbandonare le linee tedesche che stavano rapidamente per crollare non era sufficiente per lenire la sua vergogna.

Era stato in prima linea sulla Somma per circa dodici mesi dopo essersi offerto volontario per servire la sua patria anche se era un po' più vecchio della media dei soldati. A quel tempo, lui e i suoi compagni avevano subito una vera batosta dagli Alleati che, insieme alle truppe americane, attaccavano le loro linee da sottoterra con mine terribili e dall'alto con i carri armati resistenti al fuoco delle mitragliatrici che il suo plotone aveva usato con così grande successo in passato per falciare gli attaccanti che attaccavano a piedi.

Il suo lavoro specifico era stato quello di riparare le mitragliatrici quando si inceppavano. Quando si era unito alle truppe, l'ufficiale di reclutamento gli aveva chiesto se aveva qualche abilità particolare, e lui aveva risposto che era bravo a riparare gli orologi.

“Riparare orologi? A che ci serve? Gli ufficiali qui hanno orologi per dir loro quando coordinarsi e sferrare gli attacchi ma, a parte questi, non ci sono altri orologi.” Ci pensò un attimo. “Ci sono, forse potrebbe riparare fucili? Le nostre mitragliatrici si inceppano sempre e ci serve un esperto in grado di aggiustarle se i fucilieri non sono in grado di capire cosa c'è che non va.”

Quindi a Kurt era stato fatto un breve addestramento sulla mitragliatrice standard MG 08, l'arma mortale usata dall'esercito tedesco. L'arma era fondamentalmente affidabile, ma qualche volta i proiettili si inceppavano e, anche se i casi semplici potevano essere risolti dai fucilieri, qualche volta i problemi erano più gravi e c'era la necessità dell'intervento di uno specialista.

La settimana precedente al suo viaggio in ambulanza, mentre riparava del filo spinato appena al di là delle loro postazioni, si era procurato un taglio profondo. Anche se l'aveva pulito e bendato, l'acqua non era chiaramente pulita abbastanza e la ferita si era infettata a tal punto che uno dei medici militari aveva deciso di mandarlo indietro per farla pulire adeguatamente altrimenti avrebbe rischiato la sepsi. Nulla fu in grado di dissuaderlo e così Kurt ora si ritrovava nella invidiabile posizione di allontanarsi dalla battaglia con uomini "veramente" feriti.

La linea tedesca si stava sfaldando. Gli eserciti alleati erano in condizioni mentali migliori e di gran lunga meglio equipaggiati da quando gli americani erano entrati in guerra, mentre lui e i suoi commilitoni erano decisamente prostrati. La Germania stava perdendo e i suoi eserciti erano sistematicamente costretti verso la linea di Hindenburg – che segnava il confine del territorio tedesco prima della guerra. Kurt, sebbene si rendesse conto che il suo contributo sarebbe stato insignificante, voleva disperatamente dare una mano per salvare la sua amata patria dalla sconfitta. Come molti dei suoi commilitoni, sentiva che i leader tedeschi, si erano imbarcati in una guerra folle, avevano rovinato il loro grande esercito, e ora si stavano preparando a tradirli con una resa vergognosa.

Il dottore che si occupò della sua ferita fu comprensivo con il suo desiderio di tornare al fronte. "Capisco perfettamente come si sente, Unteroffizer, ma non credo che rimandarla indietro sia di aiuto per qualcuno. Non sappiamo neppure dove sia la linea ora e, inoltre, se torna indietro, è molto probabile che contrarrà una setticemia che la ucciderebbe in modo molto più efficace di un proiettile inglese!"

"Cosa posso fare? Si aspetta che me torni semplicemente a casa e mi dimentichi la guerra?"

"Date le circostanze, sì, sarebbe probabilmente la scelta migliore. Torni a casa."

Kurt fu caricato su un treno che portava i feriti in Germania. Si mosse a singhiozzo per alcune miglia, poi si fermò a un binario di incrocio per far strada a un treno che andava nella direzione opposta e che trasportava giovani dall'aria spaventata verso il massacro. Alla fine, fu ordinato di scendere sui binari. “Ora dovrete camminare; questo treno è stato requisito.”

“Da chi?”

“Dal quartier generale; devono preparare una nuova sede e devono portarci la loro roba.”

Kurt e gli altri uomini feriti in grado di camminare furono fatti scendere e lasciati a trovare la strada del ritorno per conto loro, mentre gli odiati generali e il loro staff viaggiavano comodamente allontanandosi dalla battaglia. Si unì al gruppo di uomini abbattuti, che si trascinavano verso casa, infreddoliti e affamati. Uomini accecati dai gas – spesso i loro stessi gas rimandati indietro quando il vento cambiava – con gli occhi coperti da bende sporche, erano guidati da uomini che vacillavano sulle stampelle o con le braccia che erano state strappate dai loro corpi. Uomini feriti meno gravemente che potevano camminare, come Kurt, furono costretti a trasportare barelle con uomini feriti in modo orribile che erano distesi a lamentarsi nella loro agonia. Molti morirono semplicemente senza emettere un suono e i loro portantini se ne resero conto solo più tardi, dopo aver trasportato un peso morto per chilometri. I loro corpi furono lasciati per strada, per essere raccolti in seguito, forse. Tutti erano sudici. Gli scarponi stavano andando a pezzi e molti degli uomini furono obbligati a zoppicare a piedi scalzi sul terreno dissestato. Il suono dei loro movimenti strascicati era accompagnato da una corrente sotterranea di sofferenza umana mentre le urla dei feriti si mischiavano in un'armonia infernale di dolore e sconforto.

La campagna era rovinata e distrutta dalla devastazione delle battaglie precedenti. Allora il vittorioso esercito tedesco aveva marciato in Francia, credendo che avrebbe raggiunto Parigi prima del Natale del 1914, solo per essere fermato e rimandato nelle posizioni difensive che costituirono l'inferno del massacro moderno delle trincee.

La linea degli uomini che arrancava faticosamente verso la propria patria non aveva luci se non i piccoli bagliori rossi delle poche sigarette che alcuni fortunati erano riusciti a mantenere asciutte. Quando la luce era troppo poca per essere in grado di vedere dove li stavano portando i loro passi incerti, si fermavano per la notte e si distendevano, cercando disperatamente di scaldarsi davanti ai fuochi inadeguati composti dai pochi rami secchi che erano in grado di trovare nei boschi e nelle case distrutte che incontravano nel tragitto. Molti di loro morirono, silenziosamente, senza clamore – quasi sollevati dall'essere riusciti a sfuggire all'insostenibile orrore della loro ritirata.

Alla fine, attraversarono il confine tedesco e raggiunsero i punti di ritrovo dove i cittadini tedeschi, i loro compatrioti che sembravano ben nutriti e in salute, reagirono con orrore per il loro stato. I più fortunati furono finalmente in grado di lavarsi e di pulirsi un po' nei punti di raduno costituiti nelle città, dove i dottori lavorarono tra il terribile odore delle ferite in suppurazione. Le ferite furono curate, gli arti in cancrena furono amputati e fu deciso per alcuni se valesse la pena proseguire oltre. Per i fortunati ci furono i treni pronti a portarli verso le loro case. Kurt prese uno di questi. Osservò la campagna che attraversavano che a poco a poco cambiava, mostrando sempre meno la traccia della ferocia della guerra e dei notevoli movimenti di uomini che avevano calpestato la sua bellezza tra il fango. Alla fine, fuori dalla zona di guerra, passò attraverso le meravigliose foreste della Germania centrale verso la sua casa in Baviera. Arrivò a un centro di accoglienza poco prima della fine della guerra, nel novembre del 1918. Lì fu ufficialmente congedato e, dopo una sessione di “spidocchiamento”, gli fu suggerito di tornare a casa.

Prima della guerra, aveva vissuto nella casa dei suoi genitori nella città di Neubeuren, in Baviera, e insegnato inglese presso la scuola locale. Sfortunatamente i suoi genitori erano morti durante la guerra e il contratto d'affitto della casa era scaduto. Quando ci tornò, non solo non aveva i soldi per l'affitto ma quando chiamò l'ufficio del proprietario, quest'ultimo piuttosto bruscamente lo informò che la casa era stata data in affitto a un'altra famiglia.

“Ma noi abbiamo sempre vissuto in quella casa!” protestò.

“Non posso farci nulla, non avete pagato l'affitto per più di un anno e io i soldi non li fabbrico.”

“Ero via, a combattere. Sicuramente poteva aspettare. Perché non mi ha scritto per dirmi quello che era accaduto?”

“Ho scritto. Non è colpa mia se la lettera non le è arrivata. Ho supposto che lei fosse stato ucciso.”

Kurt imprecò ma non riuscì a persuadere il proprietario. “Lei ne ha a bizzeffe!” disse, “Tutto quello che voleva era prendere i nostri soldi. Bastardo giudeo! Mi vendicherò.”

Il proprietario rise. “Ah sì? Tu e chi altro? Vattene torni da dove è venuto.” Fece per sbattere la porta in faccia a Kurt, ma lui mise in mezzo il piede. “E le nostre cose? Tutti i nostri mobili e il resto – cose ne è stato?”

“Andati – venduti per pagare l'affitto.” Scalciò il piede di Kurt e chiuse con forza la porta.

Kurt se ne andò, imprecando tra sé. Quando passò davanti all'hotel del paese vide un annuncio in vetrina per un posto da vicedirettore. Entrò e andò alla reception dove una giovane donna dall'aria annoiata lo squadrò, notando la sua uniforme consunta e il suo aspetto sciatto. Non si era fatto la barba per molti giorni e non si era fatto un bagno da quando era arrivato nel centro di accoglienza in Baviera.

“Sì?” disse.

“State cercando un vice direttore.”

Lo guardò di nuovo. “Credo che il posto possa già essere stato preso,” disse, allontanandosi da lui per evitare l'odore del suo corpo.

“Guardi, ho veramente bisogno di un lavoro. Mi dispiace molto per il mio aspetto. Sono appena tornato dal fronte. É sicura che sia già stato preso?”

Sembrò un po' più comprensiva e prese il telefono per chiamare il direttore. “C'è un soldato qui, alla ricerca di un lavoro.”

Ascoltò la risposta. “Sì, glielo ho detto – ma è piuttosto insistente.” Una pausa, “Sì, capisco. Glielo dirò.”

Coprì il microfono. “Il signor Klein dice che l'unico lavoro che ha è quello di facchino.”

“Lo prendo” esclamò Kurt.

“Dice che lo prenderà,” un'altra pausa, “no, certo che non glielo ho offerto.” Pausa. “Chiederò.”

“Quale è il suo nome, signor…?”

“Müller, Kurt Müller.”

Il suo tono cambiò e lo guardò più attentamente. “Müller? Kurt Müller?” Lui annuì. “Non si ricorda di me? Ero nella sua classe – Paula Dietrich?”

“Paula?” cercò di ricordare. “Paula Dietrich. Certo. Ora mi ricordo” mentì.

Lei si allontanò e parlò a bassa voce al telefono. Poi si girò di nuovo verso di lui con un sorriso. “Il signor Klein la vedrà ora.” Indicò una porta dall'altra parte della lobby dell'hotel.

Klein si dimostrò un uomo comprensivo, un ex soldato che era stato troppo vecchio per combattere in guerra ma che capiva la disperazione di Kurt. Fu molto dispiaciuto. “Temo, signor Müller, che non abbiamo realmente nulla di adatto per un uomo delle sua istruzione,” Kurt sembrò abbattuto. “Tuttavia, se lei è pronto a prendere il lavoro, Paula ha dato una buona referenza su di lei e il lavoro è suo. La paga non è alta – anche se può avere delle buone mance. I pasti sono inclusi e c'è una piccola stanza da letto per lei se ne ha bisogno. Abbiamo parecchi inglese e americani che vengono qui in questo periodo e aiuterebbe avere qualcuno che parla inglese.”

Mostrò a Kurt la piccola stanza che sarebbe diventata la sua nuova casa. “Si sistemi. C'è un bagno alla fine del corridoio e farò in modo che Paula le trovi una uniforme e le spieghi i suoi compiti.”

Kurt si tolse la sua giacchetta lurida, si sedette sul piccolo letto che occupava la maggior parte della stanza, e iniziò a togliersi i suoi scarponi consumati e i suoi pantaloni logorati. Sentì bussare alla porta e Paula, senza aspettare una risposta, entrò portando una uniforme da facchino, un asciugamano e del sapone.

Kurt si era alzato e i suoi pantaloni erano caduti a terra. Li rimise velocemente su mentre Paula guardò da un’altra parte. “Mi dispiace,” disse lei, “Non pensavo…”

“Va tutto bene. Grazie,” disse Kurt formalmente. Prese gli oggetti che gli erano stati offerti e Paula, con un’ultima occhiata, lasciò la stanza.

Lavato e sbarbato, Kurt indossò la sua nuova uniforme e si diresse verso la lobby dell’hotel per iniziare il suo nuovo lavoro. Oltre a Paula c’erano cameriere, cuochi e un altro facchino che lavorava su un turno differente. Doveva stare fuori dalla porta, salutare i nuovi ospiti quando arrivavano, prendere i loro bagagli, condurli alla reception per il check-in, poi doveva portare i bagagli nelle loro camere e mostrar loro tutto quello che c’era.

Era l’unico impiegato che parlava un buon inglese e presto divenne indispensabile per il suo direttore. “Paula mi ha detto che è stata in una delle sue classi” gli disse un giorno. “Il suo inglese non è molto buono. Crede che potrebbe darle delle lezioni? Sarebbe di grande aiuto se Paula fosse in grado di parlare ai nostri ospiti nella loro lingua.”

“In realtà non me la ricordo molto bene,” ammise Kurt, “ma posso provare. L’ho sentita parlare con gli ospiti inglesi e sta massacrando la lingua!”

Le lezioni cominciarono quella notte. Klein rese disponibile un ufficio dove non sarebbero stati disturbati e Kurt preparò un piano di studi per lei. Anche se si dimostrò un’alunna molto volenterosa, non la trovò particolarmente intelligente. Tuttavia, dopo un certo tempo imparò abbastanza per essere in grado di parlare con gli ospiti americani e inglesi.

“Non credo abbia più bisogno di me” le disse Kurt, “ha fatto bene.”

“Ma ho ancora molto da imparare” disse. “Per favore non smetta ora – non sono ancora pronta!”

Kurt, che stava cominciando a essere piuttosto stanco di passare tutto il suo tempo in hotel, fu molto riluttante. “Ho bisogno di uscire e avere del tempo per me stesso,” si lamentò.

“Beh, che ne dice di andare al cinema? Potremmo vedere uno di quei film americani. Ho bisogno anche di esercitarmi nella lettura.” Film muti erano proiettati nel cinema locale, ma i sottotitoli e le didascalie non erano ancora tradotti in tedesco.

Kurt fu d’accordo, e cominciarono a uscire assieme. Lo vide ancora come parte del progetto di insegnamento, facendo sussurrare a Paula le traduzioni dei testi e correggendo i suoi errori. Dopo il film, tornavano in hotel per mangiare gli avanzi nella sala da pranzo deserta.

“È proprio come avere un appuntamento” disse Paula una sera.

“Non proprio,” disse Kurt, poco galantemente. “Lei è ancora una mia alunna, ricorda?”

Sembrò delusa. “Lo pensa veramente? Non siamo amici ora?”

“Credo di sì, una specie” ammise.

“Bene allora” disse ritrovando il morale. Sollevando il suo bicchiere d’acqua lo toccò contro il suo, “Prost, amico.”

Kurt sogghignò, “prost” replicò, “all’amicizia!”

Una settimana più tardi, quando Kurt condusse un ospite americano alla reception, Paula gli sussurrò “torni una volta che ha mostrato al signor Armitage la sua camera.”

Quando ritornò, Paula si guardò intorno per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando. “Ho delle buone notizie per lei, Kurt” disse. “Il direttore sta cercando un vice. Stiamo lavorando sempre di più e ha bisogno di qualcuno che lo aiuti.”

“Quindi?”

“Quindi dovrebbe fare domanda!” Vide la sua espressione scettica. “Lo so che sarebbe un grande passo, ma a lui piace e mi ha detto prima che lei è più che qualificato. Cosa ne pensa?”

“Forse. Sì, potrei provarci, credo.”

“C’è solo un problema,” gli disse. “Il vice deve essere un uomo con una posizione stabile, un uomo sposato.”

“Oh,” disse Kurt, deluso. “Beh allora questo mi esclude, no?”

“Non necessariamente” disse Paula con esitazione. Vedendo il suo guardo interrogativo, raccolse tutto il suo coraggio. “Potrebbe sposarsi.”

“Con chi?”

“Beh, perché non con me?” disse tutto d’un fiato. “Siamo amici, dopo tutto, e a me non dispiacerebbe in effetti. Sarebbe bello. Cosa ne pensa?”

Kurt la guardò con sorpresa. “Beh, dovrò pensarci ma suppongo potrebbe funzionare.”

Lei rimase turbata dalla sua risposta fredda e lo lasciò tornare ai suoi compiti. Più tardi, tuttavia, ritornò di nuovo alla sua scrivania. “Va bene. Sarebbe conveniente. Perché no?” fu tutto quello che disse.

Quella sera andarono insieme da Klein. Paula gli spiegò i loro piani e Kurt, ancora piuttosto freddamente, concordò con lei. Il direttore, che era affezionato a Paula, le chiese “sei assolutamente sicura di questo?”

“Certo!” disse lei sembrando entusiasta.

“E lei?” chiese a Kurt.

“Certo. Ne abbiamo parlato e siamo d’accordo.”

Una settimana più tardi, in una cerimonia fredda e piuttosto asettica, i due si sposarono e Kurt prese il suo nuovo posto. Sebbene non amasse Paula, lei sembrava essergli devota e questo era molto conveniente. Dovette ammettere a se stesso che il momento di andare a letto era diventato più piacevole.

Trovò che il nuovo lavoro richiedeva molto meno tempo rispetto a quello di facchino. I suoi orari lavorativi erano fissi e le sue serate erano sempre libere. Paula fu felice di gestire la loro nuova casa e di lasciarlo per conto proprio seppellendosi nelle faccende domestiche o leggendo riviste femminili lasciate dagli ospiti. Lui usciva per conto proprio la maggior parte delle sere, passando il tempo in uno dei bar della città dove si incontrava con gli altri soldati tornati dal fronte per lamentarsi del modo in cui erano stati trattati dagli alleati vittoriosi.

Come molti dei suoi ex commilitoni, Kurt si sentiva completamente tradito. L'opinione generale era che la guerra era stata combattuta in realtà tra amici che condividevano ben più delle cose che li dividevano. Non erano neppure in grado di vedere come la guerra fosse potuta accadere. “La regina Vittoria era la nonna del nostro Kaiser. Suo cugino era il re inglese. Perché li abbiamo combattuti? É stata tutta colpa dei maledetti francesi che hanno cercato di vendicarsi a causa dell'ultima guerra. Ora vogliono distruggerci e gli inglesi e gli americani hanno fatto squadra con loro. É una tragedia,” disse a uno dei suoi amici.

“E questi governanti che abbiamo ora sono completamente senza spina dorsale,” replicò l'uomo. “Si mettono a tappetino e lasciano che ci calpestino. Quello che ci serve ora è qualche persona forte che combatta per noi – ma dove sono queste persone?”

Così erano molte delle loro discussioni che lasciavano Kurt depresso e infelice. Alla fine, decise di trovare un modo migliore per passare il suo tempo libero invece di avvilirsi per qualcosa che non poteva cambiare.

In città c'era un negozio che riparava orologi gestito da un amichevole ebreo che Kurt aveva conosciuto prima di andare in guerra. In uno dei suoi giorni liberi andò in negozio.

“Buon giorno, signor Finkelmann.”

“Kurt Müller! Che bello vederti. Ho sentito che eri tornato e che ti sei sposato, se ho capito bene. Congratulazioni! Stai bene?”

“Sì, sto bene, grazie,” rispose Kurt freddamente.

“Allora, cosa posso fare per te?”

“Si ricorda che una volta la aiutavo a riparare orologi?” Finkelmann annuì. “Beh, mi domandavo se ora aveva bisogno di un aiutante – part time chiaramente.”

Finkelmann sembrò dubbioso. “Beh il lavoro sta aumentando,” cominciò, “perciò un aiuto potrebbe essere utile, se hai del tempo libero.”

“Certo che ne ho,” disse Kurt. “Ho bisogno di tenere le mie mani occupate, capisce. Lavoro in hotel, ma posso venire qualche sera se a lei va bene. Posso anche procurarle del lavoro dai nostri ospiti.”

“Potrebbe andare bene – e certamente ti pagherei per il lavoro che mi porteresti.”

Gli uomini si accordarono e Kurt iniziò la settimana successiva. Questo gli procurò un piccolo reddito extra con il quale, col passare del tempo, lui e Paula furono in grado di affittare un piccolo cottage vicino all’hotel. Nel 1920 nacque un figlio che chiamarono Rolf in onore di uno degli zii di Kurt.

Quattro Destini

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