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PREFAZIONE.

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La principessa Cristina Belgiojoso, nata dalla stirpe dei Trivulzio, morì nella sua Milano il 1871. Morì dopo le sciagure della Francia, dove un giorno, profuga e cospiratrice, aveva ella, discendente dal famoso maresciallo di Francia, potuto emergere in un tempo nel quale si adoravano, più di adesso, le ricchezze, le alte posizioni sociali, l'influenza, «le succès». Morì quasi inosservata, senza curarsi della gloria, questo sole degli estinti; morì in silenzio, ella che aveva riempito mezzo mondo de' suoi coraggiosi conati patriotici, delle sue multiformi vicende romanzesche, delle sue idee e opere filantropiche, delle sue stranezze e pompe fantastiche, de' suoi incanti. Appena qualche giornale fe' allora cenno, magro cenno, della sua vita e della sua morte. E dopo, per anni e anni, silenzio; silenzio che mi pareva ingiusto, perchè, sopra tutto, la gentildonna milanese «dai grandi occhi fatali», come avrebbe detto Ugo Foscolo, aveva amata la patria, e operato per la liberazione della patria, quando molti non vi pensavano ancora.

E mi provai a descriverne la vita. Le difficoltà erano moltissime e dure; alcune neppur sospettabili dalla critica che si pasce di soli libri. Era un labirinto quella vita, che non era mai stata narrata. Eppure mi condussi a pubblicare nel 1902 un volume, ch'ebbe in breve più ristampe e che adesso, ridomandato dai lettori, ritorna alla luce in una nuova edizione riveduta e corretta in più punti, specialmente per la scoperta di qualche nuovo documento. Fin dai primi miei tentativi biografici, oltre l'esame in Archivii di Stato, ottenni molte preziose informazioni e tesori di comunicazioni epistolari da elette persone congiunte o amiche della principessa Belgiojoso e mie: questo libro ne reca le doverose testimonianze.

La imperiosa patrizia, che indifferente violava ogni regola comune, si attirò per questo inimicizie, ch'ella disprezzava; e anche all'apparir del mio libro (cosa strana, dopo tanti anni!), le ostilità, certe ostilità, non tutte femminili, ripullularono al punto da mettere persino in dubbio il patriotismo della magnanima cospiratrice. Ma nuovi documenti, e precisamente quelli degli Archivii imperiali di Vienna, citati in questa nuova edizione, dimostrano che in quell'anima pur mutevole in alcune cose, il sentimento della patria mai mutò, mai disparve. Le mie affermazioni, smentite da qualche critico, ricevono qui conferma irrefragabile nientemeno che dalla penna del Metternich; il quale, anco come impenitente signore galante, conosceva le donne, e perciò seppe scoprire le astute arti della cospiratrice lombarda. Non ostante incredibili stranezze dovute alla tempra morbosa, Cristina Belgiojoso merita rispetto e, in più atti della tempestosa sua vita, ammirazione. Dico atti, opere praticate, specie di alta carità e di previdenza; opere di spirito tutto moderno, non opere scritte. Un esame più minuzioso della tumultuaria produzione letteraria della principessa ci trascinerebbe a un nuovo volume, e molto fastidioso; e a qual pro? Si pensi che una principessa Belgiojoso, nella febbrile vita a Parigi, non avrebbe avuto nemmeno il tempo per comporre (almeno lei sola) opere così voluminose come quelle che ella pubblicò nientemeno che sul Vico e sulla formazione del dogma cattolico, e di cui discorro. Scrisse sì, e molto: la dissero anche affetta da grafomania, (e tanti altri forse no?); ma ella voleva diffondere i proprii convincimenti. Intorno al 1842, il Balzac, che si vantava d'avere «ses grandes et petites entrées» presso la principessa a Parigi, si divertiva a canzonarla e a denigrarla, scrivendo alla sua M.me Hanska ch'ella era «une belle Impéria, mais horriblement bas-bleu. Avant-hier, elle a quitté son cabinet pour me recevoir: elle est venue avec des taches d'encre à sa robe de chambre».[1] Altri talora scrivevano sotto l'ispirazione e per commissione di lei e per lei; altri della svariata folla, della quale ella si attorniò a Parigi e che tento di descrivere in questo libro sulle memorie del tempo. Ma ella pensò molto: fu una pensatrice. Victor Cousin ebbe ragione di chiamarla: Foemina sexu, ingenio vir. Definizione più esatta dell'altra, coniata a Parigi dal cognome maritale Belgiojoso: «Belle et joyeuse». Gaspare Finali, in una lettera a un amico, la delineò nitidamente in tre parole: «stranamente magnanima signora».

Sembrerebbe vanità se dicessi che, dopo la mia pubblicazione sulla Belgiojoso, il nome della patriotica signora ritornò alquanto popolare. Nel 1906, un compilatore americano pubblicò tutto un volume, che fece poi tradurre in francese, sulla principessa «rivoluzionaria» servendosi a larghe mani dell'opera mia; facil costume questo, proprio di certe penne americane e inglesi, che un critico biasimò di recente in un grande giornale di Milano. Inutile accennare a biografie minori citate a titolo di lode da qualche illustre, ma compilate passo passo sul mio libro allegramente saccheggiato; superfluo accennare a numerosi articoli di riviste e di giornali italiani, francesi, inglesi, tedeschi, americani. Qualche altra cosa si potrà dire (quando si potrà?) sulla donna singolarissima, che deve essere giudicata soltanto in rapporto a' tempi suoi. Ella era una multanime, una natura svariata, ricca: e tali nature hanno misteri e continue sorprese.

Il «lirismo» di qualche parte del mio libro documentato non è altro che un'eco dell'epoca che tentai d'evocare, epoca tutta vibrante di poesia vissuta. Le note e i gesti melodrammatici abbondavano in quell'epoca: l'esaltazione era sorella dei grandi fatti. Oggi, siamo più positivi; ma dobbiamo per questo essiccare fiori smaglianti, spegnere fiamme votive, confinare anime appassionate e ferventi nel gelo d'una formula notarile? La principessa Belgiojoso non scrisse mai un verso, ma non poca poesia, talvolta bizzarra, persino comica, talvolta grandiosa, travolgeva o esaltava il suo spirito. Nel 1848, meravigliosi atti eroici prepararono l'anima della nova Italia; ma l'elemento melodrammatico vi divampava sovente; parve, e fu, in quell'anno, eroina melodrammatica la principessa Belgiojoso, che si pose al comando d'un battaglione da lei allestito: ricordava forse il canto d'Odabella nell'Attila del Verdi, rappresentato due anni prima:

Ma noi, noi donne italiche — Cinte di ferro il seno

Sul fulgido terreno — Sempre vedrai pugnar.

La biografia e la storia devono ritrarre, se è possibile, almeno qualche cosa, delle persone, del tempo, delle vicende che narrano.

Milano, ottobre 1913.

Raffaello Barbiera.

La Principessa Belgiojoso

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