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V. Processi contro i Belgiojoso. — Cospiratrici belle.

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Indice

Avventure di Felice Argenti. — Processo contro Emilio e Antonio Belgiojoso. — L'imperatore d'Austria interviene. — Processo contro la Principessa. — Ordini dell'imperatore a favore di lei. — Processo contro Teresa Kramer-Berra. — Fulvia Verri. — Anna Tinelli e Paride Zajotti. — Tornano in ballo le giardiniere! — Condanne di morte. — Lettera della Principessa al marito. — Affetti. — Nuovo esilio.

Appena il malvagio Raimondo Doria — l'impune Doria — denunciò al consesso di Paride Zajotti e compagni, che gli sembrava d'aver veduto la principessa Belgiojoso insieme coll'Argenti sul piroscafo che da Genova andava a Livorno, venne chiamato dalle carceri l'Argenti perchè dinanzi ai giudici deponesse sul conto della cospiratrice. Il Doria venne, per il momento, allontanato: e mai il nome del tristo fu pronunciato dinanzi all'Argenti; mai dinanzi agli altri accusati e traditi: e mai, forse, in tutta la sua vita, la principessa seppe del tradimento infame di colui al quale fidente avea steso la mano d'amica nelle vespertine riunioni misteriose dell'Acquasola a Genova.

Felice Argenti, baldo de' suoi ventinove anni, parea sfidare il mondo; e l'avea mezzo girato.... Nativo di Viggiù, borgo del ridente Varesotto, primeggiò ben presto fra i giovani ribelli all'Austria. Si fe' carbonaro nella Vendita di Milano, e, nel 1821, fuggì in Piemonte. Combattè in Spagna, per la Costituzione, col grado d'ufficiale; ma un esercito francese sotto gli ordini del duca d'Angoulême sbaragliò lui e i suoi fratelli d'armi e d'ideali. L'Argenti passò nel Messico, entrò in quella Carboneria, e contribuì a buttar giù dal trono l'imperatore Iturbide, un avventuriero basco, che s'era incoronato da sè, come Napoleone, facendosi chiamare Agostino I: rifugiatosi poi in Italia e a Londra, S. M. Agostino I, volendo riconquistar la corona, tornò nel Messico: ma, al suo arrivo, fu arrestato e fucilato, come, più tardi, l'infelice Massimiliano d'Austria. Stabilita nel Messico la repubblica, l'Argenti tornò ai colli nativi e si gettò nella cospirazione della Giovine Italia. A Varese, s'infiammò d'una terribil passione amorosa per una donna comune, che a lui pareva una dea. Il marito della dea, per isviare dalla propria testa il serto di Menelao, ricorse.... alle bajonette dei gendarmi. L'autorità intimò allora all'Argenti di lasciare per sempre Varese; ma l'Argenti non volle saperne; eluse la guardia dei gendarmi, che vegliavano intorno al minacciato ostello, saltò da una finestra, e, di notte, fuggì pei campi, pei clivi, ch'egli, grande cacciatore al cospetto di Nembrod, conosceva benissimo. I gendarmi lo inseguirono; egli spiccò un altro salto (quella volta da un muro) e si spezzò una gamba; ma potè ancora sfuggire alle ricerche, trascinandosi in un campo di grano, fra le cui alte spiche, nelle tenebre notturne, si nascose.

Come da caccia inutile e molesta

Tornano mesti ed anelanti i cani,

tornarono le guardie.... Spuntò l'alba. L'Argenti stette nascosto tutto il giorno, spasimando, fra il grano. Alla sera, un erculeo contadino scoperse il fuggiasco accoccolato; se lo caricò sulle spalle, e lo trasportò oltre il confine, ad Artò, dove gli aggiustarono la gamba. Grazie a Dio, l'Argenti potea correre ancora. E corse di nuovo il mondo. “Per tre volte (egli diceva) ho dissipato le mie fortune; e tre volte mi sono rialzato nell'agiatezza.„ Cercò, e trovò lavoro a Trieste, a Genova, a Livorno.... preferendo sempre le città marittime, per rifugiarsi, se inseguito, nelle navi inglesi o americane, che godevano diritto d'asilo. Fu anche a Rio Janeiro, dove fece di tutto: persino il tosacani. Scoppiata, nel luglio del 1830, la rivoluzione di Parigi, vi volò come la farfalla alla fiamma, e con undici compagni, ideò uno sbarco audace da Marsiglia in Italia per sollevarla tutta.... A capo della banda si pose un comasco, che poi si fece frate: Rocco Lironi. I dodici apostoli di libertà sbarcarono a Pietrasanta in Toscana; ma furono arrestati. L'Argenti, dal Governo toscano venne consegnato all'austriaco; ed eccolo qui ora, nelle carceri di Milano, e davanti a Paride Zajotti.

Bisogna sapere che l'Argenti si facea passare per console del Brasile a Livorno; anzi, alcuni (come il Doria) lo ritenevan veramente per tale; ma il Governo toscano mai volle riconoscerlo. L'Argenti supponeva che il diniego provenisse per volere del Metternich; da qui, più acerbo l'odio suo contro il Metternich; da qui la sua proposta di ucciderlo. Ma non il Doria, come questi si vantava col Metternich e coi giudici di Milano, non il Doria, bensì il marchese Passano s'era opposto alla truce proposta dell'Argenti. Quell'assemblea di congiurati era stata tenuta di notte, a bordo d'una nave americana, nel porto di Genova. Come dovea sembrar strana quella riunione sulle acque, con quei cospiratori, che parlavano a voce sommessa nella stiva!... E non sospettavano un Giuda fra loro!...[25]

Interrogato da Paride Zajotti (il trentino inquisitore successo al Salvotti, concittadino suo, innalzato nel frattempo a più alta dignità), l'Argenti ammette d'aver veduto bensì la principessa Belgiojoso sul piroscafo da Genova a Livorno; ma afferma di non averla mai avvicinata a terra. La principessa, infatti, avea compiuto qualche rapido viaggio con iscopo di propaganda patriotica, e per stringere le file d'una decisiva azione comune fra i patrioti; ma questi si mostravano troppo divisi da vedute politiche differenti e da passioni....

Udito l'Argenti, Paride Zajotti lo fa ricondurre nel suo carcere e chiama un altro giovane imprigionato a Porta Nuova: Giovanni Albinola, pure nativo di Viggiù e possidente. L'Albinola dice l'Argenti suo “seduttore„. Racconta, atterrito, che solo pei consigli dell'Argenti si lasciò affigliare alla Giovine Italia da Giuseppe Mazzini a Genova. Racconta del proprio giuramento prestato alla setta, in casa di Giuseppe Elia Benza; ma neppur egli depone una sillaba contro la principessa Belgiojoso. Povero giovane, trascinato in un labirinto di pericoli, pei quali non era nato, pei quali non avea la forza d'animo di Cristina Belgiojoso.

Il processo contro Cristina Belgiojoso andò di pari passo con quello contro suo marito e contro il cognato Antonio.

Fin dal maggio del 1831, la polizia di Milano dipingeva al tribunale Emilio ed Antonio Belgiojoso “di principii liberali e in famigliarità con persone note per la loro esaltazione; fra altre, con Luigi Meroni e Timoleone Brambilla.„[26]

Su questo Luigi Meroni, di nobile famiglia, cadeva il sospetto d'alto tradimento. Nell'università di Pavia, il Meroni s'era segnalato pe' suoi impeti rivoluzionarii. L'impune Doria, nel suo ventunesimo esame dell'ottobre 1832, depone d'averlo udito nominare a Genova qual cospiratore. La polizia lo dipinge con nerissimi colori: “di cuore depravato, fuori dell'ordinario ardito e facinoroso; incorreggibile nei principii di vera avversione all'ordine legittimo.„ La polizia lo accusava persino d'omicidio![27] Timoleone Brambilla era giovane anch'esso, ricco, di bell'aspetto. A Milano, si radunavano insieme con altri liberali nel Caffè del Fumo sulla Corsia de' Servi (ora corso Vittorio Emanuele); e il Torresani denunciava quel caffè al tribunale perchè fosse chiuso per sempre.

Il Doria nulla depose contro Emilio Belgiojoso. Non l'avea mai veduto. Infatti il principe, allontanatosi da Giuseppe Mazzini, era passato a Parigi a cospirare con altri esuli colà e.... a divertirsi. Qualche spia diceva d'averlo incontrato ai funerali del generale Lamarque con una bandiera tricolore in pugno; ma i funerali del popolarissimo generale napoleonico Massimiliano Lamarque, morto di colera a Parigi, riuscirono così terribilmente affollati, così vorticosi e con disordini sì gravi da durar ben fatica a ravvisare in quel pandemonio il giovane vessillifero! Sta il fatto che altre spie deposero che Emilio Belgiojoso non era più un cospiratore temibile! “E intanto il principe Belgiojoso si diverte a Parigi!„ scriveva il Mazzini.[28]

D'un tratto, nel 24 luglio del 1833, il processo contro il principe Belgiojoso viene sospeso.... Perchè mai?... Il Tribunale criminale di Milano decide di sospenderlo aspettando da Roma alcuni atti ufficiali, relativi a un ragioniere cremonese, certo Carlo Alberto Lancetti. Dall'Argenti costui è sospettato come spia.... Sta, invece, il fatto che il Lancetti, arrestato in Romagna quale “pericoloso emissario della Giovine Italia„, ha dovuto ammettere davanti ai giudici pontificii le proprie strette relazioni con Emilio Belgiojoso, soggiungendo che il principe gli avea elargito denaro e altri soccorsi.[29] L'imperatore d'Austria prende nota della sospensione del processo contro Emilio Belgiojoso; e la procedura rimane in tronco per sempre. Così vuole l'imperatore.

Sovrane, segrete influenze poterono sull'animo di Francesco I a beneficio del principe?... Oppure il monarca volea favorire Emilio Belgiojoso, perchè memore dei segnalati servigi resi dai maggiori del giovane principe alla Casa d'Austria, specialmente dal valoroso conte Lodovico Antonio Barbiano di Belgiojoso-Este, guerriero, ambasciatore, vice-governatore dei Paesi Bassi austriaci?... O volea disarmare l'inclito ribelle con un atto di clemenza?...

Si direbbe che agli occhi della polizia il conte Antonio Belgiojoso apparisse più temibile del fratello Emilio. La polizia vedeva in lui l'uomo che avea accompagnato di nascosto un amico, Alfonso Battaglia, oltre il Po, perchè seguisse il generale Zucchi, divenuto capo dei sovvertitori. L'11 dicembre del 1833, il Torresani scrive al Tribunale criminale che Antonio Belgiojoso è sceso dalla Francia a Torino “malato pei disagi del viaggio„. E a Torino il conte, per ordine di quel tribunale, viene arrestato, non ostante le infelici condizioni di salute. La madre, Amalia Canziani, appena apprende la trista notizia, implora la polizia di lasciarla accorrere a Torino per abbracciare il figliuolo ammalato; ma il Torresani le nega il passaporto. Nelle carceri di Torino, il conte Antonio Belgiojoso può, per altro, vedere un fratello, Luigi, dal quale riceve conforti; cosa che al Torresani dà ombra....

Il Torresani rivelava intanto al Tribunal criminale che alte protezioni favorivan tutti i ribelli Belgiojoso:

“Non ignoro che il conte Antonio si loda del liberale trattamento che riceve dal regio Governo sardo, che gli accorda anche colloquii col fratello Luigi ed il permesso di scrivere. Io scrissi già perchè queste pericolose facilitazioni siano troncate; ma non so se si potrà ottenere l'intento, troppo estese, e di riguardo, essendo le relazioni di questa cospicua famiglia. Pendono ora i riscontri diplomatici sulla consegna dell'arrestato; ed a questo riguardo la proposizione che a maggior garanzia sia permesso al nostro Governo d'inviare apposito impiegato sino a Torino per ricevere il prigioniero.„[30]

Ma il conte Antonio ottenne, invece, un passaporto; e l'imperatore d'Austria intervenne anche questa volta. “Con veneratissima sovrana risoluzione„ (come scrive don Antonio Masetti, presidente del tribunale, al Torresani) l'imperatore Francesco manifestò speciale benevolenza verso il conte accusato d'alto tradimento.

Che dovea fare il Tribunal criminale, con tutto il suo don Antonio Masetti, davanti a un'imperiale clemenza così spiegata?... Chinar la testa e registrare, come registrò, ne' suoi protocolli: “Il processo non ebbe maggior sviluppo, non essendosi trovata materia d'ulteriore investigazione.„

Contro la principessa Belgiojoso il processo assumeva maggior consistenza, in seguito alle denuncie del Doria e d'altri spioni. I capi d'accusa erano più gravi. Oltre il resto, le spie riferivano che la principessa aveva incaricato un segretario ed amico, certo Bolognini, di elargire a nome di lei soccorsi ai rifugiati italiani man mano che arrivavano in terra d'esilio. Una somma di diecimila lire con questo scopo ella aveva consegnato anche ad un Pironti (non l'eroico, illibato Michele); e quindi se l'era allegramente appropriate, come abbiamo visto.

Si accusava la principessa di avere a' proprii ordini un emissario ferventissimo, uno studente piemontese, certo Fasanini, esule del 1821, che, per vivere, faceva il commesso viaggiatore di sete a Lione e il commesso viaggiatore.... d'opuscoli incendiarii. Il banchiere Giuseppe Marietti di Milano, chiamato davanti al tribunale, giurò di essere stato in corrispondenza colla Belgiojoso, dopo la sua fuga da Milano, per due cambiali, l'una di 15000 franchi, l'altra di 20000, tutt'e due all'ordine del Fasanini; particolare questo che, nella mente dei giudici, confermava quanto su quel giovane emissario della principessa era stato loro segretamente riferito. Antonio Vismara, già procuratore della Belgiojoso, dichiarò davanti al Tribunale che le spedizioni di denaro fattele all'estero ammontavano a sessantamila lire, oltre le cambiali pagate in Milano ed oltre centoventimila lire pagate per una casa che la principessa aveva comperata in Ginevra.

Nel processo sfilano (cinti d'orrore) i nomi delle dame colle quali la Belgiojoso s'era legata, più o meno, in amicizia perchè a lei sorelle negli ideali di patria o, come la polizia le chiamava, “sospette in linea politica — infette di liberalismo — furenti settarie„.... a scelta! Erano la principessa Pietrasanta-Verri, la contessa Martini-Giovio, Teresa Kramer nata Berra, la Berra madre della Kramer, la contessa Ghirlanda, la contessa Cigalini-Dal Verme, Maddalena Bignami-Marliani, la pittrice Ernesta Bisi e altre stelle e pianeti del firmamento femminile. Nel loro boudoir (il pensatojo delle signore), nei loro tranquilli ritrovi, nelle loro feste, esse alimentavano con piacere la passione delle idee sull'indipendenza d'Italia; e un nuovo elemento, un nuovo raggio di vita entrava nella loro vita. La storia di tanti secoli c'insegna che la donna primeggia nei tempi di decadimenti sociali: la storia dell'indipendenza italiana ci mostra (eccezione fulgente.) che la donna primeggia nell'epoca della risurrezione.

La questione dell'indipendenza affascinava le donne migliori d'Italia, ch'eran poche, in principio, ma valevano per molte coi loro entusiasmi collettivi, colla loro comunione intellettuale, colla loro bellezza. Poichè anche la bellezza fu arma contro i despoti; fu sprone ai cimenti per la libertà. Nella liberazione d'Italia, la bellezza della donna e i baci d'amore entrarono per qualche cosa!... Alta inspiratrice è la bellezza: onde il Leopardi, per le nozze della sorella Paolina (ch'era brutta, poveretta!) cantava:

Ad atti egregi è sprone

Amor, chi ben l'estima; e d'alto affetto

Maestra è la beltà.

Fra le belle patriote lombarde, quattro principalmente emergevano: la Kramer-Berra, la principessa Pietrasanta, Margherita Ruga e Anna Tinelli.

Teresa Kramer-Berra era figlia di quella Carolina Berra nata Frapolli che, nel '21, accoglieva nella propria casa i Carbonari. La figlia accoglieva, invece, i cospiratori della Giovine Italia. Nel '32, ella riceveva l'avvocato Imperatori, Paolo Origo, Francesco Venini e tanti altri che la polizia definiva per “liberali — esaltati — fuorviati„ (anche questa volta, a scelta), occupandosene in un lungo, interminabile carteggio. Ah, quanto scriveva la polizia! Quanto inutile inchiostro![31]

Vi andava anche il nobile Emanuele d'Adda, rapito di quel volto e di quelle grazie. La Kramer-Berra proferiva accenti che incantavano; ma non potè dirne uno che guarisse il cuore di quell'innamorato ch'ebbe triste la fine, poichè si dice tuttora che morisse per la donna adorata.

Insieme col processo della Belgiojoso, il Tribunale ordì processo alla Kramer-Berra. Il 6 dicembre del 1832, ella dovette comparire davanti al Tribunale per iscolparsi. Durante una perquisizione in casa, le era stato sequestrato un biglietto, che, all'udienza, ella riconobbe per suo. Il biglietto, secondo il parere della polizia e del tribunale, si riferiva all'incarico che un ricco, animoso patriota, il marchese Rosales, le avea affidato: di far passare un soccorso a un prigioniero politico incarcerato nella Casa di correzione a Porta Nuova. La Kramer non ebbe condanna; ma da quel momento più stretto si fece intorno a lei il cerchio odioso della vigilanza poliziesca.

Nel 1836, il colera desolava Milano; e Carlo Kramer (ch'era svizzero) domandò alla polizia un passaporto per recarsi colla moglie Teresa nella terra nativa; ma la polizia gli rispose che a lui sì, ma non alla moglie, concedeva il passaporto. Il Torresani giustificava il diniego al governatore conte Hartig con una nota che diceva tutta la verità sulla Kramer:

“È già noto all'Eccellenza Vostra quali principii liberali e quale decisa avversione al Governo austriaco professi la Kramer; com'essa abbia sempre cercato di sedurre la gioventù ad odiare il proprio Governo, ed a fuggire di qui quando infruttuosi rimasero i tentativi d'innovazioni politiche, e come si trovi in istrette relazioni coi liberali, specialmente del Canton Ticino, e con alcuni rifugiati in Svizzera.„[32]

Teresa Kramer-Berra per la causa dell'indipendenza nazionale profuse ricchezze. Dopo il '48, andò a Parigi e vi tenne salotto, al quale accorrevano gli emigrati di tutt'i colori. E tutti fumavano disperatamente, intorno a lei, sigari e pipe; onde la dea del loco rimaneva mezzo asfissiata fra le dense nuvole di quell'incenso democratico. La Kramer-Berra si serbò, sino all'ultimo suo giorno, democratica nei sentimenti; mazziniana. Il Mazzini la chiamava “sorella„. Era benefica coi poveri; d'una beneficenza delicata e silenziosa, profumo del suo cuore gentile.

La ridente musa meneghina di Carlo Porta plaudì alle nozze di donna Fulvia Verri o donna Fulvietta (come la chiamavano) col principe Carlo Pietrasanta. Come mai il principe non doveva amare quella signorina? domanda il Porta:

E come nol doveva vorregh ben

A ona donnin che balla e sonna e canta,

E parla on lenguagg dolz che tocca e incanta,

E che l'è bella com'el ciel seren?

Figlia dell'economista e storico Pietro Verri e della contessa Melzi d'Eril, Fulvia splendeva per la bellezza, per la grazia, per lo spirito. Rimasta vedova di quel principe meridionale Carlo Pietrasanta Reitano, sposò in seconde nozze Giuseppe Jacopetti, valoroso capo-battaglione di Napoleone I, che in battaglia avea avuto infranto un cubito e una coscia trafitta da un colpo di lancia. La Verri, che godeva la stima di un Alessandro Manzoni, di un Giandomenico Romagnosi e di altri sommi, era intima amica di Bianca Milesi, e amica, ma non intima, della Belgiojoso, la quale cooperò con lei, con Antonio Re, con Ferrante Aporti e coll'indefesso poligrafo Defendente Sacchi, nella fondazione degli asili d'infanzia a Milano. I Faraoni osteggiavano quella pietosa istituzione degli asili de' bimbi poveri; la osteggiavano per le opinioni politiche delle persone che vi profondevano tempo, sentimento, denari. Defendente Sacchi non tardò, infatti, a destare sospetti; anch'egli emergeva fra i giovani lombardi nel seguire gl'ideali della Giovine Italia. Ferrante Aporti non contava, invece, fra i cospiratori pericolosi; pio e dotto sacerdote di San Martino dell'Argine nel territorio di Mantova, fu il primo, veramente, che pensasse a quegli asili; e nella Verri e nella Belgiojoso trovò due pronte, possenti cooperatrici, due fate del bene. Fulvia Jacopetti-Verri non teneva salotto come la Kramer-Berra; non scriveva come la Milesi; ma più della Milesi riscuoteva ammirazioni pel suo conversare ammaliante. Nella sua casa, tenuta d'occhio dalla polizia austriaca, riuscì a penetrare una spia: un belga, impiegato governativo. Ma un altro frequentatore, un mantovano, che i conjugi Jacopetti trattavano lealmente da amico e ritenevano incapace d'ogni bassezza, si dava, più del belga, allo spionaggio prezzolato in quell'aurea famiglia frequentata da uomini d'idee moderne. Ah! con qual premura quel disgraziato riferiva al Torresani i dialoghi d'intonazione sovversiva, che udiva in quella casa ospitale di via Monforte! Uno dei dialoghi meriterebbe d'essere riprodotto, perchè presenta al vivo l'interno di quella patriottica famiglia.[33]

Margherita Ruga vinceva tutte le dame lombarde per la sfolgorante beltà. Brillava in un gruppo patriottico e brioso, che deliziava le sere in casa Tealdo. Un amenissimo liberale, il conte Toffetti, dall'incorreggibile dialetto veneziano e dalle inesauribili celie saporite, ammirava estatico il raggio di quella stella, contemplata da molti astronomi rapiti. Anche Emilio Belgiojoso entrò fra gli adoratori del fuoco: e appunto quelle adorazioni per la pallida, bruna Ruga segnarono la prima origine del disaccordo conjugale fra il principe Emilio e la principessa Cristina.

Un inno meriterebbe Anna Tinelli, fortissima nell'anima, soavissima nei modi. La sua parola versava dolcezze nelle anime addolorate d'amiche e d'amici; incuorava il marito Luigi che, profugo nel 1821 e poscia rimpatriato, s'era unito ai cospiratori del Caffè del Fumo e li accoglieva in casa, auspice quella donna intemerata e sorridente. Il marito fu arrestato e condannato alla morte, quindi graziato coll'esilio in America, donde tornò, parecchi anni dopo, con un'altra moglie al fianco, presentandola all'angelica Anna, che l'accolse con bontà infinita; e annunciandole.... che alla bambina avuta dalle seconde nozze aveva imposto, in omaggio a lei, il nome di Anna!

Mentre quel Luigi subiva il processo, Paride Zajotti chiamò dinanzi a sè Anna Tinelli per istrapparle qualche nuovo capo d'accusa contro il marito, contro i cugini (così si chiamavano gli affigliati della Giovine Italia); ma a nulla valsero le raffinate arti sue d'inquisitore. Una delle arti dello Zajotti era interrompere d'improvviso l'interrogatorio, occupare la mente degl'interrogati in cose del tutto diverse da quelle per le quali eran chiamati dinanzi a lui, e ripigliar poi bruscamente l'interrogatorio interrotto, per vedere se la vittima cadeva in contraddizioni, confusioni: se si tradiva, in una parola. Mentre interroga Anna Tinelli, Paride Zajotti fa entrare con un segreto richiamo un usciere, che ha tanto di lettera in mano. L'inquisitore tronca di botto l'interrogatorio, piglia la lettera, e si mette a leggerla:

— Scusi, sa, signora; una lettera urgente.... To' to' to'! è una lettera di donna, che mi scrive: Caro Adone!... Ma pare a lei ch'io sia Adone?...

E Anna Tinelli col suo garbo:

— Non mi pare che sia Adone,... e nemmeno Paride!

Infatti, Paride Zajotti era brutto. Egli scoppiò in una risata; depose la lettera, e riattaccò l'interrogatorio dove l'aveva lasciato poco prima.

Anna Tinelli (figlia d'un Zannini, benestante, e della baronessa Battaglia) visse fino il 16 agosto del 1888, nella sua Milano dov'era nata ottantatrè anni prima. Sapeva miniare, sullo stile degli alluminatori del Medio Evo, pergamene preziose. La chiesa di San Francesco di Paola a Milano conserva un messale miniato da lei: è tutto un sorriso di tinte delicate: pare il sorriso di quell'anima.

Nel 24 luglio 1833, il Tribunale criminale di Milano dichiarava “indiziata d'alto tradimento„ la principessa Belgiojoso, decretando contro di lei l'inquisizione e l'arresto. Ma sappiamo come la principessa pigliasse il volo.... Tuttavia, anche questa volta, scese dalla reggia l'ordine di sospensione.... Prima di tutto, il vecchio imperatore Francesco (l'uomo dalle quattro mogli) non voleva che s'infierisse contro le donne, specie se appartenenti al ceto aristocratico; memore che negli esecrandi processi del '21, gl'inquisitori di Milano avevano infierito contro Camilla Fè, mettendole ai fianchi, giorno e notte, due gendarmi, e contro Matilde Dembowsky che pur aspramente venne molestata dalla polizia e dalla commissione inquirente presieduta dal Salvotti. D'altra parte, Sua Maestà continuava a comprovare coll'opera quanto il Torresani scrivea al Masetti sulle alte relazioni, che coprivano con ali protettrici la principesca famiglia Belgiojoso. L'imperatore volle (secondo il suo costume) esaminare attentamente gli atti giudiziarii contro Cristina Belgiojoso, e, con decreto del 31 gennajo 1834, ordinò che prima venissero “meglio rilevati gl'indizii, investigando in specialità se esistevano realmente società segrete fra donne sotto il nome di giardiniere.„[34] Il vecchio imperatore d'Austria avea l'aria di dare una lezione di correttezza ai signori giudici di Milano, accusandoli di leggerezza e di precipitazione; e mostrava di non credere a quella canaglia del Doria. In realtà, l'ordine dell'imperatore Francesco I era un'abile scappatoja per favorire la principessa.... Sua Maestà aveva aspettato sei mesi prima di pronunciarsi; e prendeva dell'altro tempo! Sua Maestà ordinava nuove investigazioni sulle giardiniere, e fingeva d'ignorare che la società delle giardiniere era apparsa fin dai processi dei Carbonari del '21; perchè la contessa Teresa Confalonieri-Casati, la baronessa Matilde Dembowsky, Bianca Milesi, Carolina Berra, Camilla Fè nata Besana (madre di quella Carmelita che fu poi moglie di Luciano Manara), la contessa Maria Frecavalli, Teresa Agazzini, la contessa Giuliana Caffarelli, moglie dell'ex ministro della guerra sotto il “bell'italo regno„, donna Giovanna, moglie a Carlo Venini, la torbida Traversi.... eran tutte giardiniere, formanti giardini bellissimi, nei quali coltivavano con appassionato amore qualche pianticella venefica da propinare a Sua Maestà.

Immaginarsi con quali faccie, alla comparsa dell'editto imperiale, si saranno guardati fra loro i soavi Torresani, Mazetti, Zajotti, Rosmini, Salvotti e Menghin, tutti quei trentini indegni della loro nobile terra, scesi in Lombardia per sostenere la trista parte di strangolatori dell'idea italiana! “Ossequiente„, per altro, alle “venerate risoluzioni„ dell'imperatore, il Tribunale criminale mosse nuove indagini sulle giardiniere; e trovò un detenuto, certo Spagnoli, che depose formalmente sulle giardiniere e sui giardini; onde nuovi atti d'ufficio si vergarono sulle belle cospiratrici e sulle brutte; ma il processo contro la Belgiojoso rimase interrotto e sepolto per sempre. Si pensi che i delitti d'“alto tradimento„ dei quali ella era accusata avrebbero (secondo le leggi) fatto pronunciare contro di lei la pena di morte col capestro....

I processi dell'Argenti e dell'Albinola furono, invece, condotti severamente sino alla fine. L'Albinola venne condannato alla forca; ma l'imperatore, apprezzando le informazioni date dal misero sulla Giovine Italia (fra quali terrori mai e promesse?), gli commutò per grazia la pena di morte con otto anni di catene sullo Spielberg.[35] Anche all'Argenti fu inflitta simile condanna. Entrambi vennero inviati poscia in esilio a Nova York sull'Ussero, nave guardata da gendarmi coi fucili, e cinta di cannoni carichi a palla. Attraversarono l'oceano, insieme col Foresti, col Castillia, col Borsieri, avanzi dei processi del 1821 e dello Spielberg: esulavan pure con loro l'avvocato Bargnani di Brescia e il cremonese Benzoni, che s'era battuto nella funebre spedizione di Savoja, al seguito del Mazzini.

Ahimè, ogni giorno più, scemavano i denari nella borsa di Cristina Belgiojoso! Ella non possedeva neppure più i giojelli, chè li aveva venduti per la spedizione del 1831 Emilio Belgiojoso, suo ex marito, ma sempre buon amico suo, lo seppe e le propose di procurarle nuovi giojelli per quarantamila lire. Ella nobilmente rifiutò, e scrisse al principe parole che onorano entrambi:

“Ho riflettuto alla proposta che tu mi fai delle gioje, e sebbene essa potrebbe convenirmi, sono per ora troppo alle strette per potermi accordare degli oggetti di lusso, come sarebbero le gioje. Forse è vero che, un giorno, mi potrò procurare dei diamanti; ma nol farò certamente sino a che non avrò messo ordine a' tuoi affari. Le 40 000 lire che spenderei nella compera delle gioje le avrai ugualmente da Finzi, ed io amo meglio impiegarle nel pagamento di qualche altro debito. Ricuso liberamente la tua proposizione, perchè l'accettarla non ti sarebbe d'utilità alcuna. Te ne ringrazio perchè il vantaggio sarebbe mio....„[36]

Questa lettera prova che un buon accordo tornava, almeno un momento, fra i due conjugi separati; ma, a comprovarlo ancor più, valga l'ultima parte della stessa lettera: è un tratto di sentimento sereno e affettuoso verso il principe, che si preoccupava anche della salute di Cristina. La principessa gli scrive:

“Ti ringrazio dell'interesse che prendi alla mia salute. Essa è discreta. È forse vero che il benessere fisico possa sovente tener luogo del benessere morale: io li ho provati ambidue nello stesso tempo; però nello stesso tempo sono ambidue scomparsi; onde non posso giudicare quale dei due possa meglio consolare della mancanza dell'altro. — Addio, Emilio: vivi felice, e ricòrdati che il mio maggior conforto consiste nel rendermi a te utile. — La tua

“aff.ma Cristina.„

Gli uomini forse, non la donna può esistere per sè sola. La stessa gloria non le basta; l'orgoglio non la sorregge; e ciò per la natura sua e per le condizioni che l'uomo, spesso ingiustamente, le ha fatte. Così Cristina Belgiojoso non s'appagava del turbine delle cospirazioni; e, sotto il gelo apparente, e nel suo stesso orgoglio di dominatrice, sentiva bisogno d'affetti gentili. Ella nutriva, è vero, infaticabile un'idea grande, l'idea d'un'Italia grande; e ciò la sosteneva nei trambusti e nelle amarezze ch'ella, con arte infinita, nascondeva avviluppandosi in una specie di silenzioso mistero; e quel silenzio, quel mistero accrescevano il suo incanto; ma dal fondo inviolato dell'anima inflessibile, erompeva quasi una preghiera per un vero affetto, signoreggiante sugli effimeri capricci; e alcuni passi di sue lettere famigliari ne fanno sicura testimonianza. Fu accusata, persino, di aderire nel 1832 al regime austriaco; si scambiarono e le furberie da lei spiegate per ottenere la restituzione dei beni confiscati, e il libero ritorno in Lombardia, per atti di voltafaccia. Il governo austriaco credette, per un momento, al sincero “pentimento di lei„, di lei che, per farlo credere, aveva sollecitato gli alti papaveri dell'impero, non escluso lo stesso Metternich; ma a Vienna seppero leggere ben presto fra le righe delle “suppliche„ dell'“astutissima„, come fu chiamata in un rapporto. Il Metternich scriveva allo Seldnitzky, presidente dell'Alta Polizia a Vienna:

Il perseverante fanatismo, di cui la principessa Belgiojoso si mostrò sino ad ora pervasa in pro della causa rivoluzionaria, dovette renderle ben duro il passo da lei fatto. Non pentimento delle sue colpe, nè migliori convinzioni possono averla indotta a questo atto.

E il Metternich conchiude:

Poichè evidentemente il suo scopo è diretto a far levare il sequestro de' suoi beni, non tanto per ciò che riguarda l'amministrazione, quanto almeno per la rendita annua degli stessi, sarebbe saggia cosa di permettere alla principessa Belgiojoso di disporre liberamente de' suoi averi solo dopo il suo ritorno (in Lombardia); di limitare intanto il suo soggiorno all'estero a quanto richiede la sua salute e di concederle per la durata della sua ulteriore assenza solo gli alimenti necessari.[37]

Intanto la Belgiojoso restava a Parigi, dove fondava il suo regno.

La Principessa Belgiojoso

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