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III. La Principessa e la “Giovine Italia„.

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Il Metternich minaccia il Governo del Canton Ticino. — I profughi della Svizzera: un suicida. — Torna in scena la spia. — L'Austria confisca i beni alla Principessa e la condanna alla morte civile. — Tentato arresto della Principessa. — Giuseppe Mazzini e la sua Giovine Italia. — La Principessa ajuta la Iª spedizione di Savoja.

Il gran cancelliere d'Austria, principe di Metternich, s'irrita, ora, ancor più contro la Repubblica Elvetica per la facilità ond'essa continua ad accogliere i liberali, sfuggiti alla vigilanza dell'impero. Dopo d'aver rimproverato il mite Hartig di non aver vigilato abbastanza sui sudditi emigranti, il principe sfucina minaccie contro la Svizzera; e all'uopo, si serve della mano dello stesso Hartig!

Proprio nel mese d'ottobre del 1830, nel quale il Governo del Canton Ticino rilascia decreto di cittadinanza svizzera alla principessa Belgiojoso, l'Hartig manda al presidente di quel Governo un inviato speciale, certo dottor Fermo Terzi, con una lettera minacciosa. È una lettera storica, che dimostra una volta di più come il re sardo e l'Austria procedessero di comune accordo contro i liberali. La lettera del conte Hartig al signor landamanno (presidente) “del lodevole Governo del Canton Ticino„, intima “l'estradizione di tutti quei rifugiati sudditi Lombardo-Veneti, che si sono resi complici del delitto d'alto tradimento, e l'immediato allontanamento degli altri individui pericolosi alla tranquillità delle limitrofe Provincie austriache e sarde.„

La lettera continua altiera, e minaccia così:

“La pronta esecuzione di questa misura per parte delle autorità soggette al lodevole Governo del Canton Ticino è riputata tanto urgente e tanto indispensabile dal Governo di Sua Maestà imperiale e reale, che mi troverei, — nel non sperabile caso di non vedere data retta a questo reclamo — obbligato a dichiararle, signor landamanno, siccome faccio colla presente, che il Governo di S. M. I. R. adoprerebbe tutt'i mezzi sanzionati dal diritto delle genti per costringere codesto lodevole Governo ad adempiere i trattati veglianti: verrebbero quindi immantinente a cessare le comunicazioni col Governo e cogli abitanti del Canton Ticino, ed inoltre adoperate tutte quelle altre misure giudicate necessarie, onde preservare i sudditi di S. M. l'augusto mio Sovrano, da qualunque siasi contatto con quelli di un Cantone, le autorità del quale dimostrerebbero col loro contegno, affatto ostile, di non voler più conservare relazioni amichevoli cogli Stati di Sua Maestà imperiale, reale, apostolica.„[12]

Quasi una dichiarazione di guerra!

A questi fulmini, il lodevole Governo del Canton Ticino dovrebbe atterrirsi.... Non si atterrisce. Risponde che quanto l'Austria e il Piemonte domandano è ben giusto; si nominerà una Commissione.... Ma la Commissione ticinese fa come il Turco: tira placidamente a lungo le decisioni sue; e mentre, in accordo col Governo centrale, elude, pel momento, le aspettative dei governi che minacciano di cancellare la Svizzera dalla carta d'Europa, protegge i profughi lombardi, i profughi piemontesi, i profughi degli altri Stati italiani, una prima nota dei quali, in una mattina, comparisce sullo scrittojo del conte Hartig. Fra quei nomi, spicca primo il principe Emilio Belgiojoso. Vi si leggono pure i nomi di due banchieri milanesi: Giacomo e Filippo Ciani, dalla polizia austriaca indicati quali eccitatori del nefando eccidio del ministro delle finanze Prina sulle vie di Milano nel 1814.... E v'è il nome di Filippo Guenzati di Gallarate, legatosi in amicizia patriottica e fida con Emilio Belgiojoso. Vi è quello di Carlo Bellerio, milanese, coltissimo e imperterrito uomo, dagli sguardi trafiggenti, pronto a ogni disperata purchè patriottica impresa, fratello della ammaliante Giuditta Sìdoli, che ama riamata Giuseppe Mazzini e lo ajuta, nei primordii, a diffondere la Giovine Italia. Il Bellerio è amico della principessa Belgiojoso; ed è amico del Mazzini, al quale rimane tenacemente fedele fino alla tarda vecchiaja, fino alla morte.

Tra i fuorusciti italiani, che risiedono parte a Bellinzona, parte a Lugano, si nota un polacco, suddito prussiano, odiatore del regime assoluto della Sprea: il conte Onofrio Redoinski. Una notte, l'infelice si precipita da una finestra della povera casa dove dimora, e rimane morto sul colpo. Nei libri neri della polizia lombarda, è indicato come “esagerato e attivo liberale, che faceva frequenti viaggi in Francia per la corrispondenza fra i membri del suo partito.„ Chi oggi più lo ricorda?... Quante vittime oscure travolte nelle rivoluzioni! quanti dimenticati!

Nel frattempo, la principessa Belgiojoso, non ostante la miseranda salute, si diverte a Lugano. Ella comprende che, in momenti sacri alla patria, tutto alla patria deve concedere; comprende che la donna superiore deve far di meglio nel mondo che lasciarsi corteggiare e adorare.... ma non ostante ella sia, e senta di essere, l'apparizione romantica più grandiosa che l'alta società femminile abbia dato all'Italia nella prima metà del secolo XIX, non per questo ella si abbandona alle lacrimose malinconie d'altre sorelle romantiche: i salici piangenti non sono piantati per la principessa Belgiojoso.

È saporita la lettera segreta, che una spia austriaca (non Pietro Aretino del famoso ballo in casa Batthyány) scrive in data dell'ottobre di quello stesso anno, col grazioso nome di Pietro Dolce, al governatore Hartig sulla vita gioconda della principessa. È tutta da godere. Ma, prima di citarla, dobbiamo segnalar la riparazione che la Svizzera a quel tempo nobilmente volea compiere. Dalla Svizzera, piombarono un giorno sull'Italia valanghe ruinose di soldati venduti al miglior pagatore e pronti al saccheggio, alla strage vandalica; e allora, all'alba dell'indipendenza italiana, la Svizzera cercava di cancellare quell'onta, accogliendo i perseguitati, i sognatori d'un'Italia libera.

Ecco ora la lettera sulla principessa. Reca la data del 21 ottobre 1830:

“Le tante sciocchezze, che sempre ha fatto e seguita a fare la moglie del Principe Belgiojoso all'estero ne' suoi viaggi, meriterebbero ora un qualche riflesso. Oltre al sano principio d'ogni Governo per non lasciare che i ricchi gettino i lor denari in paesi stranieri, giova pur osservare che essa, da pochi giorni venuta a Lugano, diede una splendida festa di ballo molto allegra, invitando ogni ceto di persone e fra queste pur di quelle che sono colpite d'esilio dalle contrade svizzere in forza delle rappresentanze dei potentati d'Europa, che hanno reclamato una misura generale, perchè l'Elvezia cessi d'ora innanzi d'essere impunemente l'asilo di tanti fuorusciti.

“La principessa Belgiojoso è una pazzarella, che starebbe meglio a casa sua in Milano, che in giro sempre all'estero per farsi deridere, per compromettersi forse, e compromettere gli altri.„

Se la principessa avesse potuto leggere questa lettera che solo oggi, dopo tanti anni d'ombra, esce alla luce, come avrebbe riso! Ma ella rideva lo stesso, allora, immaginando ogni sorta di scappatoje e di burle per infrangere tutte le trame che il governatore austriaco di Lombardia tentava contro di lei allo scopo di farla ritornare a Milano, temendo in lei una cospiratrice, pericolosa per lo splendido nome, pel ricchissimo censo, per l'energia della volontà, per la facile fascinazione di lei sul sesso forte.... ch'è debole.

Un bel giorno, il conte Hartig le procura una visita: le manda il bravo suddetto Fermo Terzi in persona, per convincerla ch'ella si trova all'estero senza il passaporto voluto dalle leggi —, che perciò il suo soggiorno nella Svizzera è illegale e deve tornarsene sull'istante a Milano. Ma la principessa spiega sotto gli occhi del Terzi un passaporto “senza limite di tempo„ che ha potuto ottenere dall'Ambasciata austriaca a Firenze: gli fa notare, anche, che il rappresentante d'Austria a Berna lo ha fregiato della sua rispettabile firma, aggiungendovi “buono per la Francia„. E poi non è ella “cittadina elvetica„?...

Il bravo dottor Fermo Terzi è mortificato, a quanto pare, del fiasco; un fiasco leggermente impagliato dai modi graziosi della bella milanese.... E avverte il governatore del Regno Lombardo-Veneto che sarebbe imprudente tentare l'espulsione della Belgiojoso dalla Svizzera, anche per la grande popolarità che la principessa ormai gode sotto il cielo ticinese:

“.... D'altra parte, la principessa non solo gode la protezione dei liberali dominanti, il cui partito comprime la volontà e l'autorità dei provvisorii governanti; ma è anche veduta di molto buon occhio dagli abitanti, in generale, di Lugano, per qualche sua beneficenza verso i poveri, per la bonomia e la popolarità del suo tratto, e per una festa di ballo, data non senza splendidezza....„[13]

Il governatore conte Hartig non sa darsene pace. Scrive al barone Binder, rappresentante dell'Austria a Berna, per pregarlo di fargli conoscere i motivi che lo hanno spinto a rilasciare alla pericolosa principessa quel visto sul passaporto della legazione d'Austria a Firenze, aggiungendovi la magica aggiunta: buono per la Francia. Il povero barone dev'essersi trovato nell'imbroglio anche lui.... E, intanto, la principessa lascia Lugano per Genova.... Nuove inquietudini, allora, dell'Hartig. Il Governatore scrive subito al conte Seufft, rappresentante l'imperatore d'Austria a Torino, perchè la principessa, lasciando Genova dove s'è rifugiata, non possa rendersi che in Lombardia, e le si sequestri il famoso passaporto per la Francia, del quale è munita. I poliziotti di Genova vanno per arrestarla in casa. Ma ella, per una porta segreta, fugge, e miracolosamente si salva a Marsiglia, con un solo sacco di robe, seguita da una sola cameriera, certa Maria Longoni, giovane milanese, che ben presto infastidita d'una vita di fughe, d'affanni, di paure, torna a Milano, e, chiamata in fretta dalla polizia ad audiendum verbum, le racconta del misero stato di salute dell'abbandonata padrona e della consunzione alla quale sembra condannata.[14]

Ma una spia della polizia austriaca di Milano, ha seguìta assidua la principessa, e la segue.... È sempre il Pietro Aretino del sontuoso ballo in costume del conte Batthyány a Milano? è ancora quel Pietro Dolce; ch'era, a quanto sappiamo, un nobile spiantato?... Nelle lettere occulte che manda all'Hartig, si firma un Pietro Svegliati. Dalla Svizzera, egli è passato con un tempo orribile a Genova, quindi rapido a Marsiglia, dove, bella di audacie e di speranze, è nata intanto la Giovine Italia. Il tristo vi è andato coll'idea di mescolarsi ai profughi italiani, ai liberali, fingendosi anch'egli profugo, anch'egli liberale!... La sua prima lettera al conte Hartig suona così:

“La mia corrispondenza da qui in avanti sarà di un tono amichevole e scritta con frasi liberali, delle quali però Ella non durerà fatica a penetrare il vero senso; e quando vedrà che le linee sono alquanto distanti l'una dall'altra non manchi di passare le mie lettere sopra il fuoco.„

Sopra il fuoco.... perchè ne risaltino, evidentemente, le notizie segretissime scritte con inchiostro simpatico.... E informa l'Hartig anche sulla fuga della principessa Belgiojoso da Genova:

“Ella fu assistita in questa sua fuga dalla famigerata Milesi, moglie del medico Mojon, con la quale era inseparabile. Questa Milesi, già da Lei ben conosciuta, passa qui per una esaltatissima liberale, e molti anche credono che possa servir di canale intermediario per la corrispondenza fra alcuni emigrati che sono in Francia, e i loro parenti e amici d'Italia: si pensa persino che la Traversi in Milano non sia estranea a questa manovra; ed è perciò che non sarà mal fatto di invigilare sulla corrispondenza, che è frequente fra queste due liberalissime femmine, e sulle persone di tutti i colori che frequentano la Casa Traversi....„

E da Antibo il 19 gennaio 1831, lo spione, dopo d'aver dipinto all'Hartig lo spirito della popolazione di Nizza, torna a sparlar della fuggiasca:

“Ho saputo a Nizza che la principessa Belgiojoso fu fatta passare il Varo da un negoziante di Nizza per contrabbando; e jeri ho letto con gli occhi miei alla Mairie il passaporto svizzero con cui si è introdotta in Francia. In esso, ella è qualificata per Trivulzi Belgiojoso, dama, nata svizzera; ed il passaporto è datato da Lugano sotto il giorno 5 ottobre 1830. Essa è passata sola con la sua cameriera: le si è dato un passaporto provvisorio per Hyères presso Tolone, ed ha detto che riprenderà il suo al ritorno. Il cuoco, il cameriere ed un giovanetto che passa per corriere, sono rimasti in Genova con tutti i di lei effetti. Questi individui hanno fatto l'impossibile presso il Governatore per ottenere un passaporto onde raggiungerla, ma sempre invano.„[15]

Andò un giorno famoso il cavaliere d'Eon de Beaumont, spia francese, travestito da donna, che penetrava dovunque.... Pietro Aretino, Pietro Dolce, Pietro Svegliati, e un altro spione, che si firma Attilio Regolo, non hanno bisogno di travestimenti femminili per introdursi nelle famiglie milanesi, più che altrove facilmente ospitali. Attilio Regolo assume l'aria d'uno smemorato, d'un'oca, come mi scrisse un amico, figlio di chi allora cadde vittima di quel tristo.

La principessa, intanto, è arrivata penosamente in una diligenza da Marsiglia a Tolone, dove scende colla sua cameriera e col suo unico sacco da notte all'albergo della Croce d'Oro. Vi si ferma poche ore, chè si fa condurre in carrozza a un ridente casino di campagna a Kockerane, sulla riva del mare. In quel casino, abitato da famiglie inglesi, la fuggitiva conta di riposarsi dalle malattie, dalle fatiche, dalle emozioni.

Per avere notizie della Belgiojoso, la spia corre alla Croce d'Oro, ne interroga l'albergatrice, poi penetra nella casa d'un italiano, certo Monteggia, figlio del celebre chirurgo lombardo; e così comunica all'Hartig:

“Sono stato a trovare (Place du Lycée N. 3) il Monteggia milanese, professore al liceo di lingua italiana; ma l'ho trovato a letto oppresso da una gagliarda febbre reumatica; ciò che mi ha impedito d'avere una lunga conversazione con esso: ho però parlato a lungo con la di lui moglie, ch'è un'amabile milanese, liberalissima, lattante un piccolo bambino. Ella mi ha raccontato che la principessa Belgiojoso le ha scritto pochi giorni sono da Kockerane che il Governo austriaco ha sequestrato tutt'i suoi averi per forzarla a ritornare in patria, ciò ch'ella non intende di fare, e che prevede che, così durando le cose, sarà presto forzata di venire a Marsiglia a far uso de' suoi talenti per procurarsi il modo di vivere. Ciò che mi ha fatto veramente ridere; e la Monteggia ha convenuto meco che ha una testa tutta romanzesca.„[16]

Era vero anche questo: il Governo austriaco le avea sequestrate le sostanze, che salivano a più milioni. Morendo, il padre suo l'avea lasciata, infatti, unica erede sotto la tutela d'un Trivulzio. L'editto contro la principessa, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e sulle cantonate di Milano, suonava così:

Viene d'ordine superiore ingiunto alla principessa Cristina di Belgiojoso nata Trivulzio di ritornare negli Stati di Sua Maestà Imperiale Reale Apostolica, e di far constare del ritorno, presentandosi a questa Delegazione provinciale nel termine di tre mesi sotto la comminatoria d'essere dichiarata morta civilmente e della confisca di tutt'i beni, i quali si dichiarano intanto posti sotto rigoroso sequestro.

Anche la morte civile!... Il bando recava la firma d'un Torriceni, delegato provinciale, e d'un conte Rovida, segretario, che infiorava a quel tempo le strenne di melliflue strofette.

Ma la principessa avrebbe chiesta la grazia all'imperatore? Ne riparleremo più tardi. Intanto, ella volgea l'animo a Giuseppe Mazzini, al capo cospiratore romantico, che si sentiva inviato da Dio sulla terra per frangerne le catene, per librare le anime nel cielo dell'Ideale. Come splendeva il lampo degli occhi neri del pallido ligure! Come risuonava negli animi la sua parola! Le pagine sue avean l'accento e l'immagine dei biblici profeti: ed egli parea un profeta, un salvatore ai profughi, che nella sua promessa sentivano quasi gli echi di Gesù, quando il Divin Maestro dalla montagna esclamava alle turbe: “Beati quelli che soffrono persecuzioni per amore della giustizia, perchè è di loro il regno dei Cieli.„

Giuseppe Mazzini sapeva che senza Dio, senza la fede nell'immortalità dell'anima, senza il convincimento che tutto nell'universo è un continuo, augusto divenire, un popolo non può grandeggiare, non può vivere.

La società segreta della Giovine Italia fu fondata dal Mazzini a Marsiglia appunto nell'anno in cui siamo col nostro racconto, nel 1831, dieci anni dopo i processi dei Carbonari, saliti in catene al martirio e alla gloria d'un nuovo Calvario: lo Spielberg. La Giovine Italia prendeva appunto il posto della Carboneria soffocata dalla violenza; anzi, per qualche tempo, dal Governo austriaco la Giovine Italia vien chiamata Carboneria negli atti d'ufficio, nei discorsi.... Ma la Giovine Italia differiva dalla Carboneria in due punti essenziali, e fa d'uopo notarli: aspirava all'esclusiva unità d'Italia con Roma capitale; laddove la Carboneria non poneva il concetto d'un'unità italiana ben definito; anzi, a Milano, non si voleva dal Confalonieri e da altri carbonari che uno Stato unito al Piemonte; per quanto il Manzoni, fedele, con altri, al concetto unitario dell'infelice re Murat, cantasse allora:

non sorgan barriere

Fra l'Italia e l'Italia, mai più!

La Carboneria aspirava al regime costituzionale: la Giovine Italia aspirava alla repubblica.

Seguendo gli antichi sistemi massonici, la Giovine Italia adottò il metodo (allora necessario in mezzo al dispotismo vegliante) dei segni misteriosi per riconoscersi, e delle misteriose adunanze. Mentre il motto fiammeggiante della Giovine Italia era “Dio e popolo„, varii altri motti venivano adottati dai confratelli della “federazione„ per riconoscersi dovunque. Almeno fino all'ottobre del 1833, le parole di riconoscimento furono popolo, azione, fiducia, alternativamente pronunciate. I gesti erano semplici; e anche la principessa Belgiojoso dovette impararli tutti.

Domanda: Le mani incrocicchiate colle palme rivolte al cuore.

Risposta: Le mani incrocicchiate colle palme verso l'interrogato.

Parlando insieme: Incatenare i diti indici.

Segni pei viaggiatori: Domanda: Presentare il pugno chiuso a chi deve rispondere.

Risposta: Respingere il pugno di chi domanda.

V'erano poi quest'altri segni:

Domanda: Colla mano far atto di tergersi il sudore dalla fronte.

Risposta: Battersi colla mano dritta due volte il cuore.

E v'erano alte parole:

Domanda: Virtù. — Risposta: Sacrificio.

Oppure:

Domanda: Segreto. — Risposta: Morte.[17]

Il simbolo decorativo della Giovine Italia consisteva in un ramoscello di cipresso; simbolo anche della morte a cui tutti i federati doveano votarsi, per conseguire “la repubblica una e indivisibile, in tutto il territorio italiano, indipendente, uno e libero„, chè tale era il principio fondamentale della federazione. — Il giuramento, dettato dal Mazzini, era solenne; in alcuni punti terribile:

“Io cittadino Italiano

“davanti a Dio, Padre della libertà, davanti agli uomini nati a gioirne, davanti a me e alla mia coscienza specchio delle leggi della natura;

“pei diritti individuali e sociali, che costituiscono l'uomo, per l'amore che mi lega alla mia patria infelice; pei secoli di servaggio che la contristano; pei tormenti sofferti da' miei fratelli Italiani; per le lagrime sparse dalle madri sui figli spenti o captivi; pel fremito dell'anima mia in vedermi solo inerte ed impotente all'azione; pel sangue de' martiri della patria; per la memoria de' padri; per le catene che mi circondano,

“Giuro

“di consacrarmi tutto e sempre con tutte le mie potenze morali e fisiche alla Patria ed alla sua rigenerazione; di consacrare il pensiero, le parole, l'azione, a conquistare indipendenza, unione e libertà all'Italia; di spegnere col braccio ed infamar colla voce i tiranni e la tirannide politica, civile, morale, cittadina o straniera; di combattere in ogni modo le inuguaglianze fra gli uomini d'una stessa terra; di promuovere con ogni mezzo l'educazione degl'italiani alla libertà ed alle virtù che la rendono eterna;

“di cercare per ogni via che gli uomini della Giovine Italia ottengano la direzione delle cose pubbliche;

“di propagare con prudenza operosa la federazione, di cui fo' parte da questo momento;

“di ubbidire agli ordini ed alle istruzioni che mi verranno trasmesse da chi rappresenta con me l'unione de' fratelli;

“di non rivelare per seduzioni o tormenti l'esistenza, le leggi, lo scopo della federazione, e di distruggere potendo il rivelatore.

“Così giuro, rinnegando ogni mio particolare interesse pel vantaggio della mia patria, ed invocando sulla mia testa l'ira di Dio e l'abbominio degli uomini, la infamia e la morte dello spergiuro, se io mancassi al mio giuramento.„[18]

La principessa Belgiojoso pronunciò questo giuramento?... Certo nè ella nè il principe ex consorte Emilio si attennero al secondo paragrafo dello statuto della Giovine Italia, che affermava la repubblica avere per iscopo anche “l'abolizione di ogni aristocrazia e d'ogni privilegio, che non dipendesse dalla legge eterna della capacità e delle azioni„. Cristina Belgiojoso-Trivulzio non si fe' chiamar mai “cittadina„, bensì sempre “principessa„. E, aristocratico nell'anima era il principe Emilio; e il Mazzini lo chiamava spesso con quel titolo, quando con fidi amici si lamentava delle inclinazioni di lui ai piaceri mondani; quando si doleva delle riluttanze, dell'abbandono.[19] Poichè ben presto il Mazzini provò l'amarezza degli abbandoni.

L'agitatore ideò d'irrompere con una spedizione armata nella Savoja, per rovesciarne il principato assoluto e diffondere da quelle balze nel sopito Piemonte la rivoluzione e la repubblica: ciò doveva essere il principio della liberazione di tutt'Italia!... Ma, prima, nel febbrajo del 1831, una spedizione in Savoja fu decisa dal Comitato italiano di Parigi. Ne era l'anima un fierissimo vecchio, quasi cieco (lo rivedremo nel VI capitolo), il profugo Filippo Buonarroti, che dava lezioni di spinetta. Il venerando Lafayette, amico della Belgiojoso, colui ch'aveva contribuito a fondare la repubblica degli Stati Uniti, (allora egli era generalissimo della Guardia Nazionale di tutta la Francia) ajutava l'impresa presso il Governo di Luigi Filippo. Egli ottenne dal Guizot, ministro degl'interni, “fogli di via„ e denaro ai profughi politici, che avessero voluto partecipare alla spedizione. E il Dupont de l'Eure, ministro della Giustizia e dei Culti, diceva al Lafayette: Dites aux Italiens d'agir: La France se levera tout'entière pour les secourir en cas de bésoin. Il presidente del Consiglio, Giacomo Lafitte, banchiere, la cui Casa aveva fornito denaro senza rimborso per l'insurrezione, dichiarò al Lafayette di essere nell'interesse della Francia il circondarsi di Stati liberi: la Francia non avrebbe permesso ad altre potenze di schiacciare i rivoluzionari.[20] La principessa Belgiojoso inviò, col mezzo del modenese Vincenzo Pisani (uno spaccone), sessanta mila franchi[21], parte in denaro, parte in cambiali; e trapunse ella stessa la coccarda per la spedizione[22]; alcuni francesi e signore inglesi elargirono altri soccorsi a Lione, donde la spedizione, guidata dal generale piemontese Regis, fra le acclamazioni del popolo stava per muovere verso la Savoja; quand'ecco il ministero Lafitte d'un tratto è rovesciato e Casimiro Perrier, nuovo presidente, ordina al prefetto di Lione d'impedire, anche con la forza, la partenza degli insorti per la Savoja: e tutto andò in fumo, come piacque al re Luigi Filippo che aveva segrete intese con l'imperatore d'Austria. Quello fu un periodo di aspre contrarietà per Cristina. Era disgustata del marito, e più di parecchi profughi. Aveva affidato dieci mila franchi a certo Pironti, perchè soccorresse gli esuli italiani di Marsiglia; ma il brav'uomo pensò ch'era meglio soccorrere soltanto sè stesso, e li intascò. Per le cambiali rilasciate, la principessa si trovò impigliata negli imbrogli. Il pagamento di quelle cambiali famose suscitò arrabbiate contestazioni con un piemontese, certo Fasanini, che le aveva girate, e che troveremo più tardi. Ma il peggio per la principessa fu il tradimento d'un Doria, che non apparteneva no, alla gloriosa famiglia di Genova, ma ne portava, o forse se n'era appropriato, il nome. Parliamo di costui; ma prima dobbiamo accennare che a Parigi dove Cristina si ritrasse nel 1831, domandò (fingendo umile pentimento) all'Apponyi, ambasciatore d'Austria a Parigi, la restituzione dei beni confiscati. Infatti, era stata costretta a vendere i suoi gioielli per 150,000 franchi. — E ora veniamo al traditore.

La Principessa Belgiojoso

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