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SCENA PRIMA.

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Esce LANCIOTTO dalle sue stanze per andare all'incontro di GUIDO, il quale giunge. Si abbracciano affettuosamente.

GUIDO.

Vedermi dunque ella chiedea? Ravenna

Tosto lasciai; men della figlia caro

Sariami il trono della terra.

LANCIOTTO.

Oh Guido!

Come diverso tu rivedi questo

Palagio mio dal dì che sposo io fui!

Di Rimini le vie più non son liete

Di canti e danze; più non odi alcuno

Che di me dica: Non v'ha rege al mondo

Felice al pari di Lanciotto. Invidia

Avean di me tutti d'Italia i prenci:

Or degno son di lor pietà. Francesca

Soavemente commoveva a un tempo

Colla bellezza i cuori, e con quel tenue

Vel di malinconia che più celeste

Fea il suo sembiante. L'apponeva ognuno

All'abbandono delle patrie case

E al pudor di santissima fanciulla,

Che ad imene ed al trono ed agli applausi

Ritrosa ha l'alma.—Il tempo ir diradando

Parve alfin quel dolor. Meno dimessi

Gli occhi Francesca al suo sposo volgea;

Più non cercava ognor d'esser solinga;

Pietosa cura in lei nascea d'udire

Degl'infelici le querele, e spesso

Me le recava; e mi diceva.... Io t'amo.

Perchè sei giusto e con clemenza regni.

GUIDO.

Mi sforzi al pianto.—Pargoletta, ell'era

Tutta sorriso, tutta gioja, ai fiori

Parea in mezzo volar nel più felice

Sentiero della vita; il suo vivace

Sguardo in chi la mirava, infondea tutto

Il gajo spirto de' suoi giovani anni.

Chi presagir potealo? Ecco ad un tratto

Di tanta gioja estinto il raggio, estinto

Al primo assalto del dolor! La guerra,

Ahimè, un fratel teneramente amato

Rapiale!... Oh infausta rimembranza!.. Il cielo

Con preghiere continue ella stancava

Pel guerreggiante suo caro fratello...

LANCIOTTO.

Inconsolabil del fratel perduto

Vive, e n'abborre l'uccisor; quell'alma

Sì pia, sì dolce, mortalmente abborre!

Invan le dico: I nostri padri guerra

Moveansi; Paolo, il fratel mio, t'uccise

Un fratello, ma in guerra; assai dorragli

L'averlo ucciso; egli ha leggiadri, umani,

Di generoso cavaliero i sensi.

Di Paolo il nome la conturba. Io gemo

Però che sento del fratel lontano

Tenero amore. Avviso ebbi ch'ei riede

In patria, il core men balzò di gioja;

Alla mia sposa supplicando il dissi,

Onde benigna l'accogliesse. Un grido

A tal annunzio mise. Egli ritorna!

Sclamò tremando, e semiviva cadde.

Dirtelo deggio? Ahi l'ho creduta estinta,

E furente giurai che la sua morte

Io vendicato avrei... nel fratel mio.

GUIDO.

Lasso! e potevi?...

LANCIOTTO.

Il ciel disperda l'empio

Giuramento! L'udì ripeter ella,

Ed orror n'ebbe, e a me le man stendendo:

Giura, sclamò, giura d'amarlo: ei solo,

Quand'io più non sarò, pietoso amico

Ti rimarrà... Ch'io l'ami impone, e l'odia,

La disumana! E andar chiede a Ravenna

Nel suo natio palagio, onde gli sguardi

Non sostener dell'uccisor del suo

Germano.

GUIDO.

Appena ebbi il tuo scritto, inferma

Temei foss'ella. Ah, quanto io l'ami, il sai!

Che troppo io viva... tu mi intendi... io sempre

Tremo.

LANCIOTTO.

Oh, non dirlo!.. Io pur, quando sopita

La guardo... e chiuse le palpebre e il bianco

Volto segno non dan quasi di vita,

Con orrenda ansietà pongo il mio labbro

Sovra il suo labbro per sentir se spiri:

E del tremor tuo tremo.—In feste e giochi

Tenerla volli, e sen tediò: di gemme

Dovizïosa e d'oro e di possanza

Farla, e fu grata ma non lieta. Al cielo

Devota è assai: novelle are costrussi.

Cento vergini e cento alzano ognora

Preci per lei, che le protegge ed ama.

Ella s'avvede ch'ogni studio adopro

Onde piacerle, e me lo dice, e piange.

Talor mi sorge un reo pensier... Avessi

Qualche rivale? O ciel! ma se da tutta

La sua persona le traluce il core

Candidissimo e puro!... Eccola.

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