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CAPITOLO QUATTRO

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Ad era sdraiato sul letto della sua cabina. Teneva stretto un cuscino, ondeggiando su un fianco. Nella sua mente e tra i tessuti del suo sistema nervoso, il breve ma intenso rapporto avuto con la Bestia era stato come un lampo luminoso. Quel riverbero non accennava a spegnersi. Nemmeno dopo aver giocato con un nativo di una tribù oceanica. Quel tizio avrebbe sborrato tutta la sera, solo guardandolo in quegli occhi cremisi. Ma Ad aveva pensieri solo per il Dio Pagano. Venne riportato alla realtà da un violento bussare alla porta. Il cuore cominciò a martellargli, furioso, nel petto.

E se fosse stato lui?

Si alzò di scatto e si lanciò ad aprire la porta.

Stine aveva avuto tutta l’intenzione di frustare a sangue quello stronzetto impudente, per poi trascinarlo nella sua suite. Ma vederlo lì, sulla soglia, nudo e stupendo, lo bloccò. Per quanto avesse un’alta opinione di sé e una reputazione degna di essere chiamata tale, il Padrone non aveva mai avuto occasione di osservare Schiavi D’Alto Borgo così da vicino. In realtà, non gli era nemmeno mai interessato scoparsi esemplari di tal fatta. Ma quel ragazzo, ecco, quel ragazzo era tutta un’altra storia. Il diretto interessato, però, non contraccambiava affatto il sentimento. Infatti, una volta capito che non si trattava della Bestia, sbatté la porta sui cardini così forte da far tremare gli stipiti.

Il Padrone si ritrovò, suo malgrado, a bussare. Di nuovo.

“Apri immediatamente, se non vuoi farlo sapere a chiunque,” intimò, seccato.

Ad scoppiò a ridere. Ma chi credeva di essere, quel vecchio? Sticazzi se anche tutta la nave fosse accorsa alla sua cabina. Riacchiappò il cuscino e lo strinse più di prima. Ricordandosi di come quell’uomo lo avesse fatto venire in un modo così devastante, iniziò a toccarsi. I colpi sempre più insistenti e gli avvertimenti sempre più minacciosi non gli davano fastidio. La porta avrebbe retto contro un uragano e ciò gli bastava.

“Oh, mio Dio,” mugugnò, mentre pensava a quelle mani enormi che gli cingevano la vita. Doveva rivederlo. Era essenziale che lo trovasse. E in fretta, pure.

Vattene, non avvicinarti mai più a me, gli aveva detto, però, subito dopo. E Ad si rattristò. Poteva mica essere che fosse uno di quelli a cui piaceva conquistare la preda? Magari non apprezzava chi si concedeva subito, senza nemmeno essersi presentato. Ma non gli importava chissà tanto. Voleva sentire, di nuovo, tutto quel potere su di lui. Dentro di lui. Ad sapeva che nessuno, nemmeno un Dio Pagano, poteva rifiutare il piacere che lui era capace di offrirgli. Soprattutto una volta scoperto il suo potenziale. Avrebbe scommesso qualsiasi cosa che avrebbe voluto possederlo e dominarlo.

Stine si arrese. O, almeno, così sembrò al ragazzo.

Si sbagliava. Era solo andato alla Reception a chiedere una copia della chiave per poter entrare nella sua cabina. Ma Ad non poteva saperlo. E non gli poteva fregare di meno. Si infilò un paio di pantaloncini e corse fuori, alla ricerca della Bestia.

Quando Stine tornò, convinto di aver rovesciato la situazione, tentò -di nuovo- l’approccio del bussare. Nessuna risposta. Ridacchiando, usò il passe-partout ed entrò. Sfoggiando il suo miglior sorriso da-stronzo, ovviamente.

Ma non vide nessuno. Doveva essersi nascosto, il micetto. Iniziò, quindi, ad ispezionare ogni angolo. Controllò perfino sotto il letto. Niente. Nothing. Rien. Nada. Ничего.

Afferrò la coperta sul letto. Si era già immaginato come avrebbe costretto quella giovane bellezza a succhiarglielo, per poi farlo piangere e implorare. Non poteva mica scoparsi un letto vuoto! Per quanto tempo ancora quella puttana doveva farglielo odorare?! In preda alla rabbia, gettò per aria qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Finché, esausto, non si sdraiò sul materasso. Odorava di Ad. Odorava di desiderio. E Stine si calmò. Dopotutto, quel rizzacazzi sarebbe dovuto rientrare all’ovile. Prima o dopo.

E lui sarebbe stato lì, pronto, ad aspettarlo.

***

Ad non aveva la minima idea di dove cercare la Bestia. Sperava di trovarlo, di nuovo, sul Ponte Principale. L’ultima volta, stava osservando l’Oceano. Ma era buio e c’era ben poco da vedere. Il ragazzo si appoggiò, comunque, alla balaustra. Dove mai poteva essere?

***

Al era sdraiato per terra, accanto al giaciglio di Aletta. Gli aveva concesso una coperta, ma non un materasso. La verità? A lui andava benissimo. Da solo, a contatto col pavimento gelido, nell'oscurità, era molto più facile sognare. Soprattutto dopo che il corpo dell'amante dei suoi sogni aveva acquisito caratteristiche più che reali, giusto quella mattina.

***

“Ti ho preso, bastardo,” sibilò qualcuno alle sue spalle. Ad si sentì afferrare da dietro, per poi essere spinto in un angolo. Si divincolò e riuscì a vedere chi fosse l’aggressore. Amir. Non aveva dubbi. Stine non si era arreso manco per niente. Anzi, aveva chiamato i rinforzi. Quello si mise a mordicchiargli la nuca. Come se bastasse a fermarlo! Allungò una mano, alla ricerca di qualcosa. Qualsiasi cosa che potesse usare come arma. La trovò. Subito, la roteò sul polso e la spinse indietro, colpendo l’uomo allo stomaco. Il ragazzo, in realtà, mirava all’inguine. Ma dovette accontentarsi, visto che il risultato fu il medesimo. Si liberò dalla stretta e vide cos’aveva effettivamente usato. Una paletta, di quelle con cui si raccoglie la sabbia, ma d’oro massiccio. Non ebbe il tempo di ammirarne la fattura perché Amir stava tornando all’attacco. Quindi, gliela conficcò nella coscia. Di nuovo, aveva mirato all’inguine. Ma chissà perché non riusciva proprio a fare centro. Non perse tempo a pensarci e si lanciò dritto verso la sua cabina.

Le molestie, in sé e per sé, non gli davano fastidio. Non lo avevano mai turbato. Sembrava attirarle molto più degli Schiavi, certo, ma lui non lo era. Però, nessuno sembrava capirlo. Firokami, tutto sommato, gli piaceva. Ci si era trasferito solo per frequentare l’Università. Era nato e cresciuto nell’Isola di Kee-Niu. Si era laureato a pieni voti e avrebbe potuto diventare molto ricco, se avesse voluto. Ma i Kee-Niani avevano altri valori. Lingotti, gioielli, sete e merletti gli provocavano l’orticaria. Lui era abituato a vestirsi di Sole e di Vento. Alle mani di quegli uomini, preferiva le carezze dell’acqua e dell’erba. Uscire dal campus universitario fu un’impresa. Anche se laureato, gli insegnanti non volevano proprio lasciarlo andare. Una bellezza come la sua, così esotica, non era facilmente rimpiazzabile. Ma un’orda di nuovi bellissimi giovani arrivò in Città giusto nel periodo della sua sessione e riuscì a mascherare la sua etnicità.

Così, riacquistò la sua Libertà. Non solo. Avendo finito perfettamente in corso e primo del suo anno, ricevette anche un generoso premio di Laurea dalla stessa Firokami. Era definitivamente libero. Tutta quella gente che voleva renderlo uno Schiavo era a dir poco ridicola. Se avesse voluto, loro sarebbero stati i suoi Schiavi. Ma a lui non importava nulla di dominio e sottomissione. Era, comunque, il prezzo da pagare per vivere lontano da casa. Non si curava di ciò, si limitava a guardare e passare.

Una volta raggiunta la sua cabina, si accorse che c’era qualcuno al suo interno. Sbirciò e vide Stine, addormentato, nel suo letto.

Patetico.

Sollevò gli occhi al cielo, esasperato. Girò i tacchi e attraversò il corridoio. Direzione, la cabina del Capitano della nave.

Il Comandante Stor stava già dormendo, quando bussò. Poteva essere uno dei suoi sottoposti. O la sua ninfetta. Oppure un passeggero. A ogni modo, doveva alzarsi. Quando aprì la porta, ciò che vide gli mozzò il fiato. Una meravigliosa creatura ciondolava sulla soglia. L’aveva già notato, quel ragazzo. Forse si trattava dell’amante di qualche Corifeo? Decisamente sì, uno così bello doveva essere uno Schiavo Di Lusso.

“Sì?” gli sorrise l’uomo.

Ad gli si avvicinò e, nella sua migliore interpretazione di Lady Macbeth, cinguettò, “Oh, Capitano! Mio Capitano! Aiutatemi! C’è un uomo nella mia cabina! Nel mio letto! Ho tanta, tanta paura! Non ho trovato nessuna guardia! Avrei chiesto a loro, prima di disturbare Voi, ma non sapevo a chi altri rivolgermi! Vi prego!”

“Non aggiungere altro! Mi vesto subito!” esclamò il Capitano.

Una brava persona? Mamifacciailpiacere! Non vedeva l’ora di buttare fuori qualcuno dalla sua nave. E a calci in culo, per di più. Tutto, pur di accaparrarsi la gratitudine di un Corifeo. Magari, lo avrebbe fatto ringraziare personalmente dal suo adorabile Schiavo.

“Oh, grazie! Grazie, mio Capitano! Mio eroe!” cinguettò, ancora, il ragazzo.

Stor si vestì alla velocità della luce. Poi, una volta cinte le delicate spalle di Ad con un braccio, lo condusse attraverso il corridoio.

“Vediamo un po’ chi è che ha sbagliato stanza.”

Stine era ancora addormentato. Ancora per poco. Venne bruscamente svegliato da uno spintone.

Indignato, era pronto a farla pagare a chiunque avesse osato. Ma non ne ebbe il tempo.

“Ehi! Cos’è che ti credi di fare nella cabina di questo ragazzo?” urlò il Comandante, indicando Ad. “Non avere paura, figliolo. Probabilmente ha solo alzato un po’ troppo il gomito e si è confuso. Non è vero, compare?”

“L’ho chiusa a chiave, prima di uscire. Me lo ricordo perfettamente,” disse, innocente, quell’esotica bellezza.

Stine si sedette sul letto e, con tutta la nonchalance del Mondo, si accese una sigaretta. Stor lo guardava, scioccato.

“La mia è una cabina per Non-Fumatori,” sussurrò Ad.

“Spegni quella cazzo di sigaretta, Padrone, e torna nella tua cabina. Adesso!”

Stine si alzò.

“Questo è il mio Schiavo. Tu, che cazzo è che vuoi? Chi sei?”

“Sono il Capitano di questa nave. E questo passeggero è sotto la mia protezione!”

Stor non poteva credere alle sue orecchie.

“Faccio questo lavoro da quarant’anni e mai, e dico mai, uno Schiavo è venuto a bussare -nel cuore della notte- per chiedermi di sbattere fuori a calci il loro Padrone! Vai via, adesso, o dovrò arrestarti e lasciarti al prossimo porto!” esclamò, volutamente calcando il tu.

“Come ti permetti! Io sono Stine Darmush!”

“Lo so chi sei, Padrone. E ti rispetto molto. Ma questo passeggero è sotto la mia protezione. E ho tutte le ragioni per credergli. Quindi, ascoltami. Hai una gioielleria di successo. Tutti gli Schiavi, incluso il qui presente, indossano qualcosa creato da te. Immagina che scandalo, se venisse fuori che ti rimorchi gli Schiavi degli altri? Pensa a tutti i problemi che avresti con, che ne so, Padron Son!”

Stor, mentre parlava, si accorse che Stine stava cercando di afferrare il ragazzo. Sospirò, ma sorrise. Per legge, non poteva espellere nessun Padrone. Aveva cercato di spaventarlo, ma un uomo con la mente annebbiata dalla lussuria è un osso duro da spezzare. “Oppure con Elm!”

Stor sorrise tutto il tempo, come per far capire al Padrone che lui lo capiva. Come resistere a tale bellezza! Ma le regole, il galateo, i cazzi e i mazzi, blah blah blah.

“Non posso certo ignorare le conseguenze, soprattutto da parte di tali cittadini.”

“Ma questo Schiavo è mio,” continuava a ridacchiare Stine.

“No, non lo è!” Il Capitano stava iniziando a perdere la pazienza. Inoltre, il ragazzo alla porta era palesemente annoiato. “Se lo fosse davvero, parlerebbe così? Davanti a te? Se l’hai comprato, dimmi dove. E perché non è nella tua cabina. Non farmi sollevare un polverone! Non costringermi a contattare le autorità di Firokami e denunciare uno dei suoi beniamini! Penso che non ci vorrà molto, al vero Padrone, per dimostrare che non hai alcun diritto sulla sua carne.”

Stine era duro come roccia. Lui lo sapeva, Stor lo sapeva, i muri lo sapevano. L'oggetto del suo desiderio era lì, in piedi sulla porta, aspettando che i due uomini si mettessero d’accordo e lo lasciassero rientrare nella sua cabina. A entrambi, per un secondo, passò per la mente che avrebbero potuto divertirsi -insieme- con quella puttanella. Ma a che prezzo? Sarebbero morti, dopo atroci sofferenze, nel giro di pochi giorni. Nessun orgasmo ne sarebbe valsa la pena. Quindi, uscirono nel corridoio.

Finalmente, Ad era tornato Padrone della sua cabina!

“Grazie, mio Capitano, grazie mille! Troverò il modo di ringraziarla! Non esiti a chiedermi qualsiasi cosa!” promise il giovane, prima di chiudersi dentro.

Stine e Stor rimasero in piedi, lì, davanti alla porta per qualche secondo. Stor non aveva smesso di sorridere un solo istante. Stine se avesse potuto dare fuoco alla porta con la forza dello sguardo l’avrebbe fatto. Poi, d’improvviso, la porta si riaprì. Veloce, un accendino volò dalla fessura e cadde a terra. Stine lo lasciò lì.

“Raccogli la tua spazzatura,” gli disse il Capitano.

“Lasciami i coglioni in pace!” rispose quello, prima di andarsene. “Ti ho rivolto la parola per sbaglio e mi hai fatto scendere la besciamella alle ginocchia!”

Stor raccolse l'accendino, si avvicinò a un cestino e ce lo gettò dentro. Si girò e si diresse verso la sua, di cabina. Per tutto il resto della nottata, non fece altro che ricordare quelle bellissime labbra che mormoravano, “Ho tanta, tanta paura! Non sapevo a chi altri rivolgermi! Vi prego”.

Si addormentò, solo dopo essersi toccato a dovere.

Solo Per Uno Schiavo

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