Читать книгу Solo Per Uno Schiavo - Svyatoslav Albireo - Страница 6
CAPITOLO CINQUE
ОглавлениеAl si alzava, ogni giorno, molto presto. Cercava di andare in bagno durante la notte, mentre la sua Padrona dormiva. Non sempre, però, ciò era possibile. Aveva bisogno di un permesso speciale, anche per fare pipì. Ma non doveva assolutamente svegliarla, per chiederglielo. In linea di massima, era meglio non far sapere ad Aletta che lui, in bagno, ci andava. Perché, a quel punto, lei avrebbe voluto sapere perché lui -in bagno- ci stava andando. E cosa ci andava a fare e come lo faceva. La prospettiva di morire di blocco intestinale era molto più allettante di quel ridicolo terzo grado.
Quella mattina, Al era stato più discreto del solito. Dopo l’incidente col bellissimo Efebo era cruciale non attirare l’attenzione. Non più del solito, almeno. Quindi, aveva già obbedito a mezza dozzina di richieste assurde. Era lì che svolgeva il suo allenamento -Aletta lo voleva sempre pompato e senza un filo di grasso- quando uno degli Schiavi di Melinda piombò nella suite. La notte prima, Amir era stato trovato sul Ponte Principale. Svenuto, insanguinato, derubato. Le guardie erano già all’opera.
“Devo andare! Tu finisci i tuoi esercizi! Se scopro che non hai combinato nulla, ti aumento il carico!” minacciò la donna, prima di correre fuori dalla stanza.
E Al obbedì. Non che avesse chissà che altro da fare. Sicuramente Aletta sarebbe rientrata subito.
Ma Aletta non rientrò. La Bestia, quindi, decise di sfidare la sorte. Prese un libro e iniziò a leggere. Poteva farlo solo in quei rari momenti in cui ci si dimenticava di lui.
Lui adorava leggere. Avrebbe voluto farlo sempre. Aveva una grande immaginazione, ma era riuscito a finire pochissimi libri. Spesso era stato interrotto, proprio sul più bello. E quel libro, lui, non l’aveva mai più visto.
Oltre trent’anni di Schiavitù l’avevano svuotato. Era vivo, ma era morto dentro. Non aveva una vera e propria opinione emotiva. Nessuno gli chiedeva un parere. E quando succedeva, la sua risposta doveva corrispondere al volere dei Padroni. Un perfetto Animale domestico, creato per soddisfare ogni tipo di desiderio. Quelli di tutti, tranne il suo. Non si poteva dire nulla sul suo carattere. Semplicemente, non ne possedeva uno. Non aveva bisogni particolari che richiedessero soddisfazione. Non c'era nulla che Aletta potesse fare per dargli un po’ di gioia. Non che lei l’avrebbe fatto, sia ben chiaro. Dopotutto, era dovere di Al portare gioia ai Padroni. Non viceversa.
A ogni modo, il libro del giorno si intitolava, ‘Più Forte Della Morte’. L’autore, Albireo, era famoso per le tematiche e le storie a sfondo omosessuale.
O, forse, quel genere era quello più popolare a Firokami.
La trama era molto semplice. Il figlio di un ricco uomo d’affari di Frican torna a casa dall’Università e si innamora di uno Schiavo zombie.
A metà lettura, intrigato e confuso, Al sbirciò la fine. E fu ancora più confuso. Una conversazione tra due personaggi di cui, ancora, non aveva letto nulla. L’Amore è sempre più forte. Sia della Vita, sia della Morte. Fine. L’Albireo era famoso anche perché, nelle sue opere, il lieto fine era una costante. Anche se quei personaggi erano, apparentemente, morti. L’importante è stare assieme a chi si ama. Così pensava Al, anche se lui non avrebbe mai avuto un lieto fine del genere. Ritornò, comunque, a leggere dove aveva interrotto.
Arrivò esattamente fino al momento in cui il padre -disperato- decide di non interferire con la storia tra suo figlio e lo Schiavo, in modo da fargli capire da solo che razza di errore sia mischiarsi coi morti. E proprio in quel momento, Aletta entrò nella stanza. La Bestia era seduta, a gambe incrociate, sul pavimento. Aletta lo guardò e sorrise. Brutto segno. Lo Schiavo, però. Non si scompose. Chiuse il libro e lo rimise a posto. Aletta si sedette, mentre poggiava una borsa sul tavolo.
“Che follia! Dove andremo a finire! Aggredire un Padrone! Sarà sicuramente uno Schiavo che non è stato educato a dovere. Posso solo immaginare cosa gli faranno, quando lo troveranno. Tu cosa pensi che dovremmo fare, a Schiavi del genere?” chiese Aletta.
“Punirli, Padrona,” rispose Al.
“Certo,” annuì la donna. Poi, indicò la borsa. “Ti ho portato la colazione. Mangia.”
Al si alzò, raccolse la busta e si rimise sul pavimento. Zuppa, un po’ di carne, del succo di frutta. Si trattava palesemente di avanzi. Non era certo la prima volta. Ma il pensiero che il giorno prima si fosse scopato un Angelo del Paradiso e quella mattina una donna sul viale del tramonto, gli faceva specie. Non aveva proprio fame, ma non poteva disobbedire a un ordine. Poi, lo avrebbero lasciato senza cibo per giorni. Quindi, infilò una mano nel sacchetto e prese la prima cosa che gli capitò. Lo Schiavo aspettava pazientemente la vecchiaia. A quel punto, avrebbe smesso di essere interessante per i Padroni. Nessuno avrebbe speso tempo e denaro per un restauro. Avrebbe dovuto aspettare una decina d’anni, non di più. Non vedeva l’ora di essere vecchio e brutto. La sua Padrona adorava la carne fresca. Perdeva tempo con lui solo ed esclusivamente perché la sua bellezza era fuori dal comune. Ma alla prima ruga gli avrebbe dato un calcio in culo ben assestato. E non ci sarebbe stato nulla tra lui e il Mare. Ma, in quel preciso istante, Aletta era lì che gli toccava le natiche con la punta delle sue scarpe tacco dodici.
“Mettiti a quattro zampe, per mangiare.”
Lo Schiavo obbedì. E la punta di quel tacco dodici gli penetrò lo sfintere.
“No, sdraiati e mangia,” ordinò, di nuovo, Aletta. Lo Schiavo obbedì un’altra volta, sperando fosse l’ultima. Ma Aletta infilò il tacco fino al calcagno. Quel sottile pezzo di metallo riaprì abrasioni vecchie, mentre ne apriva di nuove. E Al urlò.
“Vi prego, Padrona! Fa male!” implorò, irrigidendosi.
La donna, per tutta risposta, rise e iniziò a fare avantindietro.
“Certo che fa male. Deve fare male! Mica mi diverto, sennò!”
La sofferenza della Bestia era quasi commovente. Sarebbe stata capace di scioglierle il cuore, se ne avesse avuto uno.
Al ruggì di dolore, stringendosi la testa fra le mani. Come avrebbe voluto essere uno Schiavo Zombie in un lontano Paese dimenticato.
“Hai due scelte. Disabituare il tuo intestino a lavorare come si deve oppure diventare un Cuore per i Padroni. Non ringraziare me. È stata un’idea di Gene!”
“Non so cosa significhi, Signora. Potreste spiegarmelo, per favore?”
Aletta si appoggiò allo Schiavo, sorridendo.
“Ti faremo un clistere, dopo ogni pasto. Tempo un mese, il tuo intestino non vorrà più essere tale. Perché non ci riuscirà,” disse, raggiante, mentre sfilava -finalmente- il tacco dal culo di Al. Solo per calpestargli i testicoli, subito dopo.
La Bestia non aveva pace.
“E il Cuore sarà proprio qui, tra le tue palle. Che non ti verranno tagliate solo perché Gene è più che contrario. Chissà poi perché.”
“Ma mia Signora. Volete rinunciare a me per darmi ad altri Padroni?” chiese lo Schiavo.
“Macché! Il tuo destino è quello di morire sotto la mia proprietà, fattene una ragione,” disse. Poi, rise. “Chi mai rinuncerebbe a te?”
“Ma Signora. Perché mi fate scegliere, tra intestino e Cuore? Voi avrete sicuramente già deciso.”
“Embè? Voglio che tu scelga lo stesso!” rispose la donna, senza mai smettere né di ridere né di schiacciare i testicoli -ormai martoriati- di Al.
Al era certo che, qualsiasi cosa scegliesse, Aletta l’avrebbe obbligato a fare il contrario. Cosa scegliere, quindi, tra la padella e la brace?
“Distruggete il mio intestino, Signora. Il mio culo diventerà il luogo più pulito dell’universo, per i miei Padroni,” disse, infine, Al. La sua cautela era quasi visibile, mentre pronunciava quelle parole.
“Bene. Mangia,” ordinò la donna, tornando a sedersi e osservandolo.
Lo Schiavo ripensò alle parole che aveva sentito migliaia di volte, quando si trovava ancora a Dora. Morirai qui. E invece era stato comprato da Aletta. Anche lei, talvolta, lo diceva. Ma la Bestia sperava davvero si sbagliasse. Dopotutto, le capitava -molto spesso- di parlare a vanvera. Quindi, continuò a trangugiare la sua colazione. La donna sorrise tutto il tempo. Quando finì, Al scoprì il motivo del suo buonumore. Un vibratore.
Ecco cosa nascondeva.
Quell’arnese era enorme. Ci aveva già a provato, ma non si adattava affatto alla Bestia. L’ultima volta lo aveva perfino tagliato. Al rabbrividì, quando la sua Padrona lo accarezzò con quel glande di gomma. Si fermò proprio sull’entrata. E lo Schiavo rabbrividì.
“Lo riconosci? Siete vecchi amici, mi pare.”
“Vi prego, mia Signora! Perché volete punirmi?” implorò lo Schiavo. E sembrava crederci.
“Ma non è una punizione!” esclamò Aletta, con lo stupore più fasullo che potesse tirare fuori. “Si tratta di una ricompensa! Sborrerai fino all’ora di cena! Non sei contento?”
Il concetto di Premio periodicamente veniva abbinato a quello di Punizione. Senza nessuna logica, ovviamente. I Padroni agivano così perché così era, punto. Un gruppo di bambini troppo cresciuti a cui piace impiccare lucertole e gattini, giusto per. Non provavano nemmeno a nasconderla, la loro natura. Capitava che il bullismo fosse talmente estremo che perfino uno Schiavo navigato come Al se ne lamentasse. Aletta lo sapeva e lo puniva di conseguenza. Sperava, in tal modo, di scacciare la Bestia.
“Vi prego! La mia ricompensa più grande è quella di ammirarvi e stare con Voi! Non perdete tempo a ricompensarmi!” esclamò Al. Ma, in realtà, quel cambio nella routine lo interessava.
Poi, voleva riprovarci. Chissà che quella volta sarebbe stato in grado di ingoiarlo tutto.
Aletta rise. Era riuscita a spaventare un Dio Pagano. Poverella. Mica l’aveva capito che fingeva!
“Alza quel culetto, da bravo,” cantilenò la Signora.
E Al obbedì. Come sempre, i Padroni si rivelavano creature stupide. La donna tirò fuori una lama e incise lo sfintere del poveretto. Era passato del tempo, troppo tempo. E se si fosse abituato e non si fosse tagliato? Meglio prevenire. Dopo, spalmò la verga di lubricante. Quando -poi- iniziò a preparare il passaggio, Al cominciò a masturbarsi. Un disperato tentativo di alleviare il dolore. Ma la Padrona non era affatto d’accordo e gli strizzò le palle.
“Se ti contorci, io -queste- te le strappo.”
Lo Schiavo si bloccò. Allontanò le mani dal suo scroto e se le portò al volto. Quando la punta venne, lentamente, introdotta, urlò. Il dolore fu come lava rovente nel suo intestino. Bene.
“Perché mai devi fare sempre queste sceneggiate ogni volta che ti infilo qualcosa in culo? Non stai mica morendo!”
Al tremava, coperto di sudore freddo. Il dolore era acuto, fisso e pulsante. Calde lacrime gli rigarono il viso. Finalmente, qualcosa di nuovo! La donna aveva infilato quel coso tutto fino alla fine, dove lo bloccò con un plug. Poi, gli toccò il cazzo. Stranamente, era ancora duro.
“Ma che bravo! Guarda, non ti metto nemmeno l’anello!” disse, aprendo il portatile.
Al non si mosse. Cercò di rilassarsi, ma il dolore non accennava a diminuire. Anzi, il buco si strinse. Di conseguenza, divenne ancora più doloroso. Lo Schiavo strinse i pugni, tirandosi i capelli. Tremava tutto. Poi, vennero i singhiozzi. Dopo, si pisciò addosso. Non si era mai sentito così vivo.
Aletta sorrise. Tutto il tempo.
“Padrona, mia Padrona! Vi prego, basta,” pianse la Bestia, sperando di non essere ascoltato.
“Ma che dici? La cena è ancora lontana! Goditelo!” rispose la vipera. “A meno che non ci sia qualcos’altro che catturi la mia attenzione. Sono tutti al capezzale di Amir, adesso. Io sto cercando quel nuovo bocconcino su Internet. Così verrà a giocare con noi!”
D’improvviso, il lampo di genio. E se-?
“Potrei punire qualcuno per Voi, Signora,” propose Al. E si sentì una merda, quando lo fece. Ma quel dolore non lo stava facendo ragionare. E quell’Efebo era troppo conturbante, per lasciarselo sfuggire.
Aletta si voltò, di scatto, il volto illuminato dalla gioia. Uno spettacolo orribile.
“Bello! Punirai il ragazzino in pubblico! Non ti limiterai a scopartelo a sangue, oh no, lo punirai come si deve! Voglio che lo umili nell’intimo! Ma sappi una cosa,” aggiunse, poi, maligna. “Se non ti impegnerai, se non farai del tuo meglio, se non mi piace come ti comporti, se dovesse dispiacerti per lui, povero te! Quello che stai subendo ora, ti sembrerà il Paradiso.”
Dopo di che, gli si avvicinò. Poi, tirò fuori il vibratore. Piano piano. Al si pisciò, di nuovo, addosso.
“Ora vai in bagno e pulisciti. Puoi riposare, almeno due orette. Tanto, quello lì, non si farà vedere prima di pranzo.”