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La geografia di Sarkoth è unica nei Sette Principati. L’isola gode di un clima perfetto, ben diverso dal calore umido di Kur o dal freddo glaciale di Nirvûn. Tuttavia, il suo terreno accidentato impedisce la coltivazione e l’allevamento intensivo. Il Principato basa quindi il suo sviluppo sugli scambi commerciali, approfittando della sua posizione strategica. Non senza disuguaglianze nella popolazione.

L’Enciclopedia dei Sette Principati

Una volta terminate le loro compere nella piccola cittadina che si rivelò essere effettivamente Ciottolo nero, e che non aveva niente di originale a parte i suoi edifici fatti di strani ammassi di piccoli ciottoli grigio scuro, Naëli e Joan si rimisero in viaggio raddoppiando la loro prudenza.

Affrontarono gli altipiani monotoni come la pianura che avevano attraversato al mattino, senza incontrare anima viva. Qualche cespuglio secco cresceva qua e là, abbandonato in mezzo alla landa rocciosa velata di rosa. L’itinerario della corsa seguiva un fiume ondeggiante che derivava sicuramente il suo nome dai colori irreali che ci si riflettevano: il Turchese. “Uno dei più bei torrenti del paese!”, aveva assicurato loro il venditore dal quale avevano comprato un delizioso filetto di salmone alla griglia. Joan gli aveva risposto che non era lì per ammirare la bellezza, e gli aveva chiesto quali pericoli si nascondessero nel seguito del percorso. L’uomo li aveva messi in guardia dalle montagne crudeli della catena dell’Arco, ma aveva finito raccomandandosi di fare attenzione alla foresta del Sole, senza precisare il perché.

I due giovani erano quindi in strada da due ore buone verso il misterioso bosco con preoccupazione. Era sicuramente pieno di insidie, e sarebbero dovuti restare attenti.

Arrivarono al suo limitare sotto la luce tramontante del giorno, e sembrava il luogo dei bagliori scintillanti. L’inizio dell’autunno non toglieva niente alla bellezza dello spettacolo: alle tinte ancora verdi dell’estate si mescolavano i toni arancioni e rossastri della stagione appena iniziata, su un fondo pittoresco tappezzato di foglie gialle.

Sembrava lo schizzo di un dipinto passionale. Erano stati messi in guardia contro la bellezza del paesaggio? Il pensiero divertì Naëli che ne approfittò al massimo. Le chiazze di luce si dividevano sul terreno, riflettendo il sole come in un incantesimo. Il Lupo di mare passò sotto le fronde degli alberi e si addentrò nella foresta su una larga pista delimitata da ciottoli rotondi.

L’atmosfera selvatica era rafforzata dagli odori campestri che circondavano i ragazzi, e dal silenzio interrotto da pigolii di uccelli appena usciti dal nido. Naëli si ritrovò a sognare ad occhi aperti, persa nei ricordi.

Aveva sempre amato le foreste, a cominciare dal piccolo bosco che cresceva sul terreno vicino a casa sua, a Sarmajor. Nella sua infanzia, adorava passeggiarci con sua madre, che non mancava mai di insegnarle a rispettare gli alberi, le pietre e gli animali. Ogni cosa faceva parte di un tutto, secondo lei, e disturbare il loro ritmo minacciava l’equilibrio del mondo.

Non c’era una vera e propria religione nei Sette Principati. Nel passato, si era sviluppato un credo basato sull’ascolto della natura e dei suoi bisogni, e aveva conquistato numerosi aderenti. Aveva dato inizio a diversi culti legati agli elementi che si disputavano la supremazia mistica, ma l’industrializzazione li aveva spazzati via come pagliuzze.

Alla fine, era quello che Naëli aveva imparato dalle lezioni di sua madre. Era stata educata al rispetto di queste tradizioni puritane, che non piacevano in realtà più di tanto a suo padre. Oggi, nonostante la tragica scomparsa di sua madre, Naëli era fiera di aver conservato questa sensibilità per gli esseri viventi e le cose della vita in un contesto di noncuranza sempre più grande nei loro confronti.

La moto fece una sbandata a destra, riportando bruscamente la ragazza alla realtà.

-Joan! Che succede?

Il ragazzo scosse la testa vigorosamente.

-Scusami. Mi sono lasciato distrarre da… da niente.

Piombò in un silenzio profondo. Se Joan stava sperimentando i suoi stessi pensieri, era inquietante. Propose timidamente:

-Dovremmo fare una pausa magari. Sarebbe più prudente.

Era sicura che lui avrebbe rifiutato. Invece, rallentò il Lupo di mare e si fermò. Scesero dalla moto che lui stese sul fianco in mezzo all’erba alta prima di dire:

-Piccola pausa, allora. Cinque minuti e ripartiamo. Vado…ehm…in bagno.

Si allontanò nel bosco per soddisfare i suoi bisogni. Naëli pensò che avrebbe fatto bene a fare lo stesso, dato che avevano ancora una lunga strada da percorrere.

Cercò un piccolo cespuglio dove nascondersi e abbassò la parte bassa del suo abito.

Come si stava bene, lì. Ci sarebbe rimasta per sempre da quanto era piacevole.

Ma bisognava ripartire. Si alzò e rifece il cammino al contrario.

La moto era scomparsa.

Nessuna traccia del suo passaggio nella boscaglia.

Naëli aggrottò le sopracciglia, sbalordita.

-Joan? Chiamò, preoccupata. Joan, dove sei?

Nessuna risposta.

Si mise a correre in tutte le direzioni chiamandolo a perdifiato, vinta piano piano dal panico. I cespugli diventavano più densi, e la luce del sole tramontava. Si perse completamente e finì per rendersi conto che sarebbe stata incapace di ritrovare il suo cammino.

Il suo cammino verso dove, dopotutto?

Era come se tutto fosse svanito, come se avesse cambiato epoca in mezzo a queste fitte radure. E Joan era sempre invisibile. Si rimise a correre, il fiato corto. La sua tunica s’impigliò nei rami e si strappò mentre i rovi colpivano la sua carne e laceravano la sua pelle.

Mentre scavalcava dei cespugli che aveva l’impressione di vedere per la quarta volta, il terreno si spalancò sotto i suoi piedi.

Si sentì cadere.

E poi niente.

***

Riprese conoscenza un po’ stordita in una caverna scura scavata nella roccia. Tastò il suo volto alla ricerca di contusioni, ma la sua caduta era miracolosamente avvenuta senza danni. Constatato che la sua salute non era oggetto di preoccupazioni, si mise ad osservare i dintorni.

Il primo riflesso da avere scoprendo un posto sconosciuto: ripararsi.

Mentre i suoi occhi si abituavano all’oscurità, distinse una debole luce sopra la sua testa. Era probabilmente caduta attraverso un piccolo tunnel fino a quel sottosuolo. Tentò di arrampicarsi aggrappandosi alle pareti, ma queste erano bagnate da qualche sorgente sotterranea e la facevano scivolare come se fossero ricoperte d’olio.

Rinunciò con un’imprecazione, poi si mise a tastare la roccia alla ricerca di un’altra uscita. Per fortuna, trovò rapidamente un’apertura, e ci si infilò.

Avanzò per qualche metro, poi intravide una sorgente di luce blu davanti a lei. A tentoni lungo le pareti, si diresse istintivamente verso la luce e finì per sfociare in una grande grotta.

Uscì dal tunnel gemendo, poi si tolse la polvere dagli abiti con cura. Prima di alzare la testa, e di aggrottare le sopracciglia con stupore.

Non era tanto in una grotta quanto… in un posto vissuto. Con sua grande sorpresa, il posto sembrava abitato.

Un muro di ghiaccio occupava tutto il fianco della sala. Era da là che proveniva il bagliore. Il resto era abbastanza semplice, sprovvisto di qualsiasi mobilio o decorazione, ma tenuto troppo bene per essere selvaggio. E poi, certi elementi, come dei manoscritti sparsi, o dei resti di alimenti allineati con pazienza, testimoniavano la presenza di un oste misterioso.

Doveva essere un rifugio di passaggio.

Un sorriso si dipinse sul volto di Naëli.

Il posto doveva per forza avere una via di accesso.

Stranamente, si sentiva calma, lì. La sua paura se ne era andata. In quel luogo regnava una pace straordinaria, come se si trovasse nel cuore della foresta. Studiò le pareti, le accarezzò con la punta delle dita, e riempì i suoi polmoni di aria fresca. Quel posto era un’oasi di pace.

Ma la cosa più accattivante era il ghiaccio che occupava il fondo della sala. Avvicinandosi, Naëli scoprì sulla sua superficie un insieme di caratteri delicatamente scolpiti nel ghiaccio.

“Non c’è niente di più delicato né di più fragile. Ma niente è così distruttivo. Allo stesso tempo multiplo e singolo, visibile e invisibile, ci serve per vivere”

L’ intuito suggerì a Naëli che era questo l’enigma per entrare nel rifugio, che doveva essere riservato agli iniziati.

Immaginò di usare i suoi poteri sull’ostacolo, ma l’acqua in forma solida le aveva sempre resistito, richiedendole una concentrazione fenomenale per un risultato mediocre.

Come se la natura solida rendesse l’esercizio più difficile, e pretendesse una padronanza migliore del suo potere.

Si pizzicò le labbra realizzando che risolvere l’enigma era l’unico modo per uscire da lì.

Si mise a riflettere.

Cos’è allo stesso tempo debole, forte, unico, multiplo, visibile ed invisibile? Era un farfugliamento che non aveva né capo né coda.

-Come si può essere visibili ed invisibili allo stesso tempo? Si chiese a voce alta.

Debole e forte.

Multiplo e singolo.

Visibile e invisibile.

Qual era l’ultima frase?

“Ci serve per vivere”.

Che cosa era indispensabile per vivere?

Dormire.

Mangiare.

E bere.

Il suo viso si illuminò. Ma certo! Era l’acqua! Debole e flessibile in piccole quantità, ma spaventosa quando si accumulava, invisibile sotto forma di gas, unica perché la si chiamava “l’acqua”, ma allo stesso tempo composta da miliardi di piccole gocce, milioni di molecole! Come era possibile che lei, che aveva una simile affinità con questo elemento, non l’avesse indovinato prima?

Fece ricorso ai suoi poteri per captare l’umidità del luogo e concentrò quest’ultima per spezzare il muro. L’ostacolo si sciolse senza rumore, lasciando apparire un nuovo tunnel. A parte che questa volta, non si trattava di una galleria di pietra e terra.

Era una galleria di ghiaccio. Un tunnel affascinante che si stendeva qualche metro sotto la superficie di quello che poteva essere un piccolo lago.

Naëli ci si addentrò, affascinata.

In mezzo alla galleria c’era una roccia umida, sulla quale era posato un piccolo libro. Naëli se ne impossessò, intrigata, e percorse in diagonale il suo contenuto. Il titolo era sorprendente: Sull’origine del potere e sui Maestri dell’Acqua. Era un’ opera storica che descriveva in qualche pagina la storia dei Sette Principati.

Aggrottò le sopracciglia, poi scosse la testa.

Lassù, Joan la aspettava. Il tempo era contato, avevano già accumulato troppo ritardo.

Aveva di meglio da fare che consultare un vecchio manoscritto.

Mise l’oggetto in tasca, poi sgattaiolò verso l’altra parte del tunnel, che sfociava sulla riva del lago.

Era libera.

Ritrovò rapidamente le proprie tracce.

Qualche secondo più tardi, trovava il Lupo di mare nel mezzo della boscaglia. In quel preciso momento, Joan uscì come un pazzo dai cespugli.

-Finalmente! Sbottò. Sono delle ore che giro in tondo, questa foresta diabolica mi rende pazzo!

Naëli sogghignò, imbarazzata, e scelse di nascondere una parte della sua recente avventura. Il suo amico non era dell’umore giusto per parlare di rifugi di terra e gallerie di ghiaccio. E sentiva di avere vissuto un’esperienza intima, riservata solo a lei.

-Anche io, rispose semplicemente. In marcia, abbiamo perso abbastanza tempo.

Joan assentì e raddrizzò il Lupo di mare, prima di sedersi per ripartire, maledicendo colui che aveva inventato le foreste con dei nomi che Naëli non avrebbe osato ripetere.

***

Qualche tempo dopo, emergevano dalla foresta con sollievo. Joan si girò per controllare il limitare del bosco per un breve istante, respirò profondamente, poi rilanciò i motori con forza rendendosi conto del vantaggio che avevano perso.

-La fine della tappa non è più molto lontana, ormai, disse Naëli con una voce che voleva essere rassicurante.

Sapeva che lui era frustrato per essersi fatto catturare dalla trappola nella foresta del Sole. Era un grande classico dei tranelli sull’itinerario della Coppa! Anche lei non ne era molto fiera, anche se la misteriosa esperienza l’aveva incantata. Non poteva impedirsi di riflettere su ciò che aveva visto.

Il riparo che aveva visitato era stato costruito da un potere simile al suo. E se non ci fosse finita per caso?

Si ripromise di gettare un colpo d’occhio al libro che aveva recuperato quella sera stessa.

Davanti a lei, Joan borbottò e seguì il corso del Turchese fino a ritrovare la pista.

Non avevano alcuna idea della loro posizione in classifica, così come del risultato dei loro compagni di squadra. Fu quindi con apprensione che superarono la linea che rappresentava la fine della tappa meno di un miglio dopo.

Arrivarono ad un piccolo accampamento costruito in fretta e furia ai piedi della catena dell’Arco, nel cuore delle pendici rocciose che segnavano l’inizio dell’ascensione, nel quale tende e spazi di riposo erano stati messi a disposizione dei concorrenti. Un lusso inusuale secondo Joan, certamente per proteggerli in quei primi giorni di corsa. Anche se “proteggere” non sembrava veramente la parola adatta per quello che avevano vissuto oggi. Naëli l’avrebbe piuttosto considerata una ricompensa per la tappa del giorno.

Scrutò il campo da cima a fondo, alla ricerca dell’Oncia di ebano. Nessuna traccia del veicolo. D’altronde, mancava un buon contingente di partecipanti, ne contava una trentina al massimo. Appena un quarto.

-Non siamo messi così male, vedi, disse a Joan, Vien da pensare che non siamo stati solo noi ad essere stati intrappolati nella foresta.

Il viso del suo amico tremava di una tensione contenuta. Si fermò davanti ad un posto ornato da un grande ventisette tracciato sulla sabbia, posteggiò il Lupo di mare e collassò a terra, stremato.

-Non gridare vittoria troppo presto. Gli altri non sono ancora arrivati. E poi, non è così brillante.

Naëli sapeva che le tappe terrestri erano di vitale importanza per Joan, perché erano l’occasione di dimostrare la sua abilità al volante. Era per questo che giustificava la sua posizione nel gruppo. Non si sarebbe mai considerato soddisfatto finché non fosse arrivato primo…

-Ma grazie a te, aggiunse. Non saremmo mai arrivati ad un simile risultato senza di te.

Naëli apprezzò il complimento con umiltà e guardò Joan con uno sguardo affettuoso. Era di una bellezza mozzafiato nonostante i suoi tratti dolci, le sue guance delicate che sormontavano una mandibola ostinata corredata da un naso fine e da due pupille marroni dai riflessi dorati, nelle quali lei leggeva sempre la sfilata di emozioni come se fossero un libro aperto. Joan era glabro e non era muscoloso, ma le sue spalle si allargavano con l’età ed i suoi capelli castani tagliati corti gli conferivano una certa autorità, come se il suo corpo tentasse di eliminare i residui dell’infanzia che ci si aggrappavano.

Si stese di fianco a lui e sospirò, lo sguardo perso nell’infinito dei cieli illuminati. La pressione accumulata nel corso della giornata se ne andò di colpo, liberandola da un grande peso. Si dimenticò addirittura del libro schiacciato contro il suo petto.

Sapeva che questa avventura l’avrebbe fatta crescere.

La Figlia Dell’Acqua

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