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CAPITOLO V

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Et veritablement je ne sache rien de plus hideux a voir pour quelqu'un de sang froid que... et ce visage enflammé de la plus brutale concupiscense: mais si nous sommes ainsi près des femmes il faut qu'elles aient les yeux bien fascinés pour ne nous prendre en horreur.

Les Confessions. — Rousseau.

La sera dello stesso giorno Giorgio, Mimy e l'avvocato si trovarono assieme nel salottino, per chiacchierare dopo cena, ma non parlavano che a monosillabi. I due uomini erano pensierosi, nei movimenti quasi irrequieti.

Carlo si alzò come chi prenda una risoluzione.

— Te ne vai? gli chiese Giorgio con uno sguardo.

— Ho una causa che mi preme: poi sono stanco. Tu resti con Mimy.

— Buona notte, ella ripetè senza levare il capo dal ricamo.

Rimasero soli: egli sdraiato sulla poltrona fumando lo sigaro; ella china sopra un fazzoletto ricamando.

La luna, che illuminava lenemente la camera, si nascose dietro una nuvola; e Giorgio rimase nell'ombra, mentre sul volto di Mimy la luce della fiamma a petrolio velata da un cappello di rose tremava lievemente. Era ancora più pallida, quindi più bella del consueto, coll'abito bianco e sui capelli l'amorino appassito della marchesa; solamente la pettinatura cominciava a scomporsi per l'indocilità dei ricci, alcuni dei quali le coprivano le orecchie e avanzandosi sulla fronte unita e liscia le cadevano sulla radice del naso come il fiocco di un cavallo.

— Mimy...

Ella lo guardò interrogando.

— Non dici nulla? penserai forse: anch'io penso a te in questo punto.

Ella si strinse famigliarmente nelle spalle ripiegandosi sul ricamo.

— Sai che cosa mi figuravo? Che questa tua placidezza copre molta rassegnazione e il tuo pallore molta malinconia.

— A proposito di che tutto questo?

— Di tutto e di nulla: un'idea che mi ha traversato la mente e, se non fossi con te, aggiungerei, che mi ha fatto battere il cuore. Mimy, mi fai un piacere?

— Sentiamo.

— Fai o non fai?

— Cugino, peggiori tutti i giorni: sei stravagante, diventerai pazzo, rispose con un sorriso di carezzevole compiacenza.

— Forse per colpa tua. Levati e va alla finestra.

— E poi?

— Niente altro.

Ella comprese, e levandosi con mollezza andò lentamente ad appoggiarsi sul davanzale.

— Sei bella così! esclamò Giorgio, che l'aveva seguita con un gesto di ammirazione.

Ella non rispose.

Col capo chino sulla spalla stava addossata a uno sportello in una attitudine di fantasticaggine: l'abito, le treccie, la finestra, la luna che omai riappariva, l'oblio forse in un pensiero d'amore, nulla mancava per comporre una romanza; se Giorgio non fosse stato poeta nell'animo, forse ne avrebbe provato il solletico. Invece le si venne al fianco, posando i gomiti sul davanzale e voltandole il viso nel viso. Ella non se ne commosse; la luna scaturì con poetica compiacenza dalla sua nuvola come un brindisi alla fine del banchetto e li avvolse nel suo sguardo luminoso.

— «Povera Emilia, l'idolo dilegua e il cavalier,» mormorò fra i denti.

— Che cosa canti?

— Niente: un notturno che canto spesso; è molto malinconico.

— Come la tua vita.

— Chi te lo ha detto?

— Forse è necessario che ci si dicano certe cose? Il fiore del loto, dice un gran poeta, non può sopportare il raggio del sole e amoreggia la luna. Credi che sia felice quest'amore? Luce e calore, amore e voluttà: ecco l'atmosfera della vita. Sai, Mimy, come passi pel mondo? Pallido fantasma traversi la terra come in processione accanto al marito trovata per via, coperta di un gran velo nero: la tua gioventù è una salmodia monotona, la tua bellezza una statua nel fondo di uno studio, che pochi conoscono e nessuno ha sentita ancora, tuo marito pel primo.

— Ebbene? chiese punto meravigliata di quelle comparazioni e quasi approvandole.

— Ebbene: non so quello che mi dica; ma pensando di te, e mi accade spesso, provo un senso di pena. Mi pare che tu debba aver bisogno di uno che animandoti col suo spirito ti cangi la processione in una scorreria fantastica di un mattino di primavera, e dalla monotona salmodìa tragga una musica come il terzo atto del Faust.

Mimy appoggiò la testa allo sportello e rimase pensierosa.

Era una notte stupenda. In fondo al cielo sereno oscillavano nuvole turchine che la luna salendo imbiancava della propria luce; un immobile splendore dormiva sui campi lontani, mentre qualche raggio penetrando tra gli alberi del bosco sembrava volervisi nascondere; ogni cosa taceva. Una molle stanchezza pesava sulla natura. Nessuna stella brillava: solo quelle nuvole oscillavano lentamente aspettando un soffio di vento per proseguire il loro misterioso viaggio.

Giorgio si scosse: fe' qualche passo per la stanza, poi fermandosele innanzi,

— Vuoi scendere in giardino?

— A che?

— A passeggiare.

— Se non ti dispiace preferisco di restar qui.

— Allora suonami il tuo notturno favorito.

— Per carità...

— Dunque... parliamo se non vuoi far nulla.

— Ascolto.

Invece di parlare tacquero: la conversazione era impossibile, ma intanto che Giorgio vi si sforzava Mimy rimaneva insensibile. Allora la prese famigliarmente per le mani e sollevandosele al volto come per osservare il ricamo al lume di luna la staccò piano piano dalla finestra, senza che opponesse resistenza — si trovarono quasi nel mezzo della camera, Giorgio al buio, Mimy sull'orlo della striscia luminosa segnata sul pavimento; avevano i volti accanto, così che allungandosi egli dubitava di baciarle la fronte o le mani, Mimy rinvenne: in quel punto un bacio ardente le cadde sulle dita e violentemente attirata barcollò sul petto di lui.

— Giorgio! balbettò resistendo.

— Non ti muovere: ho bisogno di guardarti, di toccarti, d'altronde non hai nulla a temere! aggiunse con voce più dolce. Senti, sei ancora fanciulla, sei bella, se ti vedessi ora potresti darmi ragione senza vanità, ma sei infelice. Qualche cosa ti manca al cuore, forse pure allo spirito: ma amerai.

— Io!

— Ti pare stravagante?! Carlo non poteva comprenderti; tu ti consumi alla sua ombra come un povero gelsomino soffocato da un'ellera: divori per nutrirti il tuo profumo, ma questo profumo che respirato da un altro sarebbe essenza di vita per te è di morte. Qualche volta ti ho sorpresa a guardare Carlo e nel tuo sguardo ho notato tutta la penosa meraviglia della tua anima pensando di essergli moglie. Nega se puoi. Io lo capisco, Mimy il tuo notturno...

— Il mio notturno!

— Il tuo notturno, la tua malinconia, quello che non dici a nessuno, che confessi forse appena a te medesima quando sei ben sola. Oh, ascoltami! ho bisogno di parlarti.

Quindi tenendosi sempre le sue mani al petto la traeva al divano e le sedeva di contro.

— Anch'io sono infelice: ti stupisce? fanciulla! se non distingui il sorriso dalla smorfia del sogghigno che tenta occultarsi! Se il tuo occhio azzurro così placido potesse scandagliare gli abissi della mia anima, affacciarsi un momento alle desolate solitudini del mio cuore si sbarrerebbe per raccapriccio o si velerebbe dallo spavento. Se dovessi dirti le mie disgrazie, i miei dolori non vi riuscirei: saranno bazzecole, scempiaggini, pazzie, forse tutto ciò riunito, forse nulla di tutto ciò; ma sono infelice e mi è d'uopo di una donna che mi apra le braccia e mi chiuda gli occhi col suo petto quando lo spasimo segreto infierisce. Vedi, così... e tentava di mettersi al collo le braccia di lei.

— Ma sei pazzo stasera! rispondeva divincolandosi.

— Pazzo! ecco la donna! ma non capisci... sono pazzo? ebbene ai pazzi è tutto permesso. Sì, ti voglio rivelare a te stessa, poi ti aprirò la mia anima; chi sa se potrai rifiutarla. Hai ventun anno: non so se il tuo spirito fu mai vergine, ma se sposa significa la donna che ha saputo l'amore, tu non la sei. Il matrimonio era stata la porta dell'avvenire, di un mondo di sogni e di piaceri, di luce e di profumi, ma appena varcata hai dovuto guardarti attorno stupita; invece che sovra un giardino dava in un cortile umido e buio. Ti sei, ti hanno ingannata. Credi adesso che quel bel mondo non sia? No; esiste, Mimy, e bisogna entrarvi, ma la passione ne tiene le chiavi. Le vuoi? io te le offro, ti offro la mia anima con tutti i suoi entusiasmi e le sue piaghe: la mia anima di poeta che sente tutti gli odii e tutti gli amori, che ha ancora la primavera della speranza fra le rovine della fede. Ah! io ho bisogno d'essere amato... da te.

Successero alcuni istanti di silenzio: erano entrambi commossi, specialmente Mimy alle mille miglia dall'attendersi questa scena. Giorgio vi aveva trasceso: non poteva ragionevolmente sperare di sedurla subito, mentre spintosi troppo oltre, se gli resisteva, piucchè la battaglia perdeva forse la guerra: però quella passione malgrado il discorso a Carlo e la lettera ad Anselmo la sentiva.

Mimy teneva gli occhi bassi, egli la divorava. Insensibilmente le appressò la poltroncina e coi ginocchi le toccò i ginocchi. Tacevano in un silenzio che era l'ultimo sforzo della eloquenza. A poco a poco i volti si attrassero: egli allungò il collo e vedendo Mimy socchiudere gli occhi, stimò giunto il momento: le cadde ai piedi passandole le braccia alla cintura.

Ella volle levarsi.

— No: e la ratteneva coprendola di uno sguardo umido di voluttà; non mi lasciare. Non è vero che mi ami? confessalo! sei troppo bella per deturparti colla maschera della modestia... Adesso! balbettò appena, intelligibilmente premendole il volto nel grembo.

Mimy tentava sempre di svincolarsi fissandolo in modo che pareva esaminarlo; nel suo sguardo c'era ancora più curiosità che sbigottimento.

Egli tacque un altro minuto supplicandola coll'atteggiamento.

— M'ami? ridomandò... Oh! ne sono degno, sono tanto infelice, ti amo tanto! Se sentissi la mia ebbrezza e il mio spasimo in questo punto m'ameresti per vanità o per compassione. Come sei bella! un'ora sola... e morire... vivere per te, per animare il deserto della tua vita, per occupare le tue malinconie... sei pur bella così! Non temere, Mimy, ti amo troppo per perderti; voglio che la tua felicità sia il mio monumento di artista; così sarà più nobile di un quadro o di un poema.

La posizione di Mimy facevasi sempre più difficile, era diggià nelle sue braccia. Lo sentì, quindi colle manine bianche tentò risolutamente di rompere il laccio, ma Giorgio la ricinse più stretta.

— Impossibile! ella mormorò rivolgendo la faccia per non vederlo.

— No, no!

— Ma Carlo!... ripetè guardando istintivamente verso la porta.

— Tu non l'ami; che importa ora? Carlo è lontano, poi non è che tuo marito; provati ad avere un amante e vedrai. Fammi solo un segno colle palpebre e rimango qui inginocchiato sino a domani, a posdomani, finchè vorrai. Sai: per me in questo momento intrecciarti le mani sulla cintura, appoggiarti il capo... è una gioia inesprimibile, eppure non sei che una statua — animati dunque; vorrei trasfonderti metà della mia vita, ne dovessi subito morire...

Pronunciando con voce rotta queste parole le si aggrappava mentre ella indietreggiava, così che per seguirla trascinavasi sulle ginocchia. L'infelice si contorceva. Le guance gli si erano accese, teneva gli occhi sbarrati, luccicanti, con un sorriso villanamente lascivo. Codesta trasfigurazione che un'altra donna o non avrebbe osservato o avrebbe ammirato, ributtò Mimy.

— No! proruppe con tale accento e tale sguardo che a Giorgio caddero le mani.

Si scostò imbarazzata e allora solamente arrossì vedendolo ginocchioni colla fronte contro la spalliera del divano. Stette sospesa in osservarlo e o temesse qualche nuova stranezza o non trovasse nessun finale per quella scena, sparì tacitamente dietro alla porta.

Quando Giorgio si risollevò non parve punto stupito di essere solo; si passò due o tre volte le mani sulla fronte.

— Imbecille! proruppe nell'andarsene.

Per chi quest'ultima parola? per lui o per Mimy?

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