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CAPITOLO III

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«Caro amico,

«Ti scrivo: perchè? veramente non lo so, ma giungendo alla fine della lettera forse non lo saprai tu pure e ripetendoti questa domanda non avrai più ragione di me adesso. La testa mi gorgoglia, i miei sensi fremono ancora.

«Che penseresti tu, superiore anche nella virtù alla plebaglia borghese e che scherzi talvolta colla tua fantasia come Pericle con Aspasia, di una visione notturna, di una donna, la quale ti apparisse solamente vestita di luce e bianca, bionda, sublime si ammirasse nello specchio con tacita e solitaria voluttà; se la sua voluttà si fosse prima alzata in lamento e il lamento fosse poi scoppiato in un inno? Che penseresti, vedendola allungarsi sopra una poltrona bruna, cogli occhi socchiusi come nell'abbarbaglio di una visione fuggente e le mani tese per dirle: cedo allo splendore della tua divinità, abbasso le palpebre e schiudo le braccia, scendi e dammi un bacio? Se il petto le si sollevasse mollemente e i capelli corsi da brividi luminosi le ripiegassero la testa quasi nello spasimo di una ebbrezza insufficiente ed eccessiva?

«Questa donna mi è apparsa: mi sapresti dire che cosa ne penso, perchè l'ignoro ancora e mi è d'uopo saperlo? Stavo a cavalcioni sopra un ramo, ella in una stanza chiusa a chiave. Contemplandola ho sentito ridestarmisi nell'animo la gioventù addormentata da tanti anni.

«Una donna giovane e bella, che viene a rinchiudersi nella sua stanza solo per vagheggiarsi nuda allo specchio, prodigandosi carezze mestamente e timidamente lascive; così raffinata nella voluttà da compiacersi a coglierne le più fuggevoli espressioni sulla propria immagine e così innamorata della bellezza da adorarla per ore in sè stessa; una donna che assetata d'amore s'ubbriaca bevendo al proprio calice... ecco davvero una donna e una prepotente seduzione. Ella è innamorata di sè stessa: però questa passione deve aver deviato. Verso chi spingevasi prorompendo la prima volta dall'anima? Quale ideale conteneva, giacchè ogni passione deve avere il proprio ideale, il proprio germe di felicità, che non si svela o non scoppia se non nel suo cielo, nella sua regione?

«Ecco quanto non so.

«Tu conosci, amico, la mia opinione sulle donne; bisogna dunque che sia bella colei sulla quale deve posarsi il mio pensiero, e che brilli, perchè simile alla farfalla esso non s'innamora che della fiamma. Byron non ammetteva le donne a tavola; io le voglio solo ad istanti e che dileguino appena tramonta il sole ond'erano belle, o la stanchezza mi si appesantisce sugli occhi e sul cuore. Davvero non comprendo come si possa, nonchè la vita, trascorrere tutta una giornata con una di loro; come dopo essere salito sopra una barca soffice di fiori, abbandonandosi alla corrente di un fiume incantato, stringendosi fra le braccia un fantasma divino, per mezzo ad isole paradisiache, con dietro un palazzo di nuvole, con un vento di profumi nei capelli e un vento di poesia nell'anima: come si possa, ritornando da quelle regioni del sogno e trovandosi sopra un divano non sempre di seta, in una camera spesso plebea, in faccia ad una donna imbecille, non sentirsi tentato di fuggire e fuggire dalla finestra se chiusa la porta: non capisco come libato il vino si possa annusare la tazza, strappati i fiori odorare il fusto del mazzo. E non intendo nemmeno come bruciando dall'amore si possa andare marito in camera della moglie, amante a casa dell'amante, disoccupato nel mezzanino della cortigiana alla stessa maniera che al caffè per un gelato o alla tabaccheria per un sigaro, così accettando un'altra forma da quella che vi ha commosso e transigendo coll'ideale quando nell'ideale solamente sta il piacere, patteggiando col tempo nell'aspettare che la moglie abbia finito di pettinarsi, l'amante siasi liberata da una visita importuna e la cortigiana vi dichiari che è arrivato il vostro turno. Quando il fumo della voluttà mi sale al cervello e la febbre mi gitta addosso il suo caldo mantello, se per disgrazia sono solo corro a serrarmi nel gabinetto, socchiudo le finestre, abbasso le tende così che si faccia una tenebria indecisa, e stendendomi sul divano mi avviluppo nella mia passione, e sogno. Allora mi sento intorno un aereo fruscìo di vesti, un sibilar di capelli: e le forme stupende dei sogni mi passano davanti coprendomi di lunghi sguardi, gettandomi ineffabili sorrisi, salutandomi con gesti intraducibili. Non mi muovo: mi circondano, mi si aggirano a cerchio, mi passeggiano sul capo, s'intrecciano, compongono quadri che mai genio di artista compose più belli; si atteggiano, m'inebbriano, mi straziano. E vorrei che una forma reale fra quelle vacue s'insinuasse; vorrei udire un rumore più distinto; discernere la voluttuosa pesantezza delle carni, e mentre un alito infiammato mi lambirebbe la fronte e due braccia rotonde mi cingerebbero il collo, adagiare il capo sul guanciale di un seno. Oh! il piacere è una religione e pochi gli iniziati a' suoi santi misteri! Colui che prostituisce il momento dell'amore con una donna fredda o sconosciuta, che se la stringe fra le braccia prima che il petto minacci scoppiargli, è un infame come il poeta che vende la propria inspirazione, come la bella che discute il salario delle sue compiacenze. Siate innamorati amando; aspettate che la marea monti, il vento si levi, irrompa la tempesta e il sole la illumini, se volete godere le angoscie divine della passione. Il mio amore è un oceano, e io sono come quell'audace che salpava solo quando lo vedeva burrascoso...

«Ogni piacere deve essere in noi essenzialmente d'immaginazione: gli orientali fumano l'oppio.

«Che una donna mi commuova e la voglio subito, lei con quell'abito, con quella espressione, atteggiata di quella gioia, di quel dolore: non si schermisca, non dilazioni: via le oscenità del pudore, le goffaggini della capitolazione; o mi lasci prenderle la vita o prenda i guanti e se ne vada, o si esalti meco o si irrigidisca come il marmo, sicchè debba fuggirla come Pigmalione la statua, se Giove non si fosse per lui intenerito al miracolo. Perchè sillabare grottescamente la pagina più bella della vita invece di declamarla con entusiasmo? Perchè affibbiarsi il piviale della religione o il lucco della legge, mentre l'amore l'invoca nuda, e il pensiero le si insinua sotto le vesti e glie le slaccia, glie le strappa?

«Greco in ciò, come nel resto, voglio la bellezza nuda, ma più spiritualista del paganesimo greco, voglio nuda la nudità — vi è sempre un velo sulle carni quando tutti gli altri sono tolti: vi è un pudore che non ha d'uopo che di sè stesso per coprirsi e non arrossire più; e colei, che ho sorpresa allo specchio, era più nuda che fra le braccia di un amante, nuda come si può esserlo davanti a sè stesso in un'ora di voluttà delirante. Se ella fosse mia, io, tanto superbo, me le butterei alle ginocchia colle mani in croce, perchè mi si mostrasse un'altra volta così, e, se nol volesse, la ucciderei, e, se nol potesse, credo che la prostituirei per renderglielo più facile. No, Anselmo: finchè quel velo è fra loro, i corpi non si combaciano e le anime non si fondono: strappatelo e la passione, come Mefistofele, ve ne farà un mantello, sul quale posando i piedi veleggerete nell'infinito...

«E, profondamente scettico, quando ti scrivo non so parlarti che di donne e di amore! Tutto è inutile, filosofia, religione, incredulità: finchè la gioventù tresca col cuore e civetta colla fantasia, non cessiamo di compiacerci nelle meschinità sensuali della donna. Che giova se la ragione, appartandosi dal tumulto dei sensi e dei sogni, ripari sopra un dirupo e di là sogghignando sulle figure folleggianti pel prato dichiari la musica piazzaiola, la baldoria villana, le forme inestetiche, gli ornamenti triviali, i fiori selvatici? Non le badiamo, e slanciandoci nella ridda turbinosa ci pare assai di stordirci, mentre dovremmo sublimarci. Poche ore fa mi stimavo di molto superiore a Carlo, il povero innamorato della marchesa di Monero, nel battermi con una donna, e avere volentieri sfidato il sole per osservare i suoi raggi rimbalzare in frantumi sulla mia corazza di diamante — non era diamante ma ghiaccio.

«Ti ho detto, la testa mi gorgoglia di idee e i sensi mi fremono ancora.

«Sono stato dissoluto, lo sono e lo sarò. Nato coll'animo di un grande artista, quantunque non abbia prodotto cosa alcuna, nè la produrrò per un difetto organico, una inadeguazione fra il sentimento e il linguaggio, fra la concezione e la forza di estrinsecazione; e divorato miseramente da tutte le passioni ho dovuto spossare l'ingegno cogli sbalzi della giovinezza, stordire l'anima coi piaceri del corpo; perchè incapace di mostrarmi grande non ho voluto e non voglio parere mediocre; perchè non potendo avere un Dio da adorare, e quello sarei io medesimo, mi occorrono degli idoli da infrangere, e sono le donne, che mi amano. Sono dissoluto, perchè vi è un'amara voluttà nel sentirsi al di sopra della vita che si conduce, nel porre, dilapidando le proprie ricchezze, sul capo ignobile di una cortigiana una corona, che più accuratamente brunita farebbe levare superba la fronte di una regina: sono un dissoluto che si ubbriaca per non piangere, un mendico che nasconde sotto i cenci un enorme diamante mal faccettato. E adesso, io che delle donne preferisco la qualità alla quantità, ero senza amanti se costei non mi appariva; ma dovrò battermi per conquistarla e la guerra sarà terribile e fuori del mio mondo maschile, con una forma diversa, più bella, che si difenderà con tutto il vantaggio di armi meglio temprate e di conoscere perfettamente il terreno.

«Il cimento è eroico.

«Ti confesso che scrivendoti mi sento battagliero; vorrai tu tradurre innamorato? Forse ne avrai la malignità, forse anco avrai abbastanza spirito per non ingannarti. Comunque sia, debba o no innamorarmi di quella donna, e innamorandomene sedurla o essere respinto, questa lettera è soverchiamente lunga, e sebbene la mia calligrafia mi faccia supporre che ne salterai almeno la metà, mi rassegno a troncarla.

«Una ultima parola — sono stato invitato per oggi dalla marchesa di Monero, quella signora che scandalizzò a Rimini tutte le nostre eleganti col bizzarro buon gusto delle sue acconciature e colla sua cameriera mora — me lo disse la contessina S***. Non è assolutamente bella, ma può essere affascinante. Carlo ne è una prova, sempre più ridicolmente imbarazzato dall'altera disinvoltura de' suoi modi. Ieri, incontrandoci, ella m'incaricò di portare un mazzo a Mimy; ecco come accadde l'invito e il resto. Andrò a pranzo da lei, giacchè mi preme verificare un motto della S***, la quale, poveretta, non può perdonarle di averla affatto ecclissata; un giorno che parlavamo di lei, veggendola passare a cavallo, mi disse: «Si regge meglio in sella che in conversazione.» Guai se mi ha ingannato! come temo; glie ne scriverò tante da farla inverdire per la stizza. Vanitas vanitatum, mio caro. Un poeta latino domanda: Che cosa è più leggiero del vento? la polvere; della polvere? la piuma; della piuma? la donna; della donna? Nihil.

«Che s'inganni? che della donna sia più leggiero chi se ne innamora?

«Ti lascio questo problema per obbligarti a rispondere.»

Così scriveva, ritornando a casa dalla scoperta di Mimy, il conte Giorgio De Vinci.

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