Читать книгу Storia di un'anima - Ambrogio Bazzero - Страница 10

AL DESERTO.

Оглавление

L'anno scorso, nel mio compleanno, scrivevo dei pensieri che erano l'espressione dell'anima mia, e li dedicavo a mia sorella: quest'anno ancora voglio scrivere dei pensieri e li dedico al deserto. Deserto: ecco l'espressione dell'anima mia! Che cosa scrivo?… Si possono tradurre a parola le convulsioni dell'anima, le contorsioni di mano, gli stringigola, i groppi, le memorie fallite e le speranze fallite? Posso scrivere lo stato dell'anima mia?… Eppure voglio sfogarmi: voglio lasciare un foglietto che attesti questo tristissimo compleanno. Lo leggerò io? quando? come? Lo leggeranno gli altri? quando? Quando io sarò morto, quando frugando entro le mie carte, i miei parenti diranno:—Aveva un po' del matto!—e mi compiangeranno. Lo leggerò io? Non so perchè, ma fra l'immenso buio che mi ottenebra la vita, un po' di lume cade su quella scena ineffabile che ho sognato mille volte:—cioè:—una donna, la mia donna, spierà me che apro il cofanetto di ferro…. Apro e tolgo anche questo foglio. Lo leggiamo insieme.

Se oltre i trent'anni mi aspettassi l'ineffabile felicità che sogno! Consento ad amare poco la mia famiglia, ad essere misantropo, ad essere così scoraggiato, per apprezzare te doppiamente, o mio ideale, o mio unico segno, o mio completamento! Ti desidero, ti supplico, ti voglio! Quante volte oggi satanicamente ghignai alla canna del mio fucile, dicendo:—Dentro c'è la morte!—e guardandone la nera bocca, e invidiando la suprema voluttà della morte…, mi sorrideva a un tratto l'idea: Avrai pace, anima! Nel futuro avrai tante gioie a compensarti i dolori, gioie tranquille, pure, castissime… Sei brutto, corpo mio, ma sei buona, anima mia! Oh sì! sei buona, sei casta, sei amantissima! Voglio anche esser morto, quando la donna mia trovasse questo foglio! Certo non riderebbe!

L'inattività, l'inutilità mi avviliscono, il deserto mi schiaccia…. Come soffro! Nessuno mi conosce, nessuno oggi più mi soccorre di una parola, nessuno mi incoraggia alla vita!…

Limbiate, 23 ottobre 1876.

Fu una giornata piovosa, melanconica, di quelle in cui si desidera la quieta canterina, con un angiolo, con un bambino, con un focolare benedetto: tutto bigio e nebbioso dovrebb'essere al di fuori: cadute le foglie, infangate le stradicciuole, freddolosi i bimbi: tutto mesto, tutto morto, per far contrasto col di dentro—tutto santamente allegro e tutto vita. Vita, vita, ecco la gran parola! Vita, la grande aspirazione dei ventidue anni, dei ventitrè, dei ventiquattro, dei venticinque. A venticinque questa vita è l'irresistibile bisogno!… Acquietati, anima mia: il tuo corpo è bambino: acquietati: diventa filosofessa e ascolta il gran principio della sapienza pratica:—la vita è uno scherzo, cosa da ridere: si debbe approfittare delle gioie che offre: non prendere niente sul serio: si debbono ammirare i sacrifici per uno scopo: il moralista «en amateur» è un asino. È vero, c'è in queste parole una schiacciante verità. Vorresti discutere? No, arrossiresti, anima mia. Vorresti esprimerti? No, saresti ridicola. Vorresti prorompere? oh sì! espanderti nei cieli, volare ai mari, cercare i monti, volare volare… ma poi, tutta potentissima, fidente, docile, speranzosa, felice, tutta venirmi alle labbra, e formare un bacio, su una fronte umile di una donna; tutta divenire l'espressione di un ossequio, di una religione, di una felicità, di un nuovo Dio formatosi nel mio cuore, un Dio per la Donna! L'anima, così incatenata come mi è a questi giorni tristissimi, impotenti, irresoluti, sogna per espandersi l'ampiezza, l'altezza, l'incommensurabile, l'infinito, sogna le immense solitudini: l'anima sogna i consorzi umani e vorrebbe dalle solitudini passare ad abbracciare le città, la civiltà, le arti di tanti popoli: l'anima vorrebbe stancarsi, per posare…. ma il cuore, il povero cuore, tronca siffatti voli, e, modesto, di passo, quieto, religioso, vorrebbe avviarsi, anzi con evidenza s'avvia al futuro: il suo mondo diviene una camerina, la sproporzione dei desideri dell'anima si riduce alla misura delle cose umane, l'infinito si cambia nella vita, divengono stanche ironie le grandi solitudini della Natura e i grandi consorzi degli uomini di fronte ad un santo dovere, ad una donna che popola un universo, irradiando le virtù della fede, della speranza, della carità….—Ecco,—ora dico a te stesso:—faccio della poesia, sono un sognatore, nemmeno io vorrei credere a queste mie ciancie. Faccio della poesia? Ecco la prosa:—vorrei la mia Donna che mi amasse, rendendomi la fede gentile che ho perduto; vorrei un bambino che mi facesse pensare:—Che importa a me degli ambiziosi, dei ricchi, dei gaudenti, dei gloriosi? Eccoti nel bambino la tua ambizione, la tua ricchezza, il tuo gaudio, la tua gloria, il tuo scopo! Oh sì, compiangendo, ma non irridendo le mie poesie di un dì, diventerei un uomo che vive, che sa fare le addizioni e le moltipliche, che sa comperare, sa risparmiare, sa provvedere ai bisogni più prosaici, e vorrei avere uno scrittoio dinnanzi, non un'immensa solitudine, non uno spettacolo di varie civiltà, e da quello vedere il mio orizzonte, cioè i guadagni che potrei fare per la mia famigliuola.

* * *

Mille volte dico: voglio su qualche foglietto di carta lasciare traccia dei miei patimenti, per farmi conoscere dai miei quando frugassero fra le mie carte. Io scrivo, a sbalzi, pel mio cassetto, molte volte rattenendo le lagrime di tenerissima commozione, molte volto imprecando con voluttà mefistofelica a Dio!—Ci voleva tanto poco per farmi felice! Non ricchezze, non gloria, non nobiltà, non i soliti meccanismi della società domandavo: domandavo pace, sacrificio, religione, fede: avevo coscienza di fare un sacrificio, la coltivavo, mi accosciavo due volte al giorno, per voto, in una chiesa, ero buono una volta. Che ho ottenuto? Poveri miei anni, dai diciolto ai venticinque!

* * *

Che cosa è la vita dell'uomo? Nient'altro che la spuma dell'onda che si dibatte fra gli scogli misteriosi dell'Infinito. Ma se un riflesso di cielo può dare l'azzurro alla spuma fuggitiva, un riflesso d'amore può dare alla vita i colori della Fede, della Speranza e della Carità.

* * *

Ricordo, colle lacrime al cuore, che vi fu un anno, in cui, in alcune sere stellate, quando dimenticavo il mio corpo, quando dimenticavo il mondo esterno, e il mondo interno mi signoreggiava, e mi sentivo, e volevo credere, e sperare, e amare, ricordo che in alcune sere stellate, soavissime, confidentissime, ebbi vicino a me un'anima che mi ascoltò e mi comprese, quand'io espressi qualche speranza pel mio avvenire, avvenire che io legavo all'arte e alla famiglia. In quelle sere io accrescevo di dignità alla mia coscienza, io mi dichiaravo non volgare, mi mostravo uomo, e confidando, credevo, speravo, amavo…. Furono gli unici conforti: li ricordo: e allora, perchè a metà svelate, mi parvero più sante le mie melanconie, i miei silenzi, i miei dolori, il mio carissimo e soavissimo tifo, sì, la mia religiosa convalescenza, le mie dolcissime Confidenze, i miei sessi profumi, e il mio risveglio, il mio Tintoretto…. il mio Giuliano! Ho ricordato queste cose per dire che a quell'anima (come pensi ora di me, e come penserà, se vivo, non so) vorrei fossero consegnate queste mie annotazioni, s'io morissi, perchè, almeno in lei la mia memoria vivesse un po' consacrata, non come quella che lascierei a mia madre o a mio padre, la memoria di un povero figliuolo: e basti la compassione. A Lidia non oso destinare una sola riga: a che pro? Se mi volle un po' di bene ed ebbe poi tempo di dimenticarmi, perchè svegliare in lei, non dirò un rimorso, ma una cura fastidiosa? Così vivendo e morendo faccio sacrificio di speranze. A che pro io ebbi rimorsi, e per esser felice, mi tormentai? A che pro? A che pro non so correggermi?

Scriverò anche stassera? Oh sì che ne ho immenso bisogno! Mi sentivo buono, ma deserto, ma ridicolo, ma quasi reietto dalla società, avevo voglia di piangere e gettai le braccia al collo di mia madre. Oh mia madre! mia madre! Se tu fossi il mio tesoro, la mia pace, la mia religione, se in ogni tristo mio momento potessi posare la mia testa sulla tua! Tu hai scoperto che io piangevo, e mi hai detto:—La tua fronte scotta!—O mamma, in questa povera testaccia bollono tanti pensieri, ma resteranno sempre cozzanti e inconcreti perchè la mente ha perduto ogni forza di studio: mancò al cuore l'alito primo: l'ambizione non mi seduce più: se avessi denari, libertà e cattiva natura, questo sarebbe stato l'anno in cui sarei diventato vizioso! Coi vizi almeno avrei vissuto; col ricordo della virtù, colla stizza dell'impotenza al male, col vano attendere, colle spossatezze, coi fremiti del dì d'oggi vivo neghittoso. Vivo? Vegeto, inutile pianta. Nessun scopo alla vita: sono deserto. A venticinque anni….

Mia madre è venuta qui, mi ha baciato, mi ha domandato che cosa ho?—Ho un mondo a rivelarle: non so da che parte incominciare: l'ho quasi respinta col dirle:—Lasciami stare, lasciami stare—quasi che lei fosse indegna di ascoltare le mie confessioni. Sempre così!… Respinta, si tace, soffre, forse come me, forse più di me, e fingendosi tranquilla mi domanda se le voglio bene. In questa promessa vuole ch'io le racchiuda una sacra promessa; ella forse teme…. Ha concluso con una sola parola:—Tu sei troppo buono!—Oh mamma, mamma, lasciami questa illusione: tu, cioè, non mi credi originale. O mia mamma, questa parola buono sulle tue labbra ha avuto un accento nuovo e sicuro: anche quand'ero piccino mi dicevi ch'ero buono. Anche oggi l'hai detto, e hai capito che dentro di me si compiono dei sacrifizi. O mamma, ti voglio tanto bene. E vorrei esser felice per raccontarti tutto, per farti esultare di tutte le mie umili contentezze, per avere in te l'interprete sincera delle gioie dell'anima mia. Passo dei giorni squallidi, tristissimi, meschini, lo vedi…. No, mamma, nella mia superbia dell'affetto, nelle mie gelose fantasticaggini, nel mio deserto, mi pare quasi d'esser fanciullo, volendoti bene, e m'infingo: ma invece dove sei tu, c'è il mio angiolo: tu angiolo di verità, di rassegnazione, di fede, di speranza, di mitissimo amore, tu mamma!

* * *

Ieri, verso sera, ho veduto una bambina coi capelli biondi, colle pupille azzurre, una poverina che sedeva sui ciottoli, senza pensiero, col sorriso dei suoi otto anni. La mirai a lungo. Pensando che s'avvicinava la sera e a casa mi aspettava la minestra calda col buon brodo, e la carne, e la lucerna allegra, e la tovaglia di buon augurio, avrei voluto condurla con me e darle la mia parte, e sorriderle…. Che cosa avevo io fatto nel giorno per trovarmi servito, scaldato, allegrato? Povera bimba!—Lo dissi alla mamma:—Una bimba come quella non oserei sognarla mia,—e tacqui. La mamma mi raccontò che quella sgraziata aveva una matrigna che la trattava a busse e le faceva soffrire la fame. O mamma, quanto avrei voluto baciarti: mi riconciliai con tutto, con tutti, volli fugare i miei fantasmi di dolori, volli che tu fossi il mio tutto. Come potrei io dedicarmi a te? oscuramente, ma santamente provarti sempre che t'amo e contrapporre alle mie sciocche ambizioni, all'amor proprio trafitto, alle vane gare in cui sanguina il cuore inutilmente, contrapporre il tuo affetto sempre placido, sempre religioso, sempre benedetto, non mai ridicolo?

* * *

O Lidia, Dio è l'ironia!—Il buio!

Storia di un'anima

Подняться наверх