Читать книгу Storia di un'anima - Ambrogio Bazzero - Страница 11

ULTIMO GIORNO DELL'ANNO 1876.

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Domenica, 31 dicembre.

Mancano tre ore e l'anno sarà finito. Queste tre ore voglio sentirle minuto per minuto, voglio goderle…. Come le gode la gente pratica del mondo? Divertendosi e gozzovigliando. Stupenda filosofia! io come le godo? Le godo sgroppando un'uscita al pianto segreto che mi arroventa il cuore: è una consolazione:—sorridendo un po' a qualche pallida fantasia della mia religione: è una poesia! So che è poesia inutile, ma a me è tanto cara.

Sono solo nel mio studiolo. Papà, mamma, Carlo sono andati or ora a teatro, proprio quand'io salivo le scale per chiudermi quassù. Ed or ora ho lasciato il Bianchi che mi ha complimentato gentilmente dicendomi un paio di volte «che bel tipo! originale!» perchè lui va a teatro, e io torno a casa a capo chino.

Sono solo e sono triste. Vorrei scrivere ordinatamente, ma non posso. Sebbene, chiusomi quassù, avessi tutta l'intenzione e il bisogno di scrivere, di scrivere, di scrivere. A che? per chi?

Che cosa spero pel 1877?

Milano. Mercoledì, 21 novembre 1877.—Sono da pochi giorni arrivato dalla campagna: ed ho il mio studiolo freddo, polveroso, abbandonato, tristo e perciò sto a disagio al tavolo. Coll'anima stanca, col cuore senza fede, coll'ingegno assopito, con grandi dolori—ma senza lutti officiali al cappello—bisognoso di vita, di vita, di vita, freddo a numerare le mie illusioni cadute, freddissimo a pensare al futuro, ti mando un bacio. Aggradiscilo come bacio di fratello. Pensa che mi sento il cuore gonfio d'un'arcana bontà, pensa che io piango, e che piangendo sento il bisogno di un'anima, e pensa che dinnanzi all'altare di un'altra anima che mi comprendesse, io pregherei ancora Dio, perchè mi sento casto, gentile, serio: e dinnanzi ai santi balbettamenti di un bimbo capirei—con quanta vita del cuore!—che l'arte per cui ho sofferto tanto, addoppiando me stesso, era un bisogno imperioso di creare; che la scienza di queste Accademie è il deserto, il vuoto, il nulla, o il tritume, la polveraglia dei morti: che gli anni di mia giovinezza erano un voto: che i miei tormenti, le mie fedi, il mio scetticismo, le mie speranze, le mie battaglie, il mio isolamento nella folla, il mio sdegno pei volgari, le mie povere poesie, erano indizi di un'anima che rigurgitava in un corpo nervoso, di un'anima che voleva un'anima!—Sono solo nel mio studiolo, solo, freddoloso e mesto. Ogni anno di questi dì faccio una ben triste resa di conti:—delusioni si aggiungono a delusioni. I volgari non si accorgono mai delle foglie che cadono, tu piangi: e la baraonda prosegue. Tu sorridi: oh veramente ci fosse Dio e vedesse e almeno lui apprezzasse questi sorrisi!

—Qualcosa c'è che non si soggioga a cifre: qualcosa c'è che rende uggiosi i libri dei filosofi: qualcosa c'è che consola i soli, gli abbandonati, i poveri, i poeti!—Oggi bisognerebbe tutto domandare ai medici materialisti. Io domando troppo a me stesso.

Storia di un'anima

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