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DOPO L’ADUNATA
ОглавлениеIl convegno nazionale dei «Fasci» non ha avuto una «buona stampa». Solo un giornale di Bologna, con un articolo forte e quadrato e ammonitore, ha cercato di vedere nel nostro movimento ciò che vi è sicuramente di vero e di vitale; ma tutti gli altri — non escluso il Corriere — si sono limitati all’«accidentale», al dettaglio, quando non siano trascesi all’ingiuria grossolana.
La Gazzetta di Venezia, la vecchia suocera brontolona della laguna, ci ha onorati del titolo di «pagliacci»; la Perseveranza — tanto nomini!... — ha trovato — previa una energica strofinatura ai suoi occhiali affumicati — che «lo scopo dei Fasci non è la guerra per l’unità e la grandezza d’Italia, ma la Rivoluzione sociale». L’una e l’altra cosa, se non vi dispiace, monna Perseveranza!
Sull’Italia, clericale, l’on. Filippo Meda lancia, al cielo un «Finalmente» e scrive:
«Finalmente gli intervenzionisti, o interventisti che dir si voglia, hanno scelta la loro piattaforma, chiara, precisa, sincera, e va data lode al prof. Mussolini di aver condotto al congresso di ieri il problema nei suoi termini esatti: “L’adunata — dice l’ordine del giorno da lui fatto approvare — reclama dal Governo l’immediata, pubblica e solenne denunzia del trattato della Triplice”.
«Questa è onestà e logica politica, e noi approviamo. Approviamo, s’intende, la “posizione della questione”; non lo scioglimento che il prof. Mussolini ne vuol dare».
Meno male! L’on. Meda conviene con noi che per rivendicare una qualsiasi libertà d’azione all’Italia, bisogna «pregiudizialmente» rescindere i trattati che ci vincolano all’Austria-Ungheria e alla Germania, denunciare, in una parola, la Triplice Alleanza.
La pregiudiziale che io ho posto al Congresso dei Fasci, è, dunque, valida e logica. Soltanto l’on. Meda trova che per rescindere un «contratto» occorre un motivo decente. E dov’è il motivo?, si chiede il deputato clericale di Rho? Dov’è il motivo?
Ma c’è, on. Meda, ed è formidabile. La guerra scatenata dall’Austria-Ungheria e dalla Germania, ha profondamente alterate tutte quelle condizioni di fatto che potevano giustificare la Triplice di ieri, ma non giustificano più quella d’oggi, svuotata com’è d’ogni significato.
L’equilibrio internazionale è spezzato, on. Meda, e tutte le preghiere del vostro Papa, ad esempio, non bastano a ristabilirlo. O prima o poi, on. Meda, la Triplice Alleanza è destinata a «saltare». Se il blocco austro-tedesco vince ed inghiotte ed umilia semplicemente la Serbia, e sposta in qualche modo il cosidetto equilibrio balcanico, se — insomma — l’Austria vittoriosa si riapre la strada verso Salonicco, l’Italia — oltre alle minacce immediate e alle possibili non lontane rappresaglie — sarà offesa nei suoi fondamentali interessi e dovrà — in condizioni infinitamente più difficili delle attuali — sguainare la spada per tutelarli. Se — viceversa — il blocco austro-tedesco è battuto, la Triplice decade di fatto: l’Italia farà la sua guerra per ottenere le terre soggette all’Austria-Ungheria. E allora, poiché altre eventualità non sono possibili, se ne deduce che ci può essere, on. Meda, una Triplice di domani; ma è certo che quella d’oggi è né più né meno che una semplice «finzione» diplomatica destinata a lacerarsi ad un prossimo urto con la realtà.
Denunciare la Triplice Alleanza è un atto di coraggio, ma sopratutto un atto di «lealtà». Come si vede, siamo esattamente agli antipodi del vostro pensiero, on. Meda. Infatti, aspettare di denunciare la Triplice nel momento in cui Austria e Germania saranno sull’orlo della rovina, può non essere simpatico; ma rivendicare — oggi — la libertà d’azione e l’autonomia dell’Italia, è cosa che tutti troveranno giusta e normale. La «non» avvenuta denuncia della Triplice può spiegarsi in un solo modo: che l’Italia ritenga ancora possibile di correre in aiuto — se ne sarà il bisogno — degli Imperi Centrali; il che significherà per l’Italia — e in caso di vittoria e in caso di sconfitta — aver lavorato alla propria rovina. Anche l’altra ipotesi — quella vagheggiata dai germanofili — cioè l’intesa italo-tedesca a spese dell’Austria-Ungheria, importa in ogni caso e di necessità la fine ingloriosa della Triplice Alleanza.
Per quante situazioni vengano prospettate, non ve n’è una sola che convalidi e giustifichi ancora il mantenimento della Triplice Alleanza.
Denunciare la Triplice Alleanza non è soltanto un «diritto», è piuttosto un «dovere». In un’epoca dinamica come l’attuale, ogni popolo può e deve rivendicare la sua piena libertà d’azione. Si capisce che la denuncia del Trattato deve essere contemporanea al decreto di mobilitazione. Ad ogni modo il primo passo da farsi — e subito — è quello di denunciare il trattato della Triplice Alleanza. Ecco perché i Fasci hanno votato l’ordine del giorno che ho presentato all’adunata nazionale e non mi sorprende che i clericali puri come l’on. Meda e i moderati autentici come la Gazzetta di Venezia insorgano contro il possibile accoglimento della nostra pregiudiziale. Essi sentono che tale fatto costituirebbe una vigilia di guerra contro gli alleati di ieri.... ma sentono altresì che gli eventi ineluttabili di domani «imporranno» quella pregiudiziale osteggiata — et pour cause — da tutti i Meda d’Italia....
Il Congresso dei Fasci ha dunque bene provveduto reclamando — in primis — l’atto formale pubblico di decesso della Triplice. Ma anche sugli altri argomenti la discussione è stata elevata e proficua. Il tema spinoso dell’irredentismo è stato posto e risolto nell’ambito delle idealità socialistiche e libertarie che non escludono la salvaguardia di un positivo interesse nazionale. Tutti i popoli che soffrono di una oppressione esteriore devono esser liberi: questa la dichiarazione di principio: nel caso pratico il nostro è irredentismo anti-austriaco e non anti-francese per Nizza e la Corsica o anti-inglese per l’isola di Malta, in quanto che solo ad Oriente vi sono popolazioni italiane sottoposte al dominio austriaco e che di tale dominio sopportano le atroci sofferenze da lungo volger di anni.... L’irredentismo verso tutti i confini — non sia giustificato da ragioni di giustizia e di libertà — quando nazionalismo o nell’imperialismo: non è il nostro! L’ordine del giorno votato nel Congresso dei Fasci precisa esattamente la nostra posizione teorica e politica di fronte al problema delle terre irredente, il che non m’impedisce di aggiungere che non sarebbe stato — secondo il mio avviso — del tutto superfluo precisare e delimitare il nostro irredentismo anche dal punto di vista «territoriale» e ciò a scanso di equivoci presenti e di responsabilità future. Ma questa è una «subordinata» che non toglie importanza e valore alla massima di principio.
Terzo comma importante: l’azione dei Fasci. Azione nel duplice senso di pensiero e di opere. Per queste ultime noi siamo pronti e attendiamo l’ora propizia, che non può né deve essere lontana.... Ma l’on. De Ambris nel suo forte discorso ha tracciato a grandi linee tutto un programma di revisionismo teorico rivoluzionario. Egli ha detto che un Vangelo solo può bastare a una Chiesa di credenti, non ad una collettività di liberi pensatori. C’è molta parte di verità nella critica «marxista», ma ve n’è anche nella ideologia mazziniana. Proudhon ha qualche cosa (o molto) di vivo, come gran parte dell’opera bakuniniana è ancora salda come granito di roccia. Vogliamo noi — spiriti spregiudicati — credere in un solo Vangelo e giurare in un solo Maestro? O non vale la pena — in quelle che sono epoche di liquidazione — di gettare nella grande fucina ardente della Storia i nostri «valori politici e morali», per sceverare in essi l’eterno dal transitorio, ciò che passa da ciò che non muore? È mai possibile nel campo sconfinato dello spirito la monogamia delle idee? Non è ciò un «auto negarsi» alla più diretta e profonda comprensione della vita e dell’Universo? La vita è varia, complessa, multiforme: ricca di possibilità, fertile di sorprese, prodiga di contraddizioni. Chi è lo stolto che pretende di violentarla nel breve capestro di una formula, nella schematica proposizione di un dogma? Libertà, dunque: libertà infinita! Sàndor Petöfi gridava:
La vita mi è cara
L’amore ancor più,
Ma per la libertà
Li do entrambi!
Libertà di ripudiare Marx, se Marx è invecchiato e finito; libertà di tornare a Mazzini se Mazzini dice alle nostre anime aspettanti la parola che ci esalta in un senso superiore dell’umanità nostra; libertà di tornare a Proudhon, a Bakunin, a Fourier, a S. Simon, a Owen, e a Ferrari, e a Pisacane, e a Cattaneo..., agli antichi e ai recenti; ai vivi e ai morti, purché insomma il «verbo» sia capace di fecondare l’azione....
Il De Ambris non poteva — data l’ora e il luogo — che affacciare la possibilità e la necessità di questa demolizione e ricostruzione di dottrine; ma io credo che — passata la tormenta della guerra — questo sarà il compito arduo e preliminare della nuova critica socialista.
Ecco il bilancio della prima adunata dei «Fasci». Non mi pento di averla definita «grande». Non eravamo in molti, ma — se ci tenessimo al numero — potremmo dire che non siamo più in pochi. I «Fasci» contano oltre cinquemila inscritti, e niente vieta di sperare che tale cifra sarà raddoppiata e triplicata nel volger di un mese.... Ma l’adunata fu «grande», perché fu «nuova», perché fu compresa della gravità del momento attuale e n’ebbe potrei dire — l’estremo pudore, e l’alto senso di responsabilità.... La buona sementa fu gettata e si vedrà: non invano!
MUSSOLINI
Da Il Popolo d’Italia, N. 28, 28 gennaio 1915, II.