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LA NOSTRA COSTITUENTE
ОглавлениеIl Popolo d’Italia convoca per i primi di dicembre a Milano la «Costituente» dell’interventismo italiano. Questa qualifica di interventismo è, dal punto di vista della semplice cronologia, già anacronistica e di puro valore retrospettivo. L’intervento c’è stato. Abbiamo fatto la guerra anche alla Germania. Abbiamo vinto, stravinto gli Imperi Centrali che non esistono più.
Tuttavia la parola «interventismo» ha ancora un valore storico, attuale, immanente.
Noi tutti che volemmo l’intervento siamo necessariamente legati al fatto storico che contribuimmo con tutte le nostre forze e tutte le nostre passioni a determinare e siamo quindi legati alla situazione che si è delineata in conseguenza dell’intervento. Se nostra, in un certo senso, fu la guerra, nostro dev’essere il dopoguerra, poiché tra l’uno e l’altro evento non esiste soluzione di continuità. Il dopo-guerra deve trovarci in linea, all’avanguardia, noi che volemmo la guerra e la volemmo per ragioni che hanno avuto la più alta, la più pura, la più decisiva delle consacrazioni.
Noi dobbiamo affrontare i problemi del dopo-guerra. Noi dobbiamo presentare le «nostre» soluzioni per i problemi del dopoguerra. Senza indugio, poiché l’ora non ne consente. I problemi del dopo-guerra si possono raggruppare in due grandi categorie: quelli d’ordine politico, quelli d’ordine economico. I primi riguardano la totalità degli italiani, i secondi le classi produttrici. Bisogna fissare i nostri postulati chiari e verso la loro realizzazione convogliare la coscienza nazionale.
L’epoca dei programmi avveniristici è finita. Quella metafisica valeva per altri tempi, quando per aprire le menti oscurate bisognava dischiudere colla fantasia i paradisiaci cieli del futuro. Oggi, non più. Oggi, gli uomini vogliono «realizzare». Anelano a «realizzare». Hanno la fretta di «vedere» qualche cosa.
Guai a coloro che non avvertono questi «stati d’animo» delle masse.
Un anno fa, comparvero su questo giornale i «postulati» per la resistenza.
I lettori ricordano. Dopo un anno, conclusa trionfalmente la guerra, fisseremo i postulati del nostro dopo-guerra. Non importa se alcuni punti saranno comuni ad altri Partiti che non vollero o sabotarono la guerra.
Questi signori muovono da un terreno diverso dal nostro. La loro posizione è falsa e difficile. Tutto ciò che è avvenuto, è avvenuto contro di loro. Tutto ciò che sarà, sarà la loro condanna. Non bisogna mai dimenticare che se la tesi dei socialisti ufficiali avesse trionfato, oggi il Kaiser invece di riparare, fuggiasco, in Olanda, sarebbe a Berlino, imperatore di un nuovo Sacro Impero germanico, dilatato a tutta l’Europa. Non si sarebbe levato nessun vento impetuoso di rinnovazione dalle trincee, se il chiodo prussiano fosse diventato l’arbitro del nuovo Impero. Non ci sarebbe stata questa sorprendente primavera di popoli, se la Germania non fosse stata battuta. Se i socialisti ufficiali italiani fossero riusciti ad impedire l’intervento dell’Italia, la storia avrebbe avuto un corso antitetico a quello che ha avuto e il proletariato italiano non si troverebbe oggi in grado di richiedere l’attuazione di alcuni dei suoi postulati fondamentali. Ma bisogna che gli interventisti si decidano. Essi non possono e non devono, in odio ai socialisti ufficiali, respingere il lavoro che è rimasto nel paese e soprattutto quello che tornerà dalle trincee. Che l’atteggiamento dei socialisti ufficiali italiani sia stato e sia ancora miserabile, è verissimo; ma i milioni e milioni di lavoratori che hanno risposto alla fronte o nelle officine all’appello della Patria non possono e non debbono essere confusi coi sedicimila borghesi, semiborghesi inscritti nel pus. Le masse operaie hanno fatto il loro dovere. Hanno, oggi, dei diritti. Gli interventisti, specialmente quelli venuti dalle scuole sovversive, non possono misconoscerli. Il proletariato è, nel suo complesso, diventato nazionale, ma per farlo rimanere in questo quadro, è necessario migliorare il più sollecitamente possibile le sue condizioni di vita.
Il Governo ha un programma? Può darsi. Esiste una commissionissima, ma di organico c’è poco. I socialisti ufficiali hanno il loro programma. Noi dobbiamo avere il nostro. Per ciò che concerne le masse lavoratrici io credo che i postulati da agitare immediatamente possano essere i seguenti:
nove ore di lavoro dal 1° gennaio 1919;
otto ore dal 1° gennaio 1920;
minimi di salario;
interessamento morale e materiale delle maestranze nelle imprese;
partecipazione delle organizzazioni del lavoro alla conferenza della pace, per la trattazione dei problemi internazionali del lavoro.
Mancano venti giorni alla convocazione della nostra Costituente. Apro la discussione. Non chiacchiere, ma fatti. Non divagazioni, ma soluzioni.
Bisogna che il dopo-guerra non sciupi la guerra, ma renda ancora più glorioso — moralmente e materialmente — l’avvenire della Patria.
MUSSOLINI
Da Il Popolo d’Italia, N 316, 14 novembre 1918, V.