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VI.

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La nuova venuta mostrava d'avere dai diciotto ai venti anni; era assai bene impersonata di corpo, piuttosto piccina, esile alla vita, con piedi grossetti e mani tozze; vestiva da fante di ricca famiglia, pulitamente e con una certa eleganza: la vesti di lana color di granata, un bel grembiule di seta nera, un goletto bianco come neve intorno al collo, una cuffiettina bianca del paro, civettescamente posta sulle sue abbondevoli treccie bionde. Aveva la bocca un po' grande, ma candidissimi i denti, il naso volto insù, ma petulante, gli occhi bigi pieni di malizia e in tutto il volto una cert'aria spigliata e temeraria, ma buona ed allegra che la rendeva piacevole a chiunque la vedesse.

—Buon giorno, signor Agapito: diss'ella ridendo da mostrare i suoi bianchi dentuzzi. Buon giorno, signor Giannello; buon giorno signor Martino: soggiunse volgendosi all'uno e poi all'altro dei due garzoni; ed a Vanardi che non conosceva punto, guardò in viso con una curiosità interrogativa e fece una bella riverenza.

—Ben giunta, madamigella Carlotta: rispose lo speziale. Lei sta bene?

—Bene bene no… Se fosse qualchedun'altra… qualcheduna di quelle signore che non hanno nulla da fare che crogiolarsi tutto il santo giorno sulla poltrona direbbe anzi che sta male… Ma io non ci abbado.

I due garzoni fecero un moto vivacissimo d'interesse, accostandosi alla fanciulla.

—Lei non si sente bene! esclamarono all'unissono come in un duetto d'opera in musica.

—Eh sì!… Gli è che io per natura non soglio crucciarmi… Crollo le spalle e tutto passa… ma in quella casa vi hanno tante contrarietà da far intisichire un elefante.

—Davvero! esclamò con voce compassionevole il signor Giannello, facendo gli occhi dolci alla ragazza.

—Povera madamigella Carlotta! mormorò il signor Martino, traendo un gran sospiro dall'imo petto.

—Sicuro! rispose la giovane. La signora marchesa per sè non sarebbe cattiva…

—Eh no, non ne ha l'aria davvero; interruppe messer Agapito, che era già stanco di tacere. Ma sì! ha ella una volontà che sia sua? La è menata pel naso da questo e da quello: la è come un automa; come un burattino a cui si tiri il filo…

—Bravo! esclamò Carlotta, approvando col chinar del capo.

—Diciamo la parola, continuava lo speziale: la è mezzo scema.

—Lo è del tutto. Le si industriano intorno una manica di furbi che cercano di mangiarle quel poco che possono mentre vive, e di bubbolarle una parte della sua eredità quando muoia.

—È proprio così: disse lo speziale che si grattava la punta del naso studiando un motto arguto: la marchesa di Campidoro è per essi un vero campo da cui vogliono raccoltar oro… Oh oh: che cosa ne dice signor Vanardi?

La giovane cameriera continuava:

—C'è il presidente della Congregazione di santa Filomena, il signor

Marone…

—Il nostro garbato padron di casa, disse Agapito ammiccando ad

Antonio.

—Questi è in lega col curato; dall'altra parte c'è il cavalier Salicotto d'accordo, mi pare, col medico, il dottor Lombrichi….. e in mezzo a tutti costoro più furbo di tutti e giovandosi di tutti, quel birbaccione di Grisostomo.

—Il cacciatore? dimandò Giannello.

—Quell'omaccio dalla barba nera che fa paura? disse Martino.

—Proprio lui… Ah! chi desidera stare in quella casa deve mettersi nelle grazie di quel brigante…

—Ah! ah! è un cacciatore che fa cacciare chi vuole… Oh, oh, oh!

—Ma io non sono di quell'umore, continuava Carlotta. Eh sì ch'egli non dimanderebbe di meglio che farmi la sua favorita: brutta barbaccia, va!

—Per lei ci vogliono altre barbe che quelle.

—A me non mi importa niente di lasciar lì quella casa dall'oggi al domani. Non sono imbarazzata punto punto a trovarmi un ricapito, io; e se per poco mi si tormenta, affè li pianto!

—Benissimo! esclamò Giannello.

—Oh lei è una giovane ammodo: osservò Martino.

—E badino bene a quel che dico loro, e si troverà ch'io non l'avrò sbagliata d'un ette: quel volpone di Grisostomo sarà quello che mangerà la miglior parte dell'eredità della signora marchesa.

—Lo credo: disse Agapito. Il mariuolo ha i denti da ciò. Ah, ah, ah!

—C'è la figlioccia della marchesa… una cara personcina, la figliuola del signor Biale, sa bene? quella che ha sposato il signor Pannini, quel bel giovane che è segretario, o che so io presso il cavaliere Bancone, un banchiere che è ricco a milioni.

—Lo conosco, disse lo speziale; è uno dei primi e dei più birbi fra i nostri trafficanti di borsa.

—Ebbene, la signora Lisa—madama Pannini si chiama Lisa—era un tempo amatissima dalla marchesa, e la famiglia dei Campidoro ha non so quale obbligazione verso i Biale: era cosa quasi certa che a costoro la marchesa avrebbe lasciato una bella fortuna; ma ora io scommetterei che Grisostomo li fa stare a becco asciutto.

—Possibile! esclamò Giannello giungendo le mani e lanciando a

Carlotta un'occhiata assassina.

—Che mutria! disse Martino fulminando la giovane d'un'occhiata simile a quella del suo compagno.

—Allora si può chiamare altresì cacciatore d'eredità, disse lo speziale; e rise grossamente secondo il solito.

—La signora Lisa viene sovente a trovar la madrina, ma non sempre il nostro turco… (è un nomignolo che abbiamo accollato a Grisostomo… sono io che gliel'ho dato: perchè una volta che sono andata al teatro che si cantava l'Italiana in Algeri c'era un brutto muso di turco con tanto di barba, che rassomigliava tutto tutto a lui…) non sempre e' gliela lascia vedere. Perchè nessuno, nessuno al mondo, può arrivare sino alla marchesa se il turco non ha data la sua licenza. E l'ho sentita io la signora marchesa dire alcune volte con rincrescimento: «È molto tempo che Lisa non è più venuta a trovarmi.» E quel birbaccio risponderle: «Già, adesso è maritata; le nuove affezioni le hanno fatto dimenticare le antiche…» Oh! cose da mordersi la lingua per non parlare e confonderlo. Ma sì, basterebbe una sola parola che non gli piacesse per farci dare il benservito. E così è riuscita a levargliela quasi del tutto dal cuore, e la signora marchesa non ha oramai più altra affezione che quella per la sua cagnetta, quella vecchia schifosa mimì, che io vorrei veder gettata nel pozzo nero… Ed a quella buona signora Lisa, quando viene, Grisostomo le dice che la madrina dorme, o che la non è d'umore da ricevere, o che il medico ha proibito di lasciarla parlare a chicchessia… Ah! eccone un altro che ci mangia dei bei denari e sa benissimo il suo tornaconto: il medico… A proposito, io ciarlo, ciarlo, e non ho ancora detto il motivo per cui son venuta. Il dottore ha ordinato si ripetesse l'ultima bibita calmante da prendersi a cucchiai.

Lo speziale si volse tosto ad uno de' garzoni.

—Martino, avete inteso, e preparatela subito subito: la ricetta è là nella filza colle altre, e ci è scritto in alto il nome della marchesa di Campidoro.

Martino fu sollecito ad obbedire.

Carlotta ripigliava:

—Veramente non toccherebbe a me il venire a far questa commissione. Ci sono due domestici e sarebbe affar loro: ma io non ho di queste superbie… E poi era un pretesto per uscire un poco a prender aria: che in quella casa non c'è mai un momento di libertà. E il turco per l'appunto pare che tenga schiava me più che gli altri, come se ne fosse geloso.

—Eh! lo sarà, oh! lo sarà: disse lo speziale con molta galanteria.

—Lo sarà certo: aggiunse Giannello rotando gli occhi come se avesse turbo di stomaco.

—E n'ha ben d'onde! esclamò anche Martino dal banco, dove mesceva e rimestava i farmachi per la pozione.

—E dunque, appena ho udito il dottor Lombrichi dire alla marchesa con quel suo tono magistrale da sputabottoni; «Bisogna che prima di questa sera ella pigli ancora due cucchiai di quella medicina:» ho subito sclamato: «Sì signore, corro tosto io stessa alla spezieria a prenderla;» e senza attender altro son venuta di trotto.

—Bravissima! disse Agapito leziosamente, e così ci ha procurato il bene di vederla…

—Un gradito favore che ci ha fatto: soggiunse il signor Giannello, facendo sempre più l'occhiolino.

—Oh sì, un vero favore! ripetè il signor Martino di dietro il banco, versando in un'ampollina la mistura che aveva finito di preparare.

Carlotta fece con civetteria una piccola riverenza a messer Agapito, e divise un sorrisetto fra i due garzoni; poi fissò su Vanardi, che stava là piantato, uno sguardo attonito, che pareva dire: «E costui è egli muto o sordo, o vien egli dal mondo della luna, che non ha parole fatte?»

—Vuol dire che quel calmante ha giovato alla signora marchesa? domandò lo speziale.

Carlotta crollò lo spalle,

—Giovato! Crede lei che la signora sia veramente ammalata? Da ciò in fuori che le gambe non la reggono molto più che se fossero di cenci, ella sta meglio di me e di lei e di quanti siamo. È Grisostomo che le ha ficcato questa fisima in capo, appunto per aversela anche più maneggevole ad ogni sua voglia, d'accordo col medico, il quale ne tira il suo gran profitto. E ne l'hanno persuasa così bene, che adesso non ci sarebbe miglior modo da mandar la signora in una maledetta collera che di mostrare un solo dubbio sulla realtà dei suoi mali… E sì che anche senza di questo ticchio la sarebbe già abbastanza fastidievole di per sè: chè io non ho mai conosciuto una donna più irritabile, più difficile da contentare, più esigente, più maligna… tale e quale come quella sua insopportabile cagnetta… Del resto poi una buonissima creatura… Ed è da perdonarsi, perchè la testa non c'è più del tutto a segno, e il più delle volte la non sa quel che si faccia.

—Nel quartiere, disse Martino che s'accostava tenendo in mano l'ampollina con dentrovi il farmaco, si parla molto della fiorita carità ch'ella fa a tutti i poveri che le si raccomandano.

—Sicuro! chiunque ricorre a lei può averne soccorso, purchè abbia la protezione del parroco o del signor Marone, del cavalier Salicotto o del dottore… e purchè piaccia a Grisostomo. Bisogna poi ancora capitare a parlarle in un momento che la sia di buonumore… Guai, per esempio, se fosse in un giorno in cui quella brutta e cattiva Mimì stesse poco bene!… Allora non c'è da aver speranza… Ma lei, signor Martino, ha già preparata l'ampollina. Dia qui, e vado tosto a farne bere un cucchiaio alla padrona.

—Se non vuole incomodarsi a portarla lei, disse Agapito, io gliela manderò, ed all'istante, pel servitore.

E il signor Giannello, rotando di bel nuovo gli occhi peggio che prima:

—O gliela porterò io stesso… e avrò così l'onore e il piacere di accompagnarla.

—No, no, grazie, non occorre. Siamo qui a quattro passi, in due salti ci giungo. Serva loro, signori.

Lo speziale e i garzoni s'inchinarono salutando. Ella in un balzo fu all'uscio e l'aprì; ma allora, come per nuovo avviso sopraggiunto, si fermò e si rivoltò indietro:

—Ah! mi raccomando… Di quanto ho detto silenzio per amor del cielo!… Chè, se Grisostomo avesse a sapere che io ho chiacchierato, povera me!

—Non si dubiti!

—Stia tranquilla!

—Muto come un pesce!

Gridarono in coro il principale ed i garzoni; e la giovane sgattaiolò lesta fuor dell'uscio a vetri, e sparì nella strada.

—Che ghiotto boccon di ragazza eh? disse Agapito accennando dietro a

Carlotta e strabuzzendo furbescamente degli occhi.

—Ah, che cara personcina! esclamò il signor Giannello, levando lo sguardo al soffitto.

—Che fior di roba! sospirò il signor Martino giungendo le mani al petto.

—Signor Agapito: saltò su allora Vanardi; se non le rincresce, ripiglieremo il discorso che ci ha interrotto la venuta di quella giovane.

—Ah sì, ben volentieri. Ella mi diceva…

—Io voleva parlarle di quei due dipinti che ho avuto l'onore di fare per lei.

—Ah, ah! Ippocrate e Galeno?

—Giusto.

—Sono là che meditano all'aria con tutta la desiderevole gravità.

—Un artista di raro acconsente a fare di questi lavori…. Ed io se l'ho fatto…. Poichè in fine in fine, quella non è che una specie d'insegna….

—Eh! quest'insegna insegnerà al pubblico il suo merito insigne….

Ah, ah! non è cattivo il bisticcio; ah, ah, ah!

—Io l'ho fatto, prima per l'amicizia verso di lei….

—Grazie tante, caro signor Vanardi: e gli strinse la mano.

—Poi per la dura necessità in cui pur troppo mi trovo.

Lo speziale che incominciò a capire dove Antonio volesse andare a parare, divenne serio e lasciò la mano del pittore, il quale continuava con tutto il coraggio di cui era capace:

—Ed è appunto questa necessità che mi spinge a forza a venirle domandare un compenso di quel mio lavoro.

Antonio si asciugò dalla fronte il sudore che vi aveva chiamato lo sforzo che aveva dovuto fare su sè medesimo per tirar fuori queste parole. Messer Agapito si grattò la punta acuta del suo lungo naso. Poi lo speziale andò presso al braciere, ne tolse il coperchio della campana sotto cui era, e ne mosse i carboni colla palettina; e vi sedette presso con aria di profonda meditazione.

—Ah! un compenso! diss'egli: va benissimo.

Trasse di tasca la sua tabacchiera di corno bigio, ne battè con piccoli colpi secchi il coperchio ed i lati, l'aperse, col polpastrello delle dita radunò il tabacco nel centro, coll'unghia dell'indice fece ricadere quello che era rimasto nella scanalatura del coperchio e nella mastiettatura, e rimestandolo anche un pochino, ne trasse poi una grossa presa.

—Ne piglia? domandò porgendo la tabacchiera aperta ad Antonio.

—No, grazie.

Agapito serrò la scatola serrando il pugno: appoggiò quest'ultimo sul ginocchio e si mise a fiutare fragorosamente la sua presa; quindi mandò un gran sospirone: col rovescio delle quattro dita rinettò il panciotto dai granelli di tabacco che v'erano caduti, e volgendosi con un mezzo giro sulla sua seggiola verso il pittore, ripetè:

—Un compenso? Niente di più giusto. Anzi questa mattina, parlando io con sua moglie…. La signora Rosina non le ha detto nulla?

—Sì: mi ha detto ch'ella ci aveva gentilmente offerto i suoi servigi. Ed io ne la ringrazio tanto. Ma, com'ella sa, signor Agapito, io mi trovo in cattive acque…. E un po' di denaro sarebbe per me la manna del cielo…. Epperò sono venuto a domandarle dell'opera mia un discretissimo prezzo.

Lo speziale pose la tabacchiera in tasca e cacciò le dita delle due mani nelle scarselle del panciotto, rimenandovele come per farvi scorrere il denaro che contenevano.

—Va bene, va bene… Veramente io non ci pensava, ma… purchè questo prezzo sia discreto… com'ella dice…

—Ci ho messo tutta la mia abilità, e non fo per dire, ma quelle due figure mi sono riuscite per benino.

Agapito trasse una mano dal borsellino per grattarsi la punta del naso.

—Veniamo alla cifra, diss'egli.

—S'io fossi un ricco e celebre pittore, che perciò non avesse bisogno di nulla, potrei chiedergliene mille lire per cadauna…

Lo speziale fece un salto sulla sua seggiola.

—Due mila lire! Misericordia! esclamò egli spaventato, levando anche l'altra mano dal taschino.

—Ma siccome sono un poveraccio, che ho necessità di tutto, continuava Antonio, che non ha pane per sè e per la sua famiglia, che avrebbe giusto bisogno di quella somma per aggiustare a dovere i fatti suoi, così nè io oso chiederle tanto, nè lei me ne darebbe.

—Insomma, a farla breve, qual è l'ultimo prezzo?

—Duecento cinquanta lire.

—Beuh! È matto lei: disse bruscamente lo speziale, e s'alzò da sedere. Duecento cinquanta lire per l'impiastricciamento di due tavole di legno.

S'accostò all'uscio a vetri e guardò traverso ad esso le due figure che mascheravano i battenti aperti.

—Le pare che quelle faccie da scomunicati valgano cotanto?

Antonio fu punto nel suo amor proprio, di artista.

—Può darsi, rispose egli atteggiandosi il più dignitosamente che seppe nel suo mantello, che la mia opera sia cattiva, ed ella ha tutto il diritto di trovarla pessima. Lasci però a me quello di non accettare per autorevole il giudizio d'uno spacciatore di medicine.

La bizza fe' venir rossa la punta del naso al signor Agapito: parve in sul punto di ribattere con risentite parole; ma un altro sentimento, che ben presto vedremo qual sia, lo fe' fermarsi.

—Via, via, diss'egli tutt'amichevole; non la voglio mica offendere, caro signor Vanardi. Ma duecento cinquanta lire!… Corbezzoli! vede bene anche lei!… Sia buono con me che… che… non voglio mica vantarmene… era mio dovere… ci avevo troppo compenso nel piacere stesso che ne provavo… Oh che? noi si fa il bene per far bene… Ma insomma non mi sono rifiutato mai per quello che ho potuto in suo vantaggio… E alla nascita dell'ultimo figliuolo, se non fosse stato di me… senza contare che ho fornito allora delle medicine e dei cordiali…

Vanardi stava tutto immelensito non osando contraddire e non volendo accettar per vere le cose dette dallo speziale; e questi battendogli sulle spalle, continuava con un suo cotal sorriso che voleva essere piacevole ed affettuoso.

—Ci aggiusteremo all'amichevole, non è vero? Oh ci aggiusteremo. Pensi anche lei che in queste stagioni i denari scappan via come l'acqua dal ramaiuolo bucherato; l'affitto, le mancie, le liste dei fornitori, che so io… Pagarle ciò che domanda, non lo potrei proprio… Ci faremo un calo non è vero? Oh sì, sì che lo faremo.

Il povero pittore che non aveva pur l'ombra di quel muso duro che è necessarissimo in queste circostanze, esitò, tentennò, balbettò parole senza senso, che non erano nè un negare nè un accondiscendere.

Ma lo speziale fu lesto a soggiungere in tono d'allegro accordo:

—Se lo dico io che ce la intenderemo da buoni amici. Lasci stare, caro signor Vanardi, che al primo istante ch'io abbia di libero vado su a casa sua e finiamo questa faccenda con comune soddisfacimento.

Antonio non trovò più nulla da rispondere; salutò, si calcò in testa il suo cappellaccio e si mosse per uscire. Agapito lo accompagnò sino all'uscio, gli aprì la porta, gli fece un saluto pieno di affettuosa domestichezza e venendo fuori ancor egli sul passo della bottega guardò che strada pigliasse il pittore allontanandosi.

—Ah, ah! disse fra sè, salutando ancora Antonio già lontano; e' non va a casa… Chi sa se starà fuori lungo tempo!… Ho in mente che sì… Buono! buono!

Rientrò fregandosi le mani, diede qualche ordine a' garzoni e salì agli ammezzati sopra la bottega, dove ci aveva il suo alloggio.

La carità del prossimo

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