Читать книгу Il Sorriso Perfetto - Блейк Пирс - Страница 7
CAPITOLO UNO
ОглавлениеPer forse la quarta volta nell’ultima ora, lo stesso pensiero passò per la mente di Jessie Hunt.
Odio questo posto.
‘Questo posto’ era un’ufficiale casa di sicurezza inserita nel programma di protezione testimoni. Sebbene Jessie odiasse trovarsi in quella sterile casetta a schiera con agenti federali ovunque, non poteva effettivamente obiettare sostenendo che non fosse necessario. Del resto non erano passate neanche due settimane da quando era sfuggita all’attacco omicida del suo padre serial killer, Xander Thurman, che le stava dando la caccia da mesi.
E solo pochi giorni dopo, il suo più focoso ammiratore, un altro assassino di nome Bolton Crutchfield, era scappato da un carcere psichiatrico insieme ad altri quattro pericolosi prigionieri. Due erano stati catturati. Ma oltre a Crutchfield, altri due erano ancora a piede libero.
Quindi Jessie non si era trovata nella posizione di poter sporgere obiezioni quando il capitano Roy Decker, il suo capo al Dipartimento di Polizia di Los Angeles, le aveva ordinato di seguire tutte le istruzioni degli agenti federali fino a che la situazione non si fosse risolta. E questo voleva dire essenzialmente vivere agli arresti domiciliari mentre si trovava in licenza lavorativa imposta, obbligatoriamente assente dal suo lavoro come profiler forense.
Non era neanche tecnicamente una testimone in un processo in corso. Ma data l’imminente minaccia alla sua vita, il suo lavoro alla polizia e il suo collegamento sia con il dipartimento di Los Angeles che con l’FBI, era stata fatta un’eccezione.
Fino a che suo padre e Crutchfield non venivano catturati o uccisi, si trovava incastrata. Passava le giornate e seguire aggiornamenti online sui casi, interrompendo l’attività con frequenti e quasi ossessive sessioni di allenamento o pratica di autodifesa, che poco facevano per mitigare la sua follia dovuta a quella condizione di prigionia.
Il programma di addestramento di dieci settimane che aveva recentemente seguito presso l’Accademia dell’FBI a Quantico, Virginia, le aveva fornito delle effettive abilità nel combattimento, oltre a delle nuove tecniche di profilazione. Ma non le aveva insegnato come gestire la schiacciante noia di trovarsi chiusa in casa per ventiquattro ore al giorno.
La casa in sé era bella, situata in un tranquillo isolato residenziale nel quartiere di Palms, nella zona occidentale di Los Angeles. In quelle mattine di fine primavera, Jessie sorseggiava il suo caffè e osservava i genitori che accompagnavano i bambini alla scuola elementare a pochi passi da lì.
La casa era alla fine di un vicolo cieco, dove era più facile metterla in sicurezza e sotto protezione. Ma questo significava che nella maggior parte dei casi non c’era molto da vedere. Di solito attorno a metà mattina Jessie usciva per una nuotata in piscina, che era coperta da un ampio telone, teoricamente per l’ombra, ma in pratica per eliminare gli occhi curiosi dei vicini.
Le cose andavano ancora peggio ora che Kat se n’era andata. Per qualche giorno l’amica aveva avuto il permesso di stare lì con lei, in parte perché le autorità temevano che Bolton Crutchfield potesse avere intenzione di inseguire anche lei. Dopotutto Kat Gentry era il capo della sicurezza nel DNR – la Divisione non-Riabilitativa –, la struttura del Dipartimento dell’Ospedale di Stato Metropolitano a Norwalk, da cui Crutchfield e l’altro prigioniero erano fuggiti. C’era la preoccupazione che qualcuno di loro potesse volersi vendicare.
Ma quando Kat aveva detto che avrebbe potuto fare un lungo viaggio in Europa per schiarirsi le idee, gli agenti avevano colto la palla al balzo sia come modo per tenerla alla larga dal radar e anche per ridurre i costi della sicurezza. Jessie ricordava ancora la loro conversazione di qualche giorno prima.
“Non pensi che questo sia un po’ come scappare dai tuoi problemi?” le aveva chiesto, rendendosi conto che la domanda avrebbe probabilmente messo l’amica sulla difensiva.
Kat l’aveva guardata con espressione interrogativa. Ancora prima che rispondesse, Jessie aveva capito di avere commesso un errore. Dopotutto Katherine Gentry era una ex Marine che portava ancora sul volto la cicatrice causata da una scheggia vagante dopo l’esplosione di un ordigno. Aveva mantenuto il blocco completamente isolato con all’interno il peggio della criminalità, fino a che il suo più fidato agente, Ernie Cortez, l’aveva tradita, permettendo ai prigionieri di fuggire. Era una tipa tosta, e Jessie lo sapeva bene.
“Penso di meritarmi un po’ di tempo per me,” aveva risposto Kat, rifiutandosi di difendersi oltre. “Se avessi pensato che gli agenti l’avrebbero permesso anche a te, avrei offerto anche a te di venire.”
“Credimi, mi piacerebbe tantissimo,” aveva risposto Jessie, sollevata che l’amica non si fosse irritata oltre. “Ma la verità è che, fino a che mio padre e Crutchfield non verranno presi, non dormirò sonni facili, indipendentemente che mi trovi qui o oltreoceano. Quando escogiteremo un piano per catturarli, saremo a posto. Devo mettere una pietra sopra a questa cosa in modo da potermi riappropriare della mia vita.”
“Non pare che ci siano grossi piani al momento,” aveva sottolineato Kat con tono neutro.
“No,” aveva confermato Jessie. “E non pensare che la cosa non mi passi per la mente. L’unico spiraglio di salvezza è che mio padre è troppo ferito per potermi dare la caccia adesso. Quando l’ho visto l’ultima volta stava saltando da una finestra al quarto piano, ed era prima che venisse ferito allo stomaco, alla spalla e alla testa. Sarà fuori gioco per un po’.”
“Ma Bolton Crutchfield no,” le ricordò Kat. “Lui è in perfetta salute e pronto all’attacco. E ha a sua disposizione… delle risorse.”
Kat non aggiunse altro, ma non ce n’era bisogno. Sapevano entrambe cosa volesse dire. In aggiunta ai due fuggitivi che poteva avere a sua disposizione, c’era anche Ernie, l’ex collega di Kate e suo vice al DNR.
Mentre Kat partecipava al funerale dei genitori adottivi di Jessie, Ernie, un imponente essere umano alto oltre due metri per più di cento chili di peso, aveva assassinato diversi agenti della sicurezza nel DNR, per poi liberare Crutchfield e gli altri. Erano passati giorni prima che l’FBI potesse scoprire ciò che prima non era mai apparso nella verifica dei dati penali che Kat aveva condotto quando lo aveva assunto.
Quando Ernie aveva undici anni, aveva passato un anno in una struttura psichiatrica per minori dopo aver pugnalato un altro ragazzino più volte all’addome con un cacciavite. Fortunatamente per lui, la sua vittima era sopravvissuta.
Ernie aveva scontato la sua pena senza altri incidenti. Dopo la sua liberazione e il trasferimento a un’altra famiglia, non aveva avuto nessun altro problema. La sua cartella minorile era stata sigillata al passaggio alla maggiore età. Senza nessun altro bollino rosso tra i documenti, tutto quello che rimaneva era un ammirevole curriculum come parte dell’esercito statunitense, seguito da periodi di lavoro come guardia di sicurezza privata e guardia carceraria in una prigione di massima sicurezza in Colorado.
Se Kat avesse avuto accesso alla sua cartella psichiatrica del centro di detenzione minorile, avrebbe saputo che il personale medico lo considerava un sociopatico con un’incredibile capacità di controllo e un professionista nel nascondere le sue inclinazioni violente.
La riga finale dei suoi documenti diceva: “I medici ritengono che il soggetto Cortez sia un costante rischio per la comunità. Ha imparato a nascondere i suoi desideri, ma è probabile che a un certo punto, presto o forse nel futuro più lontano, le stesse problematiche psichiatriche che l’hanno condotto alla detenzione in questa struttura riemergano. Purtroppo il nostro attuale sistema non propone nessun collocamento per tale possibilità e richiede quindi il rilascio del soggetto. Ulteriori cure, anche se non obbligatorie, sono fortemente raccomandate.”
Non erano state fornite altre cure. Quando Ernie era diventato una guardia al DNR e aveva iniziato a interagire con Bolton Crutchfield, un maestro nella manipolazione delle menti, era caduto sotto al suo influsso. Ma non l’aveva mai lasciato trasparire, continuando a fare il suo lavoro e a interagire positivamente con i colleghi che alla fine avrebbe ucciso.
Kat si biasimava per tutte quelle morti, anche se non c’era proprio modo che lei avesse potuto anticiparle. Aveva tentato più e più volte di lenire il proprio senso di colpa, ma non ci era riuscita.
“Sono una profiler forense che è addestrata per accorgersi di cose come le tendenze sociopatiche,” le aveva detto Jessie. “Ho interagito con lui in decine di occasioni e non ho mai sospettato di lui una sola volta. Non so come avresti potuto farlo tu.”
“Non ha importanza,” aveva insistito Kat. “Ero responsabile della sicurezza degli altri agenti e di tenere al sicuro quei detenuti. Ho fallito su entrambi fronti. Merito di accollarmene la colpa.”
Quella conversazione aveva avuto luogo tre giorni prima. Ora Kat si trovava da qualche parte in Francia, inconsapevole del fatto che il servizio federale aveva chiesto all’Interpol di incaricare un ufficiale sotto copertura perché la seguisse per sua personale protezione. Da parte sua, Jessie era stesa su un lettino in plastica della piscina, dove poteva essere sentita se avesse gridato. Non aveva nessuno con cui parlare, praticamente nessuna privacy e ben poco per tenere la sua mente occupata, impedendole di vagare in luoghi oscuri. Nei momenti più densi di sconforto e autocommiserazione, le sembrava ancora una volta di essere vittimizzata.
Mentre si dirigeva all’interno per prendersi qualcosa da mangiare, si infilò il soprabito che uno degli agenti le aveva comprato l’altro giorno. L’uomo non aveva ricevuto istruzioni dettagliate, quindi non era una sua colpa se no le stava proprio divinamente. Però Jessie non poteva fare a meno di sentirsi frustrata che quella cosa le arrivasse appena alle anche e fosse in qualche modo grossa e ingombrante. Con la sua altezza di un metro e ottanta circa, Jessie aveva bisogno di qualcosa che fosse lungo il doppio e largo la metà. Si tirò indietro i capelli castani facendosi una coda e cercò di cancellare l’espressione scocciata dai suoi occhi verdi, quindi entrò.
Entrando in casa, vide l’agente che si trovava vicino alla porta scorrevole girare leggermente la testa. Stava chiaramente ascoltando qualche messaggio nel suo auricolare. Il suo corpo si irrigidì involontariamente per quello che aveva sentito. Jesse capì che stava succedendo qualcosa ancora prima di entrare in cucina.
L’uomo non le disse niente, quindi Jessie continuò verso la cucina, fingendo di essere ignara di qualsiasi cosa stesse accadendo. Incerta se il messaggio potesse riguardare un’irruzione in casa, si guardò attorno alla ricerca di qualcosa per proteggersi in caso Crutchfield l’avesse trovata. Sul tavolo della sala da pranzo vicino alla cucina c’era una sfera con la neve raffigurante San Francisco, grande più o meno come un piccolo melone.
Mentre si chiedeva di sfuggita come potesse esserci neve a San Francisco, Jessie afferrò la sfera e la tenne stretta dietro la schiena. Poi entrò in cucina tenendo il peso verso le punte dei piedi, il corpo teso e pronto all’azione e gli occhi che scattavano da destra a sinistra alla ricerca di qualsiasi minaccia. In fondo alla cucina, una porta si aprì.