Читать книгу Il Sorriso Perfetto - Блейк Пирс - Страница 8
CAPITOLO DUE
ОглавлениеMentre aspettava di vedere di chi si trattasse, Jessie si rese conto di essere rimasta in apnea, quindi si sforzò di espirare lentamente e silenziosamente.
Nella stanza fece il suo ingresso, bruscamente e senza la minima apprensione, Frank Corcoran. L’agente federale supervisore del suo caso, Corcoran era uno che faceva sul serio. Con la mascella squadrata e le spalle larghe, indossava pantaloni e giacca blu navy con una camicia bianca e una cravatta nera perfettamente annodata. I suoi baffi tagliati con attenzione avevano i primi accenni di grigio ai lati, come anche i capelli corti e neri.
“Si sieda, signorina Hunt,” disse, senza alcuna traccia di informalità. “Dobbiamo parlare. E può mettere giù quella sfera di neve. Le assicuro che non ne avrà bisogno.”
Posando la sfera sul tavolo della cucina e rifiutandosi di chiedere come facesse a saperlo, Jessie si sedette, chiedendosi cosa diamine stesse per rivelarle. Xander Thurman aveva appena assassinato i suoi genitori adottivi. Aveva quasi ammazzato due poliziotti nel tentativo di arrivare a lei nel suo appartamento. La violenta fuga di Bolton Crutchfield dal DNR aveva portato alla morte di sei guardie. Uno dei restanti fuggitivi aveva trovato Kat in Europa? Avevano inseguito il suo amico e collega, il detective del Dipartimento di Polizia di Los Angeles Ryan Hernandez, che non sentiva da giorni? Si preparò al peggio.
“Ho degli aggiornamenti per lei,” le disse Corcoran, quando si rese conto che Jessie non aveva intenzione di fare domande.
“Va bene.”
“Ho parlato con il suo capitano,” le disse, tirando fuori un pezzo di carta e leggendolo. “Voleva comunicarle i buoni desideri dell’intero distretto di polizia. Dicono che stanno seguendo ogni pista a disposizione e spera che lei non sia costretta a restare in stretta custodia per molto altro tempo.”
Dal tono scettico della voce di Corcoran e dalle sue sopracciglia leggermente inarcate, Jessie poteva dire che non condivideva il punto di vista del capitano Decker sulla situazione.
“Lei è meno ottimista di lui, mi pare di intuire?”
“Ed ecco l’altro aggiornamento,” rispose, tecnicamente non rispondendo alla sua domanda. “Non abbiamo avuto fortuna nella ricerca del signor Crutchfield. Mentre due fuggitivi sono stati catturati, come lei ben sa, altri due sono ancora liberi, per non parlare del signor Cortez.”
“Gli uomini catturati hanno fornito qualche informazione utile dall’ultima volta che mi avete aggiornata?”
“Purtroppo no,” le rispose. “Entrambi dicono ancora la stessa cosa: che sono andati ciascuno per la propria strada dopo la fuga. Nessuno di loro neanche sapeva che la cosa sarebbe successa, fino a che non sono stati fatti uscire dalle loro celle.”
“Quindi è probabile che Crutchfield e Cortez siano stati gli unici a programmare la cosa?”
“È quello che siamo propensi a pensare,” disse Corcoran. “Dopotutto abbiamo un’enorme squadra di uomini messi sulle tracce dei fuggitivi. Oltre al Dipartimento di Polizia di Los Angeles, sono coinvolti anche il Dipartimento dello Sceriffo, la Polizia di Stato della California, il Bureau Investigativo della California e l’FBI, come, ovviamente, il Servizio Federale.”
“Ho notato che ha detto che state cercando i fuggitivi,” disse. “E Xander Thurman?”
“Cosa c’entra?”
“Beh, è un serial killer anche lui. Ha cercato di uccidere me e due agenti del Dipartimento di Polizia di Los Angeles ed è in libertà. Quanti dei vostri lo stanno cercando?”
Corcoran la guardò come se fosse sorpreso di dover esprimere il commento successivo.
“Sulla base della descrizione che lei ha fornito delle sue ferite, lo vediamo come una minaccia meno immediata. E il suo attuale stato nel Programma di Protezione Testimoni ci fa preoccupare di lui in modo minore. Inoltre, attualmente la nostra priorità è per i diversi fuggitivi evasi da una struttura di detenzione psichiatrica criminale, non per un uomo della cui presenza nessuno è al corrente.”
“Mi sta dicendo che la vostra ricerca è pilotata da media e politica,” notò Jessie con tono deciso.
“Questo è un modo, non certo sconsiderato, di descrivere la cosa.”
Jessie apprezzò la sua onestà. E per uno nella sua posizione, non poteva realmente obiettare al fatto che si trattasse di un utilizzo irragionevole delle risorse. Jessie decise di lasciar perdere, per il momento.
“Ci sono potenziali piste?” chiese dubbiosa.
“Crediamo che i nostri migliori sforzi siano puntati sul signor Cortez. Il pensiero è che abbia approntato un piano per il post-fuga. Stiamo controllando il suo conto bancario, gli acquisti tramite carta di credito e i dati GPS del telefono nelle settimane precedenti all’evasione. Fino ad ora non abbiamo trovato nulla che possa essere utile come dei biglietti per un volo.”
“Non li troverete,” mormorò Jessie.
“Perché dice questo?”
“Cortez starà alle calcagna di Crutchfield. E vi garantisco che Bolton Crutchfield non andrà da nessuna parte.”
“Come può esserne tanto sicura?” chiese Corcoran.
“Perché non ha ancora finito con me.”
*
Quella notte Jessie non poté dormire. Dopo essersi girata e rigirata per quelle che le parvero delle ore, uscì da sotto le coperte e andò in cucina per prendersi un bicchiere d’acqua.
Mentre percorreva il corridoio rivestito di moquette, sentì subito che c’era qualcosa che non andava. L’agente federale che di solito stava seduto su una sedia all’intersezione tra il corridoio e il salotto non c’era. Jessie considerò l’idea di tornare in camera sua per prendere una pistola, ma poi ricordò che effettivamente non ce l’aveva. Il Servizio Federale gliel’aveva messa ‘sotto sicurezza’ fino a ulteriore avviso.
Invece premette la schiena contro la parete del corridoio, ignorando il cuore che improvvisamente batteva all’impazzata, e continuò in punta di piedi fino alla sedia. Quando fu più vicina, grazie alla luce della luna che filtrava dalle finestre, vide una macchia scura e umida sulla moquette color crema. L’ampio raggio dello spruzzo suggeriva che non si trattava di vino versato per sbaglio. Jessie notò anche una netta scia che da lì proseguiva fino a dove la sua vista non poteva più seguirla.
Jessie fece capolino con la testa da dietro la parete e vide l’agente seduto con la schiena appoggiata al muro, dove a quanto pareva era stato trascinato. Aveva la gola tagliata. Accanto a lui sul pavimento c’era la sua pistola di servizio.
Jessie avvertì un’esplosione di adrenalina generata dall’ansia che le fece sentire un formicolio alle dita. Ricordando a se stessa di restare concentrata, si inginocchiò a terra e perlustrò la stanza con lo sguardo mentre aspettava che il suo corpo ritrovasse la calma. Le ci volle meno tempo di quanto credesse.
Senza nessuno in vista, sfrecciò fuori e afferrò la pistola. Guardando in basso vide una scia di impronte insanguinate che si allontanavano dal corpo dell’agente e andavano in direzione dell’adiacente sala da pranzo. Restando accucciata dietro al divano, Jessie avanzò fino a quando poté vedere chiaramente dentro alla stanza.
Lì c’era un altro agente steso a terra. Questo era a faccia in giù, con una chiazza di sangue che si stava rapidamente allargando, riversandosi dal collo e formando una pozza attorno a volto e busto.
Jessie si sforzò di non restare imbambolata a guardare mentre seguiva le impronte che dalla sala da pranzo andavano alla veranda che poi portava alla piscina sul retro. La porta scorrevole era aperta e una leggera brezza spingeva le tende verso l’interno, facendole gonfiare.
Jessie controllò la stanza. Era vuota, quindi lei si portò fino alla porta scorrevole e sbirciò fuori. Si vedeva un corpo in uniforme che galleggiava a faccia in giù nell’acqua, che stava rapidamente prendendo una tinta rosata. Fu a quel punto che sentì qualcuno schiarirsi la gola alle sue spalle.
Ruotò su se stessa, armando al contempo la pistola. Di fronte a lei, dalla parte opposta della stanza, c’erano sia Bolton Crutchfield che suo padre, Xander Thurman, che sembrava in ottima forma, considerato che solo poche settimane prima era stato colpito da degli spari al ventre e alla spalla, che aveva probabilmente il cranio fratturato e che era saltato giù dal quarto piano. Entrambi gli uomini erano armati di lunghi coltelli da caccia.
Suo padre sorrise mentre scandiva silenziosamente con le labbra la parola “farfallina”, il suo nomignolo di bambina. Jessie sollevò la pistola e si preparò a sparare. Mentre le sue dita si apprestavano a premere il grilletto, Crutchfield parlò.
“Ti avevo promesso che ci saremmo rivisti, signorina Jessie,” le disse, l’atteggiamento pacifico come quando le aveva parlato attraverso la spessa barriera di vetro nella sua cella.
Le sue settimane di libertà non l’avevano reso meno morbido. Alto un metro e settanta o poco più e con un peso di forse settanta chili, era meno fisicamente prestante di Jessie. La sua faccia paffuta lo faceva sembrare più giovane di una decina d’anni, rispetto ai trentacinque che effettivamente aveva. I suoi capelli castani ordinatamente pettinati con la riga in parte le ricordavano i ragazzi del club di matematica alla scuola media. Solo i suoi freddi occhi castani lasciavano trasparire ciò di cui era realmente capace.
“Pare che tu ti sia messo con brutta gente,” disse Jessie con voce purtroppo tremante, accennando con un movimento del capo a suo padre.
“È questo che adoro di te, signorina Jessie,” disse Crutchfield con tono ammirevole. “Non ti tiri mai indietro, neanche quanto ti trovi in una situazione senza speranze.”
“Credo che si possa riformulare la frase,” sottolineò Jessie. “Siete venuti entrambi a uno scontro a fuoco, armati di coltelli.”
“Che maliziosa,” si meravigliò Crutchfield, girandosi verso Thurman per avere la sua conferma.
Suo padre annuì, sempre in silenzio. Poi entrambi gli uomini riportarono l’attenzione su di lei. Contemporaneamente, i loro sorrisi svanirono.
“È l’ora, signorina Jessie,” disse Crutchfield mentre entrambi gli uomini le si avvicinavano in tandem.
Lei sparò prima a suo padre, tre colpi al petto, prima di portare l’attenzione su Crutchfield. Senza esitare, gli piantò altri tre proiettili nel torso. L’aria era pregna di fumo acre e dell’eco degli spari.
Ma nessuno dei due uomini si fermò né rallentò. Com’era possibile? Anche con dei giubbotti antiproiettile, avrebbero dovuto quanto meno barcollare.
Aveva finito i colpi, ma tirò lo stesso il grilletto, insicura su cos’altro fare. Mentre i due avanzavano verso di lei con i coltelli sollevati sulle loro teste, Jessie gettò via la pistola e si mise in posizione di difesa, completamente consapevole che si trattava di una mossa inutile. I coltelli scesero su di lei, netti e veloci.
*
Con un sussulto Jessie si mise a sedere di scatto sul letto. Era madida di sudore e respirava affannosamente. Guardandosi attorno nella stanza, vide che era sola. I balconi delle finestre erano ancora ben chiusi per evitare l’ingresso di chiunque. La porta della sua camera aveva ancora la sedia incastrata sotto alla maniglia come ulteriore precauzione di sicurezza. L’orologio segnava le 1:39 di mattina.
Si sentì qualcuno bussare debolmente alla porta.
“Tutto bene là dentro, signorina Hunt?” chiese l’agente federale. “Ho sentito un rumore.”
“Solo un brutto sogno,” disse lei in risposta, non vedendo alcun motivo per cui dover mentire su ciò che lui probabilmente già sospettava.
“Va bene. Mi faccia sapere se le serve qualcosa.”
“Grazie,” rispose Jessie, ascoltando il familiare scricchiolio delle tavole del pavimento sotto alla moquette mentre l’uomo si allontanava.
Fece scivolare le gambe fuori dal letto e si sedette tranquilla per un momento, permettendo al battito del suo cuore e al respiro di tornare alla normalità, o quasi. Si alzò in piedi e andò verso il bagno. Ci voleva una doccia, come anche un cambio delle lenzuola bagnate.
Mentre attraversava la stanza, non poté fare a meno di guardare verso l’unica finestra con i balconi leggermente aperti per lasciar entrare un po’ di luce. Le parve di vedere la sagoma di qualcuno all’ombra degli alberi oltre la piscina. Anche dopo essersi assicurata che si trattava di un tronco o di un agente, continuò a sentirsi inquieta.
Là fuori da qualche parte c’erano due serial killer a piede libero. Ed entrambi la stavano cercando. Non c’era modo di aggirare il fatto che anche in una casa messa in totale sicurezza con tutte queste protezioni, lei era un facile bersaglio.
*
Gabrielle e il suo partner della serata, Carter, ritornarono a casa dopo le 2. Erano entrambi un po’ brilli e lei dovette ricordargli di tenere la voce bassa per non svegliare Claire. Attraversarono barcollanti il corridoio e arrivarono alla camera da letto, dove si diedero un lungo bacio. Gabby si tirò indietro un momento per guardarlo e gli rivolse il suo più seducente sorriso. Lui le sorrise a sua volta, anche se non con troppo slancio. Le piaceva. Era più grande di lei, sui quarantacinque anni, e quindi in grado di controllare il suo entusiasmo molto meglio del ragazzetto ricco e tutto tecnologia con il quale stava uscendo.
Aveva un aspetto elegante e distinto e le ricordava in qualche modo alcuni degli amici di suo padre, quelli che le lanciavano occhiate furtive quando pensavano che lei non se ne accorgesse. L’uomo aspettò che fosse lei a riprendere il bacio. Quando Gabby si ritrasse con atteggiamento canzonatorio per vedere quale sarebbe stata la sua reazione, lui finalmente parlò.
“Hai un bel posticino qui,” le disse sussurrando con tono derisorio.
Se va tutto bene, per un po’ mi aiuterai a pagarne le spese.
Riuscì a tenere per sé quel pensiero e gli rispose con un meno opportunistico “Grazie. C’è una parte che sono particolarmente ansiosa di farti vedere.”
Finì la frase indicando con un cenno del capo il letto.
“Dici che dovrei dare un’occhiata? Ho come la sensazione che una visita guidata sarebbe la migliore soluzione.”
“Perché non ti metti comodo lì? Faccio un rapido passaggio in bagno per darmi una rinfrescata e ti raggiungo in un momento.”
Carter sorrise e andò verso il bordo del letto. Mentre si levava le scarpe e iniziava a sbottonarsi la camicia, Gabby si diresse verso il bagno che condivideva con l’amica. Accese la luce e gli lanciò un’ultima seducente occhiata prima di chiudersi la porta alle spalle.
Una volta entrata, andò dritta allo specchio. Prima di mettere mano ai trucchi, voleva darsi una controllata ai denti. Una rapida occhiata non rivelò niente di visibile. Prese una rapida sorsata di collutorio e se lo stava rigirando in bocca, pronta a dare una ripassata dall’effetto smokey-eyes che aveva sulle palpebre, quando notò un braccio che usciva inerme dalla vasca alle sue spalle.
Si voltò sorpresa. Non era da Claire fare un bagno a quell’ora della notte. Di solito si schiantava a letto appena tornava a casa, a volte senza neanche uscire dai vestiti che indossava. Se era distesa nella vasca con le luci spente, significava che era proprio distrutta.
Gabby si avvicinò in punta di piedi, pregando di dover solo gestire una coinquilina svenuta e non una vasca da bagno piena di vomito. Quando scrutò oltre il bordo della vasca, ciò che vide fu molto peggio.
Claire aveva ancora addosso la minigonna che si era messa per uscire quella sera. Era distesa a faccia in su nella vasca, con gli occhi vitrei aperti, ricoperta di sangue. Il volto era rigato di rosso e il sangue aveva formato un amalgama denso e gelatinoso tra i suoi capelli. C’era sangue dappertutto, ma sembrava provenire per lo più dalla sua gola, che era straziata da diverse profonde ferite da taglio.
Gabrielle rimase con gli occhi fissi e si rese conto di essersi messa a gridare solo quando Carter apparve accanto a lei, scuotendole le spalle e chiedendole cosa ci fosse che non andava. Un’occhiata alla vasca gli diede la risposta. L’uomo barcollò all’indietro scioccato, poi prese il telefono dalla tasca dei pantaloni.
“Vieni fuori di lì,” le disse, afferrandola per un polso e tirandola via dall’orrore che aveva davanti. “Vai a sederti sul letto. Chiamo il nove-uno-uno.”
Gabby smise di gridare, grata di avere delle istruzioni da seguire. Andò intontita verso il letto, dove si sedette fissando il pavimento, ma senza realmente vedere nulla. Di sfondo sentiva la voce di Carter, lontana e metallica.
“Devo segnalare un omicidio. C’è una donna morta nella vasca da bagno qui. Pare sia stata pugnalata.”
Gabby chiuse gli occhi, ma la cosa non le fu di aiuto. L’immagine di Claire, inerme e immobile nella vasca, pochi metri più in là, era impressa nella sua mente.