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CAPITOLO XXXIII

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Come el fructo d’alcuni altri è l’avarizia. E de’ mali che procedono da essa.

—Alcuni altri el fructo loro è di terra. Questi sonno e’ cupidi avari, e’ quali fanno come la talpa che sempre si notrica della terra infino a la morte; e gionti a la morte non hanno rimedio. Costoro con l’avarizia loro spregiano la mia larghezza, vendendo el tempo al proximo loro. Questi sonno gli usurai che diventano crudeli e robbatori del proximo, perché nella memoria loro non hanno el ricordamento della mia misericordia. Ché se essi l’avessero avuto, non sarebbero crudeli né verso di loro né verso del proximo: anco usarebbero pietá e misericordia a se medesimi, operando le virtú, e al proximo, sovenendolo caritativamente.

Oh quanti sonno e’ mali che per questo maladecto peccato vengono! Quanti omicidii e furti e rapine, con molti guadagni inliciti e crudeltá di morte e ingiustizia del proximo! Uccide l’anima e falla diventare schiava delle ricchezze, unde non si cura d’ observare i comandamenti miei. Costui non ama persona se non per propria utilitá.

Questo vizio procede da la superbia e notrica la superbia. L’uno procede da l’altro, perché porta sempre seco la propria reputazione, sí che subbito giogne ne l’altro vizio, e cosí va di male in peggio per la miserabile superbia, la quale è piena di pareri, ed è uno fuoco che sempre germina fummo di vanagloria e di vanitá di cuore, gloriandosi di quello che non è loro; ed è una radice che ha molti rami. El principale è la propria reputazione, unde esce il volere essere maggiore che ’l proximo suo, e parturisce il cuore ficto e none schiecto né liberale, ma doppio che mostra una in lingua e un’altra ha in cuore; e occulta la veritá, e dice la bugia per utilitá sua propria; e germina una invidia, la quale è uno vermine che sempre rode e non gli lassa avere bene del suo bene proprio né de l’altrui.

Come daranno questi iniqui, posti in tanta miseria, della sustanzia loro a’ povarelli, quando essi tolgono l’altrui? Come traranno la immonda anima della immondizia, quando essi ve la mectono? che alcuna volta sonno tanto animali che le figliuole e i congionti loro non riguardano, ma con essi caggiono in molta miseria. E nondimeno la mia misericordia gli sostiene, e non comando a la terra che gl’inghioctisca, acciò che si ravegano delle colpe loro. Come dunque daranno la vita per la salute de l’anime, quando non dánno la substanzia? come daranno la dileczione, quando essi si rodono per invidia?

Oh miserabili vizi, e’ quali aterrano il cielo de l’anima! «Cielo» la chiamo, perch’Io la feci cielo, dove Io abitavo per grazia celandomi dentro da lei, e facendo mansione per affecto d’amore. Ora s’è partita da me sí come adultera, amando sé e le creature e le cose create piú che me: anco di sé s’ha facto Dio, e me perseguita con molti e diversi peccati. E tucto questo fa perché non ripensa el benefizio del Sangue sparto con tanto fuoco d’amore.

Libro della divina dottrina: Dialogo della divina provvidenza

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