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CAPITOLO XXXVIII

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Di quattro principali tormenti de’ danpnati; a’ quali seguitano tucti gli altri e in singularitá della ladiezza del demonio.

—Figliuola, la lingua non è sufficiente a narrare la pena di queste tapinelle anime. Come sono tre principali vizi, cioè l’amore proprio di sé; unde esce il secondo, cioè la propria reputazione; e da la reputazione procede il terzo, cioè la superbia, con falsa ingiustizia e crudeltá e con altri immondi e iniqui peccati che doppo questi seguitano: cosí ti dico che ne lo ’nferno egli hanno quattro tormenti principali, a’ quali seguitano tucti gli altri tormenti.

El primo si è che si vegono privati della mia visione; el quale l’è tanta pena che, se possibile lo’ fusse, eleggerebbero piuttosto el fuoco e i crociati tormenti e vedere me che stare fuore delle pene e non vedermi. Questa pena lo’ rinfresca la seconda del vermine della coscienzia, el quale sempre rode, vedendosi privato di me e della conversazione degli angeli per loro difecto, e factisi degni della conversazione delle dimonia e visione loro. El quale vedere del dimonio (che è la terza pena) gli raddoppia ogni sua fadiga.

Unde, come nella visione di me e’ sancti sempre exultano, rinfrescandosi con allegrezza il fructo delle loro fadighe che essi hanno portate per me, con tanta abondanza d’amore e dispiacimento di loro medesimi; cosí, in contrario, questi tapinelli si rinfrescano ne’ tormenti nella visione delle dimonia, però che nel vedere loro cognoscono piú sé, cioè cognoscono che per loro difecto se ne sonno facti degni. E per questo modo il vermine piú rode, e non ristá mai el fuoco di questa coscienzia d’ardere.

Ancora l’è piú pena, perché ’l vegono nella propria figura sua, la quale è tanto orribile che non è cuore d’uomo che ’l potesse imaginare. E, se ben ti ricorda, sai che, mostrandolo a te nella forma sua in piccolo spazio di tempo (che sai che quasi fu uno punto), tu eleggevi, poi che tornasti a te, prima di volere andare per una strada di fuoco, se dovesse durare infino a l’ultimo dí del giudicio, e andare sopra esso, innanzi che vederlo piú. Con tucto questo che tu vedesti, anco non sai bene quanto egli è orribile; però che si mostra, per divina giustizia, piú orribile ne l’anima che è privata di me, e piú e meno secondo la gravezza delle colpe loro.

El quarto tormento si è il fuoco. Questo fuoco arde e non consuma, però che l’anima non si può consumare l’essere suo; e non è cosa materiale, la quale materia el fuoco la consumasse, però che ella è incorporea. Ma Io per divina giustizia ho permesso che ’l fuoco gli arda affliggitivamente, che gli affligge e non gli consuma. E affliggeli e ardeli con grandissime pene, in diversi modi, secondo la diversitá de’ peccati; chi piú e chi meno, secondo la gravezza della colpa.

Sopra questi quattro tormenti escono tucti quanti gli altri: con freddo e caldo e stridore di denti. Or cosí miserabilemente, doppo la riprensione che lo’ fu facta del giudicio e della ingiustizia nella vita loro, e non si corressero in questa prima riprensione, come decto è di sopra; e nella seconda, cioè nella morte, non volsero sperare né dolersi de l’offesa mia ma sí della pena loro; hanno ricevuto morte etterna.

Libro della divina dottrina: Dialogo della divina provvidenza

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