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CAPITOLO III.

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Festa da ballo in maschera.

Gli appartamenti della signora Guglielmi sfolgoravano per cento accesi doppieri. Le sale erano magnificamente addobbate; tappeti di soprafino lavoro inglese screziati a mille colori cuoprivano morbidissimi il pavimento; le suppellettili di squisito gusto dimostravano tutto il lusso e la galanteria di una dama francese. Numerosi tavolini da giuoco erano apparecchiati per i militari invalidi, per coloro che amavano più la fortuna che il ballo; in una parola, vi era laggiù tutto il comodo di rovinarsi nella salute e nella borsa. Così vanno le cose quaggiù e così sono andate di secolo in secolo e così andranno fino alla fine del mondo.

Le danze erano cominciate da qualche tempo, e noi, sorpassando alcuni salotti di danzanti, ci arresteremo un momento in una stanza parata di damasco celeste, dove, vicino ad un caminetto sul quale ardono legna odorose, sta un tavolino attorno a cui giuocano la signora Guglielmi, un uffiziale, un finanziere ed una mascherina elegante in dominò bianco sul cui cappuccio vedesi accuratamente cucita una camelia rossa uguale a quella che mirammo nel gabinetto privato di Rosina. Si giuoca di grosso, poichè è carnevale; lasciamoli fare.

—Ventuno a quadri, disse con garbatezza madama Guglielmi guardando senza tirarli a sè i sedici zecchini della partita; sarebbe forse la mia posta?

—Con perdono, madama, esclamò il finanziere; mi duole veramente, ma avendo or or succhiellato l'ultima carta, metto in tavola trentuno a picche.

—Mi rallegro con voi, replicò madama Guglielmi deponendo le sue carte sul tavolo; ho troppa fretta e spesso mi trovo delusa nelle mie speranze: ma adagio, signor finanziere, vi esorto a non cantar vittoria; imperocchè vedo quella mascherina la quale sotto la visiera forse forse riderà di noi, e sta per succhiellare la quarta carta. Aspettiamo la di lei decisione.

—È giusto, disse il signor uffiziale; io non ho punti da mostrare.—

E tutti e tre stavano a guardare il quarto giuocatore, che con tutto il sangue freddo possibile succhiellava la sua ultima carta. Estratta che l'ebbe, senza dir parola schierò sul tappeto le sue carte, mostrando col dito che davano per punto quarantanove a fiori.

—Ah! disse l'uffiziale, il 21 è stato eclissato dal 31, e questo dal 49.—

La mascherina non potè trattenere uno scroscio di risa mentre ritirò il denaro.

Il signor uffiziale prese ciò in mala parte e, dopo alcune partite, essendosi sciolto il giuoco, mentre stavasi per passare alla sala da ballo, fattosi presso a colei dal dominò bianco, gli susurrò all'orecchio:

—Mascherina, ho bisogno di dirvi una parola in quattr'occhi.

—Dove e quando volete, riprese il dominò bianco senza esitazione.

—Subito e nella sala del buffet, se vi piace.

—Volentierissimo.—

Ed entrambi si avviarono al luogo indicato. Giunti peraltro che furono in fondo ad un corridoio solitario, ove appena arrivavano i suoni dell'orchestra, la maschera riprese la parola e, soffermatasi,

—Signor Alfredo, disse, ciò che volete dirmi, potete dirmelo qui.—

Nella voce della mascherina vi era un certo non so che di alterato e di sardonico che non sfuggì al giovine, il quale sollecitamente:

—Alfredo diceste; mi conoscete voi?

—Temete forse di esser conosciuto? rispose la maschera ridendo.

—Io temere? Deggio forse arrossir del mio nome?

—Non credo, ma di qualche fatterello potrebbe pur darsi.

—È questo il secondo insulto che ricevo da voi; il primo per aver riso alle mie parole nel giuoco, l'altro investe la mia condotta e….

—Ci s'intende, avete diritto ad una sodisfazione; or bene, ed io son pronto a darvela: mi spetta la scelta delle armi.

—Sono indifferente.

—Prima per altro conviene che mi domandiate conto dell'esser mio; non potrei essere un plebeo indegno di misurarsi con un nobile paladino?

—Il vostro linguaggio, sebbene ironico, nol dimostra; ma in questo caso potrei far adoprare il bastone da' miei servitori.

—Semprechè io, con vostra buona grazia, avessi la volontà di farmi accarezzare le spalle da gente che puzza di cucina.

—Termine agli scherzi. Ditemi qual è l'arma che sceglierete e prima di tutto l'esser vostro.

—Adagio, adagio, signor mio: quanto all'arma, io sono nemico del sangue; compatitemi, non sono ufficiale: quanto all'arma, siccome è una cosa tutta mia, scelgo i dadi.

—Come i dadi?

—I dadi ed un bicchier di veleno; la cosa è comodissima. Voi vedete, signor uffiziale, che non vi è bisogno di padrini, non si fa chiasso: questa sera stessa, in mezzo ad una festa, ritirati in un salotto appartato, noi ci mettiamo tranquillamente a sedere su di un sofà; si ordina un punch e da me o da voi vi si versa una dose di veleno; nessuno se ne avvede, oh! al certo nessuno bada ai segreti che possono avere un uffiziale e una mascherina. Da uno dei tavolini prendiamo i dadi, ne gittiamo la sorte, chi perde ingola il punch, si asside sul sofà ed attende tranquillo, come fece Socrate, di passare all'altro mondo. Chi vince si allontana cantarellando un'arietta di Rossini e si reca alla sala delle danze.—

Il militare guardava stupefatto la mascherina; e con voce di meraviglia:

—Voi scherzate.

—Non scherzo mai, replicò questa ed alla voce soave che aveva usata fino a quel momento fe' succedere un accento grave e severo. Non scherzo, no, mai non ho scherzato al mondo, e molto meno lo farei con voi; ma se mai credeste in me viltà, mirate (e in così dire trasse dal dominò due pistole). Voi vedete, aggiunse riprendendo la solita vocina flebile, che io potrei fare uso delle armi da fuoco, potrei, rimettendo l'affar del duello a domani, eludere la vostra vigilanza, i vostri desiderii; ma no, le cose vanno fatte subito, o non mai.—

Alfredo non sapeva che dire, tanto il linguaggio della maschera lo sorprendeva altamente.

—Giovane capitano, la maschera continuò, ora che conoscete con qual'arme io intenda di battermi, sul che non mi potete contradire, è giusto che io vi dica il mio nome.—

Qualunque idea di straordinaria visione cessò in Alfredo alla curiosità di conoscere finalmente il suo bizzarro antagonista.

—Ebbene? proseguì.

—Ebbene, disse la maschera, sono pronto a sodisfarvi; ma prima permettetemi ancora due parole. Giovine ardente, continuò, ed è così che tu vai violando i giuramenti più sacri? Quella vita che tu hai consecrato al più santo scopo tu la cimenti per una risata da tutt'altro prodotta che dalla volontà di offenderti? cimenti la tua vita per voler sodisfazione da un incognito il quale ti parla di alcune tue debolezze forse chimeriche? È così che….

—Mascherina, interruppe il giovane impaziente e tutto caldo di sdegno, tu perdi un tempo prezioso.

—No, signor maestro, questo tempo non è prezioso perchè è tempo di danza; e tanto val consumarlo facendo sgambetti, quanto ciarlando, siccome facciamo noi; altra volta l'ho perduto con te un tempo prezioso.

—Con me?

—Sì, con te. Dimmi: se il veleno tocca a te?… Perchè, vedi, non ho bisogno di ricorrere allo speziale; questa è una boccetta (e trasse un astuccetto dalle vesti), questa è una boccetta che ne contiene tal dose da avvelenare non solo te ma quanti sono alla danza.—

Alfredo retrocedè come atterrito; fino a quel momento egli aveva creduto che il suo antagonista fosse uno di quei belli spiriti che s'introducono nelle danze e nelle società per motteggiare, e sperava che avrebbe terminato per chiedergli scusa e nulla più; ma il contegno della maschera diveniva sempre più freddamente minaccioso.

—Gran Dio! esclamò il giovine, chi siete voi che tranquillamente intervenite ad un festino, danzate e vi assidete al tavolino da giuoco con armi da fuoco ed il veleno in tasca?

—Io? lo saprai, proruppe in tono di confidenza e di sdegno il dominò bianco; lo saprai quando avrai risposto ad una sola interrogazione che sono per farti. Alfredo, la mezzanotte di domani radunerà tutti gli amici nelle catacombe di San Iacopo…. Tu sai di quali argomenti sarà trattato, e quanto interessi nei supremi momenti che ogni generoso amante della patria si trovi al notturno convegno.

—Che ascolto! E come sai tu tal segreto?

—Per me non vi hanno segreti ove il bene della patria lo richieda. Tu vedi in me un nemico generoso il quale non avrebbe duopo del duello per perderti, denunziando i tuoi obblighi, i tuoi progetti, le tue trame, i tuoi abboccamenti; ma no, la sfida è corsa, uno solo di noi andrà alla misteriosa adunanza.

—Ah! no, o maschera, o nume, o demonio, cessa deh! cessa, disse Alfredo; io rinunzio alla sfida, ad ogni progetto di vendetta, di particolare sodisfazione; sacro è il dovere di figlio della patria. Ben tu dicevi, la mia vita è venduta. Essa la comprò, ceda il mio orgoglio di fronte a tanto dovere: ti prego a scusarmi, o mascherina.

—Scusarti? Ci sarebbe forse un poco di viltà?—

I demagoghi

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