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CAPITOLO V.

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Vicende.

La nostra storia fa un passo retrogrado; ci è duopo ritornare indietro varii anni. In un piccolo villaggio sulla Dora una giovine abbigliata alla campagnola si affatica a trarre sulle deboli spalle un grave fascio di legna; la sua fisionomia è dolcissima, i suoi capelli sono biondi, il suo aspetto non par nulla quello di persona nata in un villaggio; le maniere poi contrastano coll'abito, siccome colle laboriose operazioni contrasta la gentile morbidezza e bianchezza delle sue mani. La giovinetta non solo è abbigliata da villica, ma le sue vesti di mezzalana sono assai logore, la rigida stagione di decembre aveva arrossato le sue guance, ed il freddo e qualche doloroso pensiero le aveva richiamato alcune stille di pianto sul viso.

—Ahimè! tu piangi sempre, mia buona mamma, aveva detto un fanciullino di circa sei anni che ella si teneva al fianco su per l'erta, il quale stavale appigliato al lembo della rustica sottana.

—Giannino mio, ho assai faticato quest'oggi, e queste sono stille di sudore: tu piuttosto sta' buono e non piangere; fra poco arriveremo alla capanna.

—Dio mio, quanto è lontana! sclamava il fanciullo mentre saliva appresso alla madre la scoscesa collina.

Ma la stanchezza della misera madre e del fanciullo sarà presto ben ristorata. Il loro dolore si muterà in allegrezza insperata, al loro giungere a quella capanna, da cui erano distanti un solo quarto di miglio: dalla parte opposta del villaggio era alfine ritornato colui che per essi era tutto. I due derelitti e tapini dovevano esser consolati dopo tanti anni di lacrime e di preghiere.

Non ebber tempo di vedere la cima del colle sul quale era posta la capanna, che un giovane uomo abbigliato signorilmente, decorato della insegna della Legione d'onore, si era precipitato verso i due che salivano contemporaneamente, abbracciando insieme e la donna e il fanciullo: avrebbe voluto recarsi in braccio l'uno e l'altra, Preso il ragazzo colla sinistra, e colla destra sorreggendo la cara metà del suo cuore,

—Ah! vi ho pur trovato, diceva stemprandosi in dolci lagrime di gioia.

—Sei tornato, sei tornato! siamo tanto poveri! sclamarono ambedue penetrati da un'indicibile commozione.

—Or siete ricchi: per noi è alfine ritornata la felicità; venite, deh! venite, teneri oggetti dell'amor mio.—

Il padre, la madre ed il figlio in breve ora furono alla capanna, nella quale non dimorarono che la sola notte: ma certo e madre e figlio più agiatamente delle precedenti, poichè il nuovo arrivato vi aveva fatto recare materassi e tappeti e le indispensabili suppellettili. All'indomane una comoda vettura trasportò i tre alla vicina città di Nizza, da dove ascesero in un naviglio che dovea trasportarli al luogo di loro nuova dimora.

Il signor Artini da giovanetto aveva militato in Francia e, ottenuto il suo congedo per le premure del signor di Brienne, di cui era parente la madre sua, era passato in Piemonte; colà si era invaghito di una giovane orfana, bella, virtuosa, ma priva di fortune e alle cui attrattive non aveva potuto resistere l'ex-uffiziale, che avevala condotta all'altare. La loro unione avvenne col massimo segreto; il giovane Artini doveva rispettare il contrario volere di uno zio, il quale, borioso di ricchezze e di tìtoli, avrebbe fulminato dell'ira sua lo sventurato nipote privo di beni dì fortuna, se questi avesse osato parlargli dell'affetto inspiratogli dalla leggiadra giovinetta.

L'uffiziale, che d'altronde non aveva potuto difendere il petto dallo strale del dio d'amore, il quale non rispetta nessuno e molto meno i giovani sensibili e militari, intesasela con un buon ecclesiastico, si sposò segretamente la fanciulla e con lei godette vari anni di completa felicità. Frutto di tale unione era stato il fanciullo che sentimmo nominare Giannino. Cresceva egli in bellezza e bontà nel più stretto ritiro di una villa posta non molto lungi dalla città, ove incognita stavasi la giovine coppia; quando, per una di quelle fatalità che spesso colpiscono le persone dabbene, venne a scoprirsi il nascondiglio del giovine Artini ed ii suo segreto matrimonio.

Artini, un tal dì uscito alla caccia, inseguendo un cinghiale, per disavventura in un momento di fretta, esplosa l'arme, ferì sebben leggermente un suo compagno di caccia. In quel subito, credutasi gravissima la ferita, fu quegli trasportato privo di sensi al domestico asilo dell'Artini; ed ognuno può imaginarsi lo spavento di lui, della sposa e del piccolo Giannino. In breve per altro dileguaronsi i loro timori, poichè sopravenuto il chirurgo, esaminando la ferita, la giudicò semplicissima, ed in quello stesso giorno feritore e ferito si assisero gaiamente alla medesima mensa. Quest'ultimo, giovane parigino, venne pregato di trattenersi colà fino a che non si fosse pienamente ristabilito in salute. Durante alcuni giorni l'ingenua madre di Giannino apprestógli tutte quelle cortesi e minute cure che vengono imposte dai sacri doveri dell'ospitalità. Costui, non potendo credere a tanta semplicità, osò pensare di aver suscitato un tenero sentimento nella giovane sposa, che, avvedutasi del troppo franco contegno di quell'ospite, non volle celarne gli arditi disegni al marito, il quale in un primo impeto dì sdegno si scagliò contro l'audace ed iniquo amico e lo costrinse a domandargli scusa e partire.

Non era anche scorso un mese da quell'accaduto che i due coniugi non vi pensavano più, quando una notte il buon Iago, servidore negro del signor Artini, penetrando improvvisamente nella camera degli sposi,

—Salvatevi, aveva loro gridato, salvatevi per la scala segreta; io condurrò vostra moglie ed il bimbo nel granaio, e voi, signor padrone, pigliate la via del giardino.

—E perchè mai? avevano chiesto i coniugi esterrefatti.

—Gente armata si avvicina al castello: un contadino che l'aveva scoperta al chiaro di luna è corso a gambe levate a porgermene avviso. Si dice che lo zio vostro, scoperto il segreto maritaggio, abbia ottenuto dai tribunali un ordine di cattura per voi e di reclusione in un monastero per la vostra consorte; si dice che sarà annullato il matrimonio.

—Ah giammai, giammai! esclamò il giovane Artini; venderò cara la mia vita; il principe mi ascolterà.—

Dare un balzo dal letto e vestirsi fu tutt'uno.

La giovane Amalia svenne.

Il buon Iago col soccorso della cameriera la fece avvolgere in un lenzuolo insieme col bambino che dormiva, traducendola nel granaio, in cui si penetrava per una botola.

Il signor Artini, che dapprima voleva far uso dell'armi, fu poscia persuaso esser migliore espediente fuggirsene alla capitale ed implorarvi l'aiuto delle leggi a suo vantaggio, onde far vano il progetto dell'iniquo suo zio.

Quando gli armati si presentarono, la casa fu trovata deserta.

Iago, dopo che nei dintorni cessò la mania di ciarlare in mille guise sull'avvenimento, per erti colli e cupe foreste condusse la padroncina ed il figlio su quella collina ove li abbiamo veduti, ed un tugurio servì loro di ricovero. Gli armati, nel desiderio d'impedire ai fuggitivi di valersi, quandochè ritornati, degli ori, degli argenti e delle gioie della villa, se ne impossessarono a nome del brutale zio. Ed Iago solo col ritratto dei suoi guadagni, per cui aveva un peculietto, provvide al sostentamento proprio e delle care creature, sperando di giorno in giorno che il padrone, ottenuta giustizia, sarebbe ritornato alla casetta di campagna, dove aveva lasciato il fedel contadino depositario del segreto nascondiglio di Amalia e di Giovanni. Ma passarono giorni, passarono anni, e il signor Artini non si vide; e d'altronde Iago credeva pericoloso il farne ricerca a motivo della potenza dello zio del padrone che poteva riuscir fatale ai suoi cari protetti.

La giovine Amalia si era abituata, dirò, alla vita rozza della povera campagnuola; faceva da gran tempo le faccenduole di casa, andava a provvedere il vitto traendosi dietro Giannino al vicino villaggio, poichè un giorno anche Iago, partito per la capitale, non era più ritornato. Dall'epoca in cui Amalia rimase sola col suo bambino, a lei toccava girsene al vicino bosco per le legna, a lei a coltivare un meschino orticello, a filare e vendere la filatura al mercato: e siccome la piccola somma portata dalla casa cominciava ad essere sugli ultimi, ella si vedeva sull'orlo dell'abisso e della miseria. L'infelice non tanto piangeva per sè, quanto per il marito e pel figlio: pel marito, di cui ormai non credeva ricevere altre novelle che della morte; pel figlio, che, pieno d'intelligenza e di amore, andava ad entrare nel più doloroso avvenire, ed i primi atti della sua tenera mano avrebbero dovuto esser quelli dello stenderla accattando limosina. Tale era la trista ed orribile posizione di Amalia quando noi la vedemmo insieme col bambino salire l'erta della capanna al principio di questo capitolo e quando miracolosamente e ormai contro ogni speranza ella aveva veduto arrivare l'adorato consorte.

Non dobbiamo nè possiamo tacere che, durante la separazione del marito dalla moglie, del padre dal figlio, il piccolo Giovanni, di focoso temperamento, di precoce intelletto aveva voluto apprendere la storia della propria sventura. Sensibilissimo e fiero, egli si era formata un'idea sinistra di tutti quegli uomini che la fortuna pone in una classe elevata. Abituato a conversare coi miseri fanciulli del villaggio subalpino, si era già affezionato ai costumi popolari, alle persone che soffrono, costrette a guadagnarsi la vita col sudore della fronte. Il rapido mutamento di sorte lo imbarazzava, e, toltone il dolore che avrebbe avuto di tornare ad essere privo del padre, il suo cuoricino batteva sempre di affetto per le rupi selvagge testè abbandonate. Ma intanto la nave, solcato il Mediterraneo, si avvicinava per l'oceano alle ospitali rive dell'America, facendo vela per le Antille, ove il nostro giovane erede del defunto zio era divenuto uno dei più ricchi possessori e coloni. Colà egli aveva divisato condurre la sua tenera Amalia ed il caro Giannino; l'Europa eragli divenuta un tristo soggiorno, tanto erano state le sventure che vi aveva provate; ei credeva che il nuovo mondo potesse aprirgli una carriera di novelle felicità. Sentiva il bisogno di respirare aura più libera, di svincolarsi da quei sociali impacci del costume europeo.

Il clima tropicale della Guadalupa sarebbe stato eziandio giovevole alla defatigata salute di Amalia. Il suo fanciullo colà avrebbe potuto maggiormente sviluppare le sue belle e robuste forme, inspirarsi a quelle vergini contrade, vivere la vita libera in mezzo ai semplici costumi di quei fortunati isolani. Non s'ingannava il signor Artini; giunta che fu la nave nella baia della tenuta di sua spettanza, un buon numero di negri, di cui era proprietario, lo attendeva alla riva per festeggiare l'arrivo di quell'amabil padrone che li volea far liberi. Il piccolo Giovanni, al vedere tanti uomini neri, aveva esclamato:—Oh quanti Iaghi! ma il mio Iago dov'è?—Nè aveva potuto ripetere la frase, che si trovò nelle braccia del vecchio negro, il quale, stemperandosi in lacrime di tenerezza, nel linguaggio natìo additava ai compagni la cara persona del loro padroncino. Non sì tosto i coniugi si trovarono fermi nel loro nuovo soggiorno, il signor Artini dichiarò liberi tutti i suoi schiavi.

—Lungi, lungi da me, aveva esclamato in uno de' suoi più bei giorni, lungi da me anco l'ombra del servaggio. La vecchia Europa serbi tal nome; io voglio bandirla anche dal mio frasario.—

Invano potrebbe esprimersi la gioia di quei miseri, i quali idearono una festa di cui mai non aveva veduta l'eguale quella estrema regione del mondo.

La sera medesima di quella festa, la giovane Amalia nel colmo dell'allegrezza riceveva le congratulazioni delle sue conoscenti; sentiva dal suo letto gli evviva replicati degli Indiani quasi pazzi dall'allegrezza: ella aveva dato alla luce Esmeralda.

Esmeralda fu levata al sacro fonte dal governatore della Guadalupa; tutti i navigli francesi ed esteri ancorati nel porto fecero intendere una salva delle loro artiglierie; il tamburo prolungò il suo rullo, e militari sinfonie alternarono per tutta la notte le più soavi melodie; la notte stessa era stata una delle più belle sotto l'infuocato cielo dei tropici. Nella cerimonia del battesimo il signor Artini, a riguardo della neonata, avea voluto che si ripetessero ad alta voce i suoi titoli di nobiltà statigli testè conferiti dalla Francia e di cui già era stata fatta menzione nell'atto civile della nascita della bambina, «Esmeralda, Clementina, Zaira, Sofia, aveva scritto il buon paroco, figlia del nobile signor cavaliere conte Adolfo Artini e della signora Amalia De-Chouet sua legittima consorte, è nata il 21 marzo l'anno 1805, alle due pomeridiane; tennela al sacro fonte il signor barone De-Guiche governatore della Guadalupa.»

—Ah! ah! aveva esclamato Giovanni all'età di due lustri, assai motteggiatore e molto più avverso al fasto, voglio domandare al buon Iago se, al mio nascere, baroni mi tennero al fonte, e se mio padre era un'eccellenza; in questo caso mi faccio registrare di nuovo, non essendovi cosa che maggiormente mi disgusti quanto i titoli e la nobiltà: non per questo amerò meno questa bimba, che anzi sarà la mia prediletta.—

Passavano intanto gli anni. Il vago appartamento dei signori Artini; che si estendeva in riva al mare, era circondato di giardini e boschi dove a migliaia si vedevano uccelli variopinti e dorati, e quadrupedi di mille specie. Il placido mare si ripiegava in seno a piccolo golfo che faceva l'isola proprio dirimpetto al palazzo; quel sito era stato fatto lastricare di marmo e presentava ai nostri avventurosi abitatori tutto il comodo di sollazzarsi alla pesca. Il nostro Giovanni, mentre per le cure del paroco diveniva scienziato ed uomo di liberi sentimenti, per le cure del padre era divenuto un instancabile pescatore, un robusto nuotatore, un cacciatore famoso. Ancora imberbe, armato or del fucile degli Europei, or dell'arco degl'Indiani, aveva atterrate delle bestie feroci e l'avvoltoio delle montagne. Munito a guerra un piccolo naviglio, si fece a percorrere i mari delle Antille ed a sedici anni era divenuto un esperto navigatore in quell'arcipelago. Una volta fu veduto ritornare dopo un'assenza di quindici giorni menando seco due poveri negri di sesso diverso.

—Gli hai tu acquistati? domandò il padre a Giovanni.

—Non compro i miei simili, aveva replicato il giovanetto; li ho salvati dall'ira del loro padrone che voleva disgiungerli a forza, ed essi si amano appassionatamente; è questo forse un delitto da meritar loro la pena delle verghe? Sono belli e buoni.—

Ciò dicendo presentolli a sua madre.

I due negri si sposarono e, dichiarati liberi come gli altri, andarono a lavorare nella vasta tenuta dei signori Artini.

—Ma se il padrone tornasse a riprenderli? avevasi fatto osservare a

Giovanni.

—Oh! non vi è pericolo, aveva questi replicato; colui ha ben altro da pensare.

—E come il sai tu?

—Nel mondo dove ei si trova dee pensar a scontare i propri peccati.

—Sciagurato! riprese con sdegno il padre, osasti violare l'altrui proprietà e commettere un omicidio?

—Mi credereste voi capace di disonorare il vostro nome? rispose sorridendo il giovinetto; quindi aggiunse: l'uomo generoso e libero è fatto per difendere i suoi simili, gli oppressi contro gli oppressori; l'uccidere per difendersi è dovere. Lo sfacciato mercante di carne umana ardì mirarmi col suo fucile; uno strale che li cacciai nel petto impedì la mia morte. Ecco il fatto.—

Così la pensava e così agiva il giovinetto all'età di sedici anni. La tenera madre palpitava sempre per lui. Il padre invece inorgogliva alle ardite prodezze del figlio.

I negri dell'isola lo benedicevano e lo adoravano siccome un nume protettore.

Una sera in cui, placidamente seduta sotto un pergolato di ribes, la famiglia aveva frugalmente cenato con la cacciagione del giorno e coi frutti saporitissimi del giardino, cadde discorso sull'Europa.

—Io mi son sempre trattenuto, disse Giovanni, dal parlarvi di cotesta Europa, di cui serbo dolorose rimembranze; imperocchè quel guasto mondo mi è sempre parso coperto dalla nera caligine che esalano i suoi vizi.

—Ah! figlio, io non nego che gli uomini di cotesto luogo sieno peggiori di quelli d'America, ma iniqui ve ne sono dappertutto.

—Isolatamente ne convengo, ma qui la perfidia è un'eccezione, colà è una regola; il cuore mel dice, la naturale antipatia me ne accerta, i libri della vostra biblioteca me ne ammaestrano infallibilmente.

—E che ne concludi? riprese il padre facendogli una carezza.

—Ne concludo che, se potrò, non ritornerò colà; ma se il destino della mia vita mi obbligasse a calcare nuovamente la terra che mi vide nascere, giuro di apparirvi come un angiolo vendicatore, come un genio benefico che la libererà dalle sue sventure.—

La mente fervida e precoce del giovanetto sviluppavasi a meraviglia, ed il corpo ne seguiva gli impulsi.

Il bravo governatore lo educava ai militari esercizi, il sole ardente delle Antille gli abbruciava il cuore; ei si sentiva come padrone di un'epoca.

—Ma, soggiunse un bel dì alla madre, i vostri patimenti, o madre, formano la più mesta reminiscenza dei miei primi anni; io ne serberò incancellabile la memoria. Io sento, sì, sento in me la pietà, la compassione propria dei nostri Indiani, ma sento altresì la ferocia di essi; quella compassione la serberò per i poveri, come eravamo io e voi quando il babbo ci raggiunse allora che io nel fitto inverno mi reggeva alla vostra lacera gonna per salire alla capanna e soffriva nel vedervi piangere e sudare sotto il peso delle legna che portavate per scaldarci. Ma la ferocia io la serberò contro quelle classi privilegiate che si pascono del sangue e del sudore dei poveri e a cui apparteneva quell'uomo che ci cagionò tanti affanni. Esso è morto; però ne esistono tanti eguali, madre mia. Ma… a proposito, continuò, mio padre debbe avervi narrata la storia delle sue sventure durante la sua assenza: e che? io dunque non debbo saperne nulla?

—A che vantaggio rinnovare la memoria di un fatto che è già registrato nel passato?

—A che pro, madre mia? Perchè sappia in qual modo coloro che avrebbero dovuto giovare ai miseri ardissero calpestare i più sacri doveri.

—No, figlio mio, le aveva detto l'Amalia; i mali che gli altri ci hanno fatto soffrire bisogna dimenticarli e lasciarne la vendetta a Dio.

—Egli si serve spesso del braccio degli uomini per compierla; chi sa che non voglia servirsi del mio?—

La tenera madre sforzossi di calmar l'ardore del figlio, ed egli non fece più parola intorno a tale materia; ma scelta l'occasione in cui i suoi genitori eransi recati per diporto all'isola di San Domingo, avuto a sè il vecchio Iago,

—Dimmi: che cosa successe a mio padre quando io bambino rimasi colla mamma alla capanna delle Alpi?

—La storia è breve ma dolorosa, riprese il negro: fuggito che fu vostro padre dalla parte del giardino della sua villa, già si appressava travestito alla capitale per far valere i suoi diritti, quando, incontratosi sventuratamente nel perfido amico cagione di tutti i suoi mali, non fu più padrone di sè stesso, e dopo aspre parole, snudate le spade, si batterono in quel luogo medesimo, e l'amico traditore espiò colla vita il nero suo tradimento. Il padre vostro, gravemente ferito e privo di sensi, venne da persone che il conoscevano e che ignoravano le discordie fra esso e lo zio trasportato al palazzo dello zio medesimo, il quale, nascondendo la gioia di quell'avvenimento, sembrò preoccupato da incidibil dolore, ed accarezzando il quasi esanime nipote, dette palesi ordini acciò fosse curato in un dei più sontuosi appartamenti del palazzo.

—E che avvenne poi? aggiunse il giovanetto impaziente.

—Il vostro misero genitore, appena ricuperati i sensi, si trovò in uno dei sotterranei dei palazzo destinatogli per carcere; ivi languì vari anni, e poichè ben poche persone avevano veduto il giovane uffiziale esser trasportato presso lo zio, fu a costui facile sparger voce che egli si era allontanato per correr dietro alla sua amante. Quel vecchio tiranno, irato del non poter discoprire il rifugio di voi e di vostra madre, inveiva sempre più nei mali trattamenti verso il padre vostro, e per colmo di barbarie avevagli dato a intendere essere ambedue voi periti nella fuga.

—Infame!

—Sei mesi prima che il mio adorato padrone giungesse a ricuperare la libertà io arrivai a scoprire ch'egli gemeva prigione del barbaro zio. Giurai di salvarlo o di morire e, sotto le mentite spoglie di povero, mi riuscì di penetrare nel palazzo del vostro indegno parente. Ma ahimè! il colore del mio volto mi tradì, per modo che venni rinchiuso nel medesimo sotterraneo.

—Gran Dio!

—Fu certamente gran conforto al vostro misero genitore la mia presenza: e rapprendere che voi e l'Amalia eravate in vita e al sicuro dalle trame dell'iniquo. I giorni passavano in mesti ragionari ed in copiose lacrime, pensando a voi misero fanciullino ed alla madre vostra. Inutilmente desiderammo di farvi pervenire nostre nuove. Di chi mai avremmo potuto fidarci? Avrebbe forse il barbaro oppressore risparmiata la vostra tenera età? Si sarebbe egli lasciato piegare dal sesso e dalla beltà dell'infelice madre vostra, o non piuttosto avrebbe ad altre due infelici creature fatti provare i più rigorosi tormenti? Invano tentammo di fuggire; troppe erano le guardie ed i satelliti di quel vile per eludere la loro vigilanza.

—Dio però….

—Si, Dio venne in aiuto degli oppressi. Un mattino nella cui precedente notte avevamo sentito forti strepiti e confusione nelle stanze superiori del palazzo come se una quantità straordinaria di persone andassero e venissero, vedemmo discendere nella nostra carcere un venerabile ecclesiastico. Costui, nel vedere il nostro squallore e la nostra miseria, colpito da grande e dolorosa meraviglia, ci fece soccorrere: morbido letto fu a noi apprestato, cibi delicati che ci rimettessero in forze; ma più di tutto riuscì a renderci gagliardi la nuova che l'iniquo persecutore era in quella notte morto di apoplessia e il desiderio vivissimo di partire per la capanna ove eravate rifugiati. Il resto voi lo sapete.—

Durante il racconto del negro, il giovanetto portò più volte la mano al cuore ed all'elsa di un pugnale elegantemente lavorato che, secondo il costume degl'Indiani, teneva al fianco. Alfine, dopo lungo represso sfogo, gli caddero abbondanti lacrime, e,

—Se tali avvenimenti fossero accaduti fra voi selvaggi?… dimandò.

—Ah! rispose Iago, fra i selvaggi tali mostri non hanno esistito giammai.

—Ma colui lasciò parenti? esclamò il giovane con ira feroce.

—Non altri che il padre vostro. Egli peraltro, non potendolo in tutto privare delle avite sostanze, s'ingegnò di toglierne gran parte, che fe' passare ai ricchi suoi amici.—

Il giovanetto meditò alquanto, quindi, snudando il pugnale,

—Vendetta, gridò, vendetta contro tutti i ricchi, contro tutti gli oppressori! Giuro di mantener la promessa.—

I demagoghi

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