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CAPITOLO IV.

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Fratello e sorella.

La dimane della festa la maggior parte di coloro che vi figurarono dormiva tranquillamente; e poichè aveva fatto di notte giorno, era naturale che facesse di giorno notte. Fra i dormienti era la signora Guglielmi; ma non così riposavano i due figli di lei.

Rosina, dopo le parole ricevute dall'amante, che, misteriosamente continuando nell'incognito, voleva non solo amore ma obbedienza dalla fanciulla, si era ritirata dalla sala della festa con dichiarare un incomodo prima che quella fosse giunta al suo termine.

Rientrata nelle sue stanze e rinchiusasi nel suo segreto gabinetto, posò sul tavolino la camelia rossa; ed abbandonatasi sopra una larga sedia a bracciuoli, incominciò a riandare con somma cura tutte le frasi, le parole, i gesti pur anco del colloquio avuto col suo amatore, colloquio di cui noi intendemmo una parte nel passato capitolo. Ella capiva benissimo dover argomentare che il giovane appassionato altro esser non doveva che un fanatico avventuriero, ma non capiva il perchè una forza prepotente legasse ai costui voleri lei, donzella tutta calma, tutta dolcezza! Dagli ultimi discorsi dell'incognito non poteva porsi in dubbio avere egli in mira un qualche passo audace, fatale e tremendo. Ora egli, non contento dell'amore di una fanciulla da lui adorata, voleva farla partecipe de' suoi fini: ma questo non era un chiamarla complice dell'atto pericoloso e forse temerario? Un convegno di notte in luogo remoto cui ella era invitata a comparire in abito mentito e guerresco ben le diceva di qual genere di abboccamento si trattasse; e, certo, abboccamento di amore esser non poteva quello, imperocchè il fratello di lei doveva pur prendervi parte. Ma i legami misteriosi che chiaramente appariva avere l'incognito col fratello di lei come s'eran formati? di quale specie erano essi? Dunque anche Alfredo dipendeva ciecamente dal volere di quell'uomo straordinario? fratello e sorella si trovavano come incatenati alla ferrea di lui volontà: e fratello e sorella fra loro non si erano detta una sola parola in proposito!

Rosina mesceva a queste riflessioni qualche lacrima che involontaria le cadeva dal ciglio: le parea di essere assolutamente come rinchiusa in un cerchio incantato di un negromante dal quale non poteva uscire. Ripensò al primo momento in cui nel più remoto del passeggio, sulla riva del mare, in compagnia della fida Mary, ella (terminava appunto l'anno) aveva per la prima volta veduto quell'uomo straordinario lanciarsi arditamente nei flutti in burrasca e salvare una misera fanciulla cadutavi: onde ella pure, accorsa sul luogo, aveva prestato qualche soccorso alla giovane uscita miracolosamente dalle acque, e così si era formato un gruppo fra lei, la cameriera, la fanciulletta e quell'uomo misterioso. Ricordava quali affettuose parole quell'uomo le avesse rispettosamente dette, e quali fatidiche e strane espressioni avesse usato nel pregarla di accettare un fiore (cioè una camelia rossa), dicendole che, come essa fosse appassita, ne avrebbe rinnovato il dono. Al che la stessa Rosina avendo replicato non potere accettare, egli risposto avevale: «Signorina, io non vi sono straniero quanto forse credete; il mio dono è innocente e l'offro all'innocenza; esso sarà non una memoria di me, ma una memoria del salvamento di questa ragazzetta, la quale affido alla vostra protezione.» Che ella allora aveva preso il fiore e, veduto partire lo straniero (che nell'allontanarsi le disse: «Signora Rosina, ci sono degli esseri che, una volta incontratisi in questo mondo, non possono più vivere estranei fra loro», si era sentita come scorrere un gelo nelle vene e penetrare di un sentimento fin a quel tempo non mai sentito.

Ricordava come spesso la fanciulletta salvata, che, essendo della plebe, veniva da lei a ricevere qualche beneficenza, le parlava del suo salvatore con tenero sentimento di gratitudine, e che a tali elogi essa, Rosina, provava una sodisfazione interna come se riguardanti una persona a lei cara ed appartenente, mentre peraltro trattava sè stessa da bambina nel dar peso ad un incontro galante e nulla più ed alle bizzarre parole di uno sconosciuto, il quale probabilmente non pensava più a lei. È vero che la camelia prima era appassita da gran tempo, ed il giovane straniero non aveva rinnovato il dono o il ricordo; ma essa aveva poi veduto avverarsi le fatte promesse, poichè, la sera in cui cadeva l'anniversario del loro primo colloquio, appunto un'altra camelia rossa era stata posta nell'appartamento, e in quella sera aveva riveduto colui il quale si era, dirò, con magico portento impadronito del suo cuore e della sua volontà. Tali erano le ricordanze di Rosina: ed ella vi pensava e ripensava da un pezzo, non potendo peraltro spiegare fra gli altri misteri il come ei possedesse una miniatura del padre.

Rosina, meditando, non sapeva a quale partito appigliarsi: aveva ella accettato l'invito misterioso per la vegnente notte? No; poichè non aveva risposto, ed il suo stesso amante si era allontanato. Doveva ella mancarvi? questo era uno spinoso quesito da sciogliersi. Se essa andava, avrebbe finalmente saputo almeno il nome, la condizione, i disegni di quell'ente portentoso e stravagante, e forse appreso il mistero della sua gita, degli stessi suoi travestimenti, poichè certamente la prima volta in cui lo aveva veduto non aveva che biondi capelli e viso pallido ed imberbe, la seconda aveva la chioma e la barba nera. Non andando ella al convegno, ci sarebbe andato certamente il fratello; ed essa, tenera sorella, come avrebbe potuto starsene quieta sull'esito di quel misterioso e strano abboccamento?

Rosina non ignorava che a quell'epoca la penisola aveva molte sette di giovani arditi che intenti a cospirare passavano i giorni; la sua saviezza ed una perspicacia eccellente le dicevano pur troppo doversi trattare di cosa simile, ragione di più per temere. In tali pensieri ella aveva trascorso buon tempo e non sapeva a qual partito appigliarsi. Parlarne alla madre? Buon Dio! è vero che le figlie tutto dovrebbero dire alle madri, alle madri però affettuose, alle vere madri di famiglia; ma a quelle madri che stanno in sussiego, che di tutto si occupano fuori che della vigilanza sulle figlie, le madri galanti in età matura, se le figlie non si azzardano, non saprei del tutto condannarle. Dirlo alla cameriera? A qual pro? la cameriera, secondo il solito, non ha altra volontà che quella della padroncina; e se mai differisce dall'opinione, dove sono le cameriere tanto coraggiose da dire la verità? Dunque era certa che la Mary non le avrebbe dato consiglio, o forse glielo avrebbe dato più pericoloso di quello che potesse prendere da sè stessa. Dirlo al fratello? Eh! sicuro che della faccenda della gita notturna e del travestimento avrebbe pur dovuto parlargliene; ma certo però, era da imaginarselo, avrebbe anzi costretto la sorella ad andarsene all'appuntamento.

In una parola, la giovinetta si trovava in una situazione la più imbarazzante, la più critica. Povera Rosina! tanto bella, tanto buona, tanto virtuosa, e già sotto l'influenza di un malefico genio, già immersa nei dispiaceri! Eppure quante e quante fanciulle che leggeranno questo volume avranno a trovarsi o trovate si saranno in eguale imbarazzo, quello cioè di essere innamorate e non poterlo dire ai genitori! Noi poi coll'autorità di scrittore le consigliamo a vincere questa renitenza, poichè migliori amici non possono trovarsi di essi.

Il cielo peraltro (cui nelle sue angosce si raccomandava) non tardò ad inviarle un soccorso: questo fu altrettanto inaspettato quanto caro. Giaceva travagliata la giovane, quando ecco verso le undici del mattino udì bussare leggermente all'uscio del gabinetto. Ella aprì.

—Oh Gesù mio! signorina, esclamò Mary, ma che? non siete anche andata a letto? Siete tuttavia abbigliata da festa?

—Non ne sentiva il bisogno, rispose Rosina, mi sono leggermente addormentata sulla poltrona; ma hai fatto bene, a venire a trovarmi: aiutami a spogliarmi, prenderò qualche ora di sonno fino al pranzo. —E volete stare digiuna fino alle quattro? riprese Mary, lo stomaco ci patisce, signorina; ma a proposito, vi è una ragione per far colazione: a momenti verranno a farla in vostra compagnia.

—Non voglio alcuno nel mio appartamento, soggiunse Rosina; dite a chiunque sia che io dormo.

—Farò come vi aggrada; ma il vecchio padre abate Gonsalvo….

—Il padre abate? sclamò Rosina con vivacità come se un lampo di speranza venisse a consolarla.

—Sì, signora, il savio dei vallombrosani del monastero, che vi ha tenuta a battesimo e, come sapete, vi ama qual figliuola.

—Fallo passare, rispose Rosina; ma poi, risovvenendole dell'abbigliamento da festa di ballo, continuò: No, fallo trattenere un momento nel salotto, ripetigli le mie scuse; in cinque minuti metterò giù queste vesti capricciose per indossare quelle più semplici e a me solite.

—Volete ch'io v'aiuti? disse Mary.

—No, no, replicò Rosina: tieni un momento compagnia al buon monaco e, quando senti sonare il campanello, lo farai entrare.—

Mary si allontanò assentendo col capo, e Rosina si accinse a ricevere il vecchio religioso.

Non molto diversa dalla situazione di Rosina era quella di Alfredo suo fratello. L'ufficiale, terminata la festa, lungi dall'entrare nella propria camera, aveva incessantemente tenuto d'occhio le maschere col domino bianco e la camelia rossa, nella speranza d'imbattersi nuovamente nella capricciosa Esmeralda; ma alfine, avendo veduto allontanarsi a gruppi le maschere stesse ed uscire dalla festa, deposto il pensiero di vedere l'amante prima di sera, si era deciso di uscire piuttosto che serrarsi in camera, nella quale era certo che, a malgrado della veglia della notte, non avrebbe potuto prendere sonno. Avvezzo ai militari disagi, non temeva al certo la rigida stagione di mattina, ed anzi era certo che un bicchiere di rhum ed un eccellente sigaro di Avana gli avrebbero fatto obliare il sonno che andava a perdere.

Preso adunque il mantello, acceso un sigaro, uscì prendendo la via lungo il mare allora detta dei Mulinacci; pensieroso costeggiava i flutti, e l'imagine di Esmeralda incalzavalo incessantemente. Possibile, dicea fra sè, possibile ch'io, giovane e di cuor generoso…, mi sia lasciato sedurre da colei? sì, colei… questo è il miglior modo d'indicare l'incomprensibile persona. La mia amante!.. ma, gran Dio, posso io qualificarla come amante? non mi vergogno io? sì, l'amo e appassionatamente l'amo, ma i suoi costumi…. Ahimè! essa di donna non ha che la bellezza, bellezza angelica ed unica al mondo. Ma poi con chi vive?… ciò mi fa orrore… eppure non posso staccarmi da lei; pure ha una bontà, una virtù… qual può mai essere la virtù della orgogliosa Esmeralda? L'amor patrio, tenace, vero; ma ma quest'amor patrio sarà egli sincero? Non è possibile che miri al secondo fine d'inalzarsi? Ah! no, essa non lo desidera, no; e se il volesse, non starebbe che in lei a divenire la donna più famosa del mondo. La sua voce non è ella tale da formare l'ammirazione dell'Europa? Le sue cognizioni letterarie, quelle di musica, di belle arti non la renderebbero l'idolo dell'universo? Non potrebbe ella circondarsi dei più brillanti corteggi? erigersi un trono su tutti i cuori? Ma no; libera di costumi, ella sdegna il cuore d'un mondo intiero, perchè si contenta del mio, anzi facciamo, da ragazzi, a chi è più geloso. Ma ahimè a qual duro prezzo posseggo io quell'angelica persona! a qual prezzo! Ne abbrividisco: doverla vedere quasi tuttodì nella più abbietta dimora del popolaccio, circondata da femmine perdute, in mezzo alle orgie dei marinai e degli artieri, nelle bische di giuoco, nelle osterie, vestita ora da uomo ora da donna del volgo, sentirla ridere alle sfacciate e stolte parole di coloro presso cui frequenta e applaudire alle loro bestemmie! Ella così perfetta, così amabile giovane! eppure, ecco le sue continue parole. «Alfredo, io non sono di sangue nobile: lasciami coi pari miei; un giorno o l'altro io dovrò dirti: Va, va, Alfredo, con le sentimentali tue damigelle; io posso avere quanti amanti voglio, e vattene con Dio.» Ed io? figlio di un prode guerriero, non posso distaccarmi dal cerchio magico di questa amabile fata!

Ma che? tutto questo è poco. Quel suo incomprensibile fratello cui ho dovuto giurare obbedienza! io soldato giurare obbedienza e cieca obbedienza a colui? Ahimè! l'ho giurato e bisognava giurarlo. Ho ancora presente quella terribil notte in cui, ammaliato dal fascino delle potenti attrattive di Esmeralda, io la seguitai per tutti i più luridi vicoli della Venezia nuova; or compie l'anno da quella notte tremenda. Ella parea prendersi giuoco di me: finalmente ecco che bussa ad una porta orizzontale alla via, urtandovi replicatamente col piede; io mi arresto, ella mi guarda.

«Hai tu paura di me, giovinotto?» mi disse. Io sorrisi e non risposi; la botola si aperse, ma ella trattenendosi anco un istante pria di scendere: «Addio, dunque, addio: non valeva la pena di seguitarmi per lasciarmi così.»

Non permisi che proseguisse, ma con uno slancio di che conservo memoria fui accanto a lei nella tenebrosa scala della botola: scendemmo alla vista di coloro che stavano dirò ammonticchiati nella fetida stanza, dove non si vedeva che a pena a causa del fumo dei sigari e del camino, ove non si respirava perchè niuna finestra metteva in quell'antro. Mio primo pensiero fu di retrocedere; ma ella mi prese pel braccio e «Ho fatto preda», esclamò con gioia infantile, gettando su d'una sedia lo scialletto che le copriva il seno.

«Brava! urlarono insieme coloro che abitavano quella spelonca; uccelli con queste penne mai non vedemmo entrare nella gabbia dei Tre Mori.»

E così dicendo mi si affollarono attorno per toccarmi con villana curiosità l'uniforme. Io fui per snudare la spada, tanto l'ira mi accese.

«Zitti là, temerari, esclamò la fanciulla, il cui viso era raggiante di beltà. Zitti, questo signore è mio sposo.

«Tuo sposo?… Oh graziosa! e da quando in qua ti sei fatta sposa, o

Esmeralda?

«Da un anno, da un secolo, da quando mi pare. Giovane, amante della libertà, io ne seguo le leggi: ho scelto e basta.

«Ha ragione la piccina», urlarono quasi tutti e dall'ammirazione si fecero ad accarezzarmi con le mani ruvide, callose e sporche.

Non potei trattenere lo sdegno: snudai la spada sino alla fine del fodero, ma in quell'istante dieci pugnali scintillarono ai miei occhi; io mi giudicai perduto. Esmeralda trasse il suo, e fu per vibrarlo nel petto di quello dei bevitori che mi stava più vicino.

«Ah! esclamò costui, quando minacci è un'altra cosa. Orsù statti in pace col tuo ganzo; ma lévati di qui, perchè tenerume non ne vogliamo.»

Anche gli altri riposero i loro pugnali nel fodero, ed io mi sentii dolcemente tirare per la veste ed introdurre in una camera; era quella di Esmeralda. Là io doveva divenir preda del fratello e della sorella.

Questo monologo, che noi per intiero abbiamo riferito, venne fatto da Alfredo in lungo spazio di tempo ed interrottamente, ora nel fermarsi lungo la solitaria via per accendere o spuntare i sigari, ora dopo essersi qualche tempo riposato sugli scogli che fiancheggiano il mare.

La mattina, per esser d'inverno, era bellissima; un venticello leggiero leggiero increspava le onde dalla parte di tramontana, il qual vento non toglie loro quella graziosa tinta cerulea nel mare Tirreno. Si vedevano i flutti spumare su piccoli scogli e quella bianca spuma adagio adagio venire a perdersi alla riva. Il cielo era sereno ed il sole già sorto dalle colline della Valle benedetta, posta ad oriente dal luogo ove il nostro Alfredo si sfogava fra sè stesso. Alfine, uscendo dalla dolorosa meditazione, tratto l'orologio,

—Le otto? sclamò. È duopo che io mi decida; questa volta colui che impera a me non otterrà che per metà il suo intento. Sì, io avrò forza di resistere a tutti i suoi argomenti, a tutte le sue minacce. E proferì queste parole con tono piuttosto alto.

—E che farai tu? riprese una voce a lui ben cognita, mentre ei sentì persona che leggiermente lo percosse colla mano sugli omeri, e che farai? ripetè quella voce.

—Voi siete dappertutto, non fa meraviglia, rispose Alfredo rivolgendosi a colui che era sopravenuto; un démone vi guida.

—No, Alfredo…, riprese dolcemente quegli, no, Alfredo; dite piuttosto che mi guida il desiderio di compiere una grande impresa.

—Voi sempre dite così, e l'ora non vien mai.

—Ah! verrà, verrà.

—Lasciatemi, gridò Alfredo, invano mi avete seguito o incontrato; io ho bisogno di essere solo.

—E solo vi lascerò. Prima però desidero conoscere perchè volete negarmi di annuire alle mie giuste dimande.

—Ebbene… tanto varrà che io qui vel dica in faccia del mare e del cielo, soli testimoni i quali ci guardano e ci odono, o che io vel dica nell'orrenda tana della locanda infernale dei Tre Mori.

—Parlate.

—Io verrò alle catacombe, ma verrò solo.

—Solo? urlò il sopraggiunto, solo? e perchè?

—Mia sorella…, ripetè con dignità l'uffiziale, è pura, essa non… può, non deve essere contaminata dalla sozzura di coloro che interverranno a San Iacopo.

—Alfredo!!! La vostra mentre vaneggia, il vostro orgoglio rinasce: tutti gli uomini, tutte le donne sono e saranno eguali; dal primo Adamo e dalla prima Eva tutti siam figli dei medesimi genitori. Voi obliate i vostri giuramenti. Ma no… il fratello di Rosina non può essere un traditore; il vostro contegno, se non credessi al sangue che vi circola nelle vene, potrebbe darmi sospetto. Oh guai per voi se il sospetto allignasse nell'anima mia!

—Già avrete ascoltato che non sono disposto a cedere alle vostre minacce; mia sorella non interverrà.

—Ella interverrà; e quando voi ricusaste il vostro braccio, io ho mezzi infallibili senza di voi.

—E che? Osereste un oltraggio, una violenza?

—Io un oltraggio? io una violenza a Rosina? Mal mi conoscete. Voi sì, signor uffiziale, voi sì che siete e potete esser capace di ciò; non già io povero marinaro, povero cospiratore, ma onesto, ma grande nella sventura. Voi sì che io ritrovava in luogo appartato e già trionfante dell'onore e della debolezza di mia sorella.

—Gran Dio! Che dite mai?

—Sì…, proseguì con accento di amara ironia, i miei amori non sono coronati dal successo dei vostri; io scelgo le taverne per cospirare, voi le scegliete per tradire vergini.

—Ah! quale linguaggio? E non fu la vostra Esmeralda che con modi, non saprei come qualificarli, mi attrasse nelle sue braccia?

—Sciagurato!! tacete: non siete degno di lei; nobile superbo, voi ignorate i costumi della plebe e li qualificate per turpi. Disingannatevi. Esmeralda, giovane ingenua, sventurata, senza direzione, senza scuola di mondo, ama ed amò come una selvaggia nel mezzo ai deserti. Il canto, la musica, il disegno, le scienze che possiede gliele appresi io; io le feci da padre, madre, fratello e maestro: ma io, continuò più vivamente, non volli toglierla alla semplicità de' suoi costumi che a voi sembrano rei; no, io non volli che apprendesse dalla mia bocca come l'amore in società ha la sua grammatica, i suoi modi, la sua logica, la sua finzione, il suo orpello. Ella ne sarebbe stata scandalizzata. No; io quanto a quella passione lasciai che crescesse, divampasse a mo' dei selvaggi. Ella vi vide, vi amò, ve lo espresse; questo è il più grande argomento di suo virginale candore. Voi la chiamate colpa? E non difese colla sua la vostra vita? Ma ahimè! che pur troppo ella ama ed amò un ingrato, allevossi la serpe nel seno. La sua innocenza or vi pare sfrenatezza, il suo costume vergogna; ma intanto ogni delizia è fuggita da quel tenero cuore. Andate: vi ho compreso abbastanza; voi non la rivedrete mai più.

—Dio! quale orrenda minaccia!

—Quando la sorpresi nelle vostre braccia questo pugnale scintillò sulla vostra testa: l'infelice ne deviò il colpo; ad un solo patto io sospesi la ben meritata vostra punizione. Vel rammentate voi?

—Ah! pur troppo: vi promisi cieca obbedienza.

—Io però vi rendo la vostra parola, vi sciolgo dai vostri giuramenti; non temo per me, ma per la infelice. Prima di questa sera Esmeralda e la creatura che porta nel seno avranno cessato di esistere.

—Gran Dio! Ah no! per l'amore di Esmeralda e del suo bambino. Io sarò padre? Oh gioia! esclamò Alfredo gettandosi in ginocchio ai piè del marinaro, non proferite più minaccia sì orribile. Deh! guidatemi a lei, fate che io apprenda il dolce annunzio dalle adorate labbra di Esmeralda.

—Giovane soldato, continuò il marinaro, le tue lacrime promuovono le mie; il volgere in mente impresa lunga e marziale non mi tolse, no, la sensibilità. Accetto il tuo pentimento; vedrai Esmeralda: deh! ch'ella non sappia quali ingiuriosi sospetti osasti formare contro di lei: ella ne morrebbe d'affanno; ella, sì, che avria diritto di maledirti nel momento in cui sarà madre….

—No, giammai; v'intendo: un altare accoglierà….

—Cessa, non è tempo di nozze; questo verrà, ed allora….

—Allora Esmeralda (e Dio acceleri il desiato momento) farà passaggio dall'umiltà dei natali al talamo dell'uomo che fortuna pose in grado elevato.

—Umiltà di natali! riprese il marinaro con sguardo severo. Ah! se pur di nobiltà vuoi parlare, sappi che essa scenderà dal grado ove nacque per passare al tuo talamo.

—Giovanni, qual mistero?

—Quando saprai chi io mi sia… quando saprai chi sia Esmeralda, o giovane superbo, non potrai, no, temprare lo stupore ed il pianto: lunga ed acerba storia di dolore e di grandi esempi sarà questa; grande lezione sulla fallacia, sulla ingiustizia delle umane apparenze. Dopo la rivelazione che udrai, misurerai te stesso ed Esmeralda: sentimi (aggiunse poi dolcemente), un solo essere sublime brillar veggo nel mio avvenire; questo….

—Ah! il comprendo, esclamò Alfredo.

—È Rosina! sì, Rosina; essa mi ama, ma io non sarò come Alfredo; io l'adoro, ed udrà la mia storia e quella dell'amante tua.

—Quando?

—Questa notte medesima.

—Dove?

—Alle catacombe.—

I due strinsersi la destra e si separarono avviandosi per opposto sentiero.

I demagoghi

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