Читать книгу STATI UNITI D'EUROPA: AUSPICIO, INCUBO, UTOPIA? VEREINIGTE STAATEN VON EUROPA: WUNSCHBILD, ALPTRAUM, UTOPIE? - Christiane Liermann - Страница 9
ОглавлениеLo Stato nell’Unione Europea tra Sovranità e Controllo. Una storia di successo, nonostante tutto (1951-2020)
Beatrice Benocci*
Abstract
In the seventy-five years since the end of the Second World War and sixty-nine years since the founding of its first community, the European Union has achieved its goal of peace. Representing a community of 500 million citizens spread over a territory of four million square kilometres, the EU is the largest market in the world (20% of global GDP), where goods and people move freely, and has the second most used currency. It is also the main trading power and the first donor of humanitarian and developmental aid. Now more than ever, Europeans believe that one of the successes achieved by the European Union, in addition to the free market and peace, has been the establishment of European citizenship. Recently, however, the Union has decided not to enlarge further. It has been faced with unprecedented global challenges and equally important internal ones that require decisions affecting the well-being and security of its citizens. This work is a reflection on what the EU has achieved so far, despite the difficult balance between control and sovereignty it has been forced to maintain, in the lack of a European state. A sort of first – and not exhaustive – swot analysis that helps us to support the EU project, the only bulwark against future crises and conflicts.
Introduzione
L’obiettivo della pace è insito nel processo di costruzione europea, sin dalla dichiarazione Schuman (1950); l’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa, pur largamente dibattuto e perseguito non era, nell’idea dei padri fondatori, un obiettivo di facile realizzazione, né raggiungibile con modelli tradizionali. Secondo Jean Monnet l’Europa sarebbe stata costruita con una solidarietà di fatto, non con un trattato, né con una costituzione. Sicuramente nel corso di questi settantacinque anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e sessantanove dall’istituzione della sua prima comunità – la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), l’Europa comunitaria ha conseguito l’obiettivo della pace, rappresenta una comunità di 500 milioni di cittadini, su un territorio di quattro milioni di chilometri quadrati, è il più grande mercato al mondo (20% del Pil globale), nel quale circolano liberamente merci e persone, e possiede la seconda moneta più utilizzata. È, inoltre, la principale potenza commerciale e il primo donatore di aiuti umanitari e per lo sviluppo. Mai come in questo momento1 gli europei ritengono che uno dei successi conseguiti dall’Unione Europea (UE), oltre al libero mercato e alla pace, sia stata l’istituzione della cittadinanza europea, lasciando trasparire un senso di appartenenza crescente alla Comunità. Recentemente, però, l’Unione ha deciso di non procedere a ulteriori allargamenti. Come ben delineato nel “Libro Bianco sul futuro dell’Europa”, essa si trova a dover affrontare, ormai da almeno un decennio, sfide globali inedite e sfide interne altrettanto importanti che richiedono decisioni riguardanti il benessere e la sicurezza dei cittadini.
Il presente lavoro vuole essere un ragionamento sui traguardi ad oggi ottenuti dalla UE a fronte del difficile equilibrio che essa è stata costretta a mantenere tra controllo e sovranità, in assenza di uno Stato europeo. Una sorta di prima – e non esaustiva – analisi swot2 che ci conforti e ci aiuti, a parere di chi scrive, nel sostenere in futuro il progetto comunitario, baluardo contro crisi e conflitti di natura interna ed esterna alla Comunità Europea. Nei prossimi paragrafi saranno trattati la forma dello Stato europeo, l’evoluzione dei suoi organi, le competenze della UE, i successi e gli insuccessi.
La Forma dello Stato Europeo
Affrontare il tema della forma dello Stato europeo non è facile poiché l’Unione Europea è di difficile definizione. Infatti, sappiamo cosa non è l’Unione Europea, ovvero non è uno Stato sovrano, non è uno Stato federale e non è una confederazione. Ma sappiamo anche cosa è. La UE è sicuramente una potenza geoeconomica, una potenza civile e pacificatrice, una potenza culturale. Essa esprime un modello di comportamento internazionale riconosciuto e condiviso, quindi un indiscusso soft power. In conseguenza di ciò, l’UE ha una natura internazionale. Nonostante questo, essa non rientra nel novero degli Stati-organizzazione a cui si rivolge il diritto internazionale. Gli Stati-organizzazione devono avere specifici requisiti: effettività, ovvero esercitare effettivamente il proprio potere su una comunità territoriale e indipendenza o sovranità esterna, ovvero non devono dipendere da un altro Stato; e questo secondo requisito è acquisito con un dato formale: è indipendente e sovrano lo Stato il cui ordinamento sia originario, tragga la sua forza giuridica da una propria costituzione e non dall’ordinamento giuridico, dalla Costituzione di un altro Stato (Conforti 1988). Conseguentemente l’Unione Europea non è un soggetto di diritto internazionale. Anche questa affermazione non è però corretta, poiché alle Comunità Europee era già stata riconosciuta una personalità come organizzazione internazionale, alla pari delle Nazioni Unite; un riconoscimento che viene dato a quelle associazioni dotate di organi per il perseguimento di interessi comuni (Conforti 1988). In questo caso è riconosciuta alle organizzazioni una personalità – personalità giuridica internazionale – distinta da quella degli Stati membri e gli accordi da queste stipulati vengono considerati produttivi di diritti e di obblighi propri delle organizzazioni, restando senza effetti sulla sfera giuridica degli Stati membri. Essi esistono come soggetti sul piano della comunità internazionale soltanto se vengono creati da gruppi di Stati e se continuano a dipendere dalla loro volontà e cessano di esistere su decisione degli Stati che li hanno creati. Come ricorda Cassese, le prime organizzazioni internazionali, nate tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, si occupavano soprattutto di questioni tecniche, come l’Unione postale universale (1875) o l’Unione per la protezione della proprietà industriale (1883); dopo la fine della Seconda guerra mondiale furono create organizzazioni con poteri in diversi campi, dalle relazioni politiche, a quelle militari, dalla cooperazione economica a quella culturale. La loro struttura consiste generalmente di un segretariato permanente, di un’assemblea della quale fanno parte tutti gli Stati membri, di un organo direttivo composto da un limitato numero di membri che ha compiti essenzialmente organizzativi ed esecutivi. Gli obblighi e i diritti internazionali di questi soggetti derivano dai trattati istitutivi. Essi però non hanno un potere coercitivo sugli Stati membri o Stati terzi, se non un’autorità morale e politica su cui fare affidamento (Cassese 1984). È chiaro, quindi, che sin dalle sue origini, sia per struttura organizzativa, sia in forza dell’art. 228 del Trattato CEE, secondo cui gli accordi conclusi dall’Organizzazione vincolano anche gli Stati membri, la Comunità Economica Europea si poneva già su un piano diverso rispetto alle organizzazioni internazionali.
Tuttora, quindi, l’UE viene definita un’organizzazione internazionale sebbene questa definizione appaia riduttiva, poiché non spiega i caratteri peculiari e innovativi dell’ordinamento della UE. Essa infatti risente nei suoi trattati istitutivi dell’ispirazione federalista. La stessa Corte di giustizia europea, se in un primo momento aveva evidenziato l’origine internazionale della Comunità, ha poi cambiato linguaggio a favore di una definizione di “costituzionalmente orientato”, al fine di sottolineare la distanza che intercorre tra la Comunità e le tutte le altre esperienze associative di diritto internazionale (Saluzzo 2018). È possibile affermare, come sostiene Saluzzo, che nel caso dell’Unione Europea ci si trovi in una fase in cui la dimensione internazionale, fondata sui trattati istitutivi, e quella costituzionale si muovano parallelamente (Saluzzo 2018). È chiaro però che, dalla istituzione della CEE riconosciuta a livello internazionale come un’organizzazione operante nella cooperazione economica, l’Unione Europea ha accresciuto notevolmente la sua azione esterna al punto da determinare una riduzione della vita di relazione internazionale degli Stati membri: come vedremo nel quarto paragrafo l’UE ha progressivamente sostituito gli Stati membri nella gestione delle relazioni con Stati terzi. Questa evoluzione assume per molti autori, nella costruzione del progetto europeo, un carattere essenzialmente costituzionale (Craig 2001, Mottese 2009).
Su questo ultimo aspetto si è espressa la Corte costituzionale federale tedesca all’indomani della ratifica del Trattato di Lisbona (2009). Vale la pena seguirne il ragionamento, sebbene per sommi capi. Con la sentenza Lissabon Urteil (2009),3 la Corte afferma che il “continuo progresso” verso una costituzione europea sia giunta a termine, poiché un ulteriore avanzamento può avvenire solo con un aumento della legittimazione democratica a garanzia di una ulteriore integrazione sovranazionale, e sempre mantenendo come limite invalicabile la piena sovranità degli Stati membri nel quadro di un’Unione Europea. Come osservato da molti studiosi, questa sentenza lascia ben poco spazio alla sovranazionalità, intesa come fonte di autonome decisioni giuridiche rispetto agli Stati membri (Chiti 2009). Potremmo sintetizzare meno sovranazionalità e più internazionalità della UE, ovvero più un’organizzazione che non un soggetto internazionale. Del resto, la UE viene indicata dalla Corte come Staatenverbund, ovvero una cornice istituzionale leggera, perché mera associazione di Stati nazionali sovrani.
Se da una prima lettura, la sentenza della Corte può apparire ultimativa rispetto al processo europeo, altri autori ne ravvisano un intendimento diverso. Vale la pena qui ricordare che sul Trattato di Maastricht (1992) la Corte aveva dato una lettura progressiva, che lasciava intendere un invito a fare di più, ad emendare il deficit democratico, favorendone un’evoluzione in senso federalista (Verola 2009). Tornando al Lissabon Urteil, secondo Tosato, la Corte non si oppone all’ampliamento delle competenze della UE, bensì si limita a definire uno spazio sufficiente nelle materie sensibili o diritti statali inalienabili che non possono essere trasferiti al processo legislativo europeo (Tosato 2009). Nello specifico, non è il processo di integrazione europeo che è giunto al capolinea quanto piuttosto la modalità utilizzata finora per il suo conseguimento. Nel settore militare, osserva Tosato, la Corte afferma che l’impegno militare della Bundeswehr può essere autorizzato solo dal Bundestag, ma non preclude la creazione di forze armate e comandi congiunti a livello europeo; lo stesso avviene per lo stato sociale che, dice la Corte, è di competenza del Bundestag, ma ciò non impedisce l’armonizzazione delle politiche a livello europeo. Anzi, osserva ancora Tosato, è la stessa Corte che ricorda che lo sviluppo di un’Europa sociale costituisce un preciso requisito per la partecipazione della Germania al processo di integrazione europea4. Infine, sottolinea Tosato, anche in questa sentenza la Corte ha affermato che la UE è una struttura suscettibile di essere superata, ma un eventuale passaggio dell’Unione da associazione di Stati a Stato federale, con conseguente perdita della sovranità nazionale, non può essere deciso autonomamente dagli organi costituzionali tedeschi, in quanto la Legge Fondamentale tedesca (Grundgesetz) non consente di farlo con legge di revisione costituzionale. Uno sviluppo del genere potrebbe essere legittimato solo da una pronuncia referendaria diretta dei cittadini tedeschi. Ora è opportuno soffermarsi su un aspetto che per la Corte costituzionale tedesca sembra essere dirimente: l’assenza di un popolo europeo. La democrazia, sostiene la Corte, richiede un popolo, che sia in grado di esercitare i propri diritti democratici; poiché l’Unione Europea non dispone di un popolo europeo le istituzioni europee non sono – e non possono essere – pienamente democratiche, pertanto, le uniche istituzioni in grado di assicurare la piena autodeterminazione dei popoli europei restano quelle nazionali, il cui ruolo va assolutamente preservato. La Corte, conclude Tosato, sembra suggerire che occorra un salto di qualità in chiave democratica.
Potremmo dire che il Lissabon Urteil ha messo il dito nella piaga. Come osservato da molti, la UE non dispone di una sfera pubblica europea,5 né di un popolo europeo, né tantomeno, sostiene ancora la Corte costituzionale federale tedesca, di un parlamento europeo pienamente rappresentativo. Prendendo a prestito il ragionamento di Dahrendorf sulla postdemocrazia, è possibile affermare che in ambito comunitario europeo la democrazia non ha un luogo nel quale il dibattito pubblico venga condotto in modo organizzato e meditato (Dahrendorf 2001). Sul tema hanno dibattuto ampiamente Dieter Grimm e Jürgen Habermas. Un popolo, ha sostenuto Grimm, non è necessariamente un’etnia. Esso è un’identità collettiva e un senso di appartenenza capace di sostenere le decisioni e di fondare le scelte politiche. Solo in questo modo, afferma Grimm, si può fondare uno spazio pubblico europeo che approfondisca il processo di integrazione fra i popoli dell’Europa. Da parte sua Habermas parla di cittadinanza democratica, che fonda una solidarietà tra estranei che è astratta e giuridicamente mediata, che permette la convivenza all’interno della stessa comunità tra diverse culture, religioni ed etnie (Mottese 2009). Ciò che lega insieme una nazione di cittadini, afferma ancora Habermas, è l’intesa possibile, il contratto che sottoscrivono gli individui. Altra questione è quella dell’identità collettiva, i cui presupposti sono una società civile europea, una cultura politica condivisa e, ancora una volta, una sfera pubblica europea.6
In conclusione di questo primo paragrafo, possiamo affermare che l’Unione Europea è ancora riconosciuta a livello internazionale come un’organizzazione internazionale, sebbene sia molto lontana dalla struttura e dalle capacità – ridotte – di questi organismi e sia sempre più vicina a un organismo sovranazionale. Il principio democratico è stato affermato per la prima volta con il Trattato di Amsterdam, al suo art. 6, e riconfermato nel Trattato di Lisbona (TUE e TFUE) sotto i titoli “Vita democratica dell’Unione” e “Diritti dei cittadini”7. Le due anime, quella costituzionalista e quella internazionalista, sembrano poter continuare a convivere, ma non poter produrre un salto ulteriore verso la piena realizzazione di un organismo pienamente sovranazionale. Per far questo, seguendo il ragionamento finora condotto, occorre un popolo europeo che volontariamente decida di dar vita a uno Stato europeo fondato su un contratto,8 aiutato in questo compito da una sfera pubblica europea. Perché ciò avvenga, come è stato da più parti osservato, occorre ancora tempo – oltre che a una specifica volontà – che mal si sposa con le continue crisi e difficoltà che l’Europa comunitaria sta vivendo. Nel prossimo paragrafo, quindi, vengono illustrati quei traguardi raggiunti dalla Comunità che più si avvicinano all’idea e alla struttura di un’Europa sovranazionale.
Limiti e successi dell’integrazione funzionalista in senso costituzionale: Commissione, Parlamento e Cittadinanza europea
Sin dal concepimento dell’idea degli Stati Uniti d’Europa si è posto il tema della preservazione della sovranità degli Stati-nazione e dell’indisponibilità di questi ultimi a cedere parte della propria sovranità in favore di un ente sovranazionale, anche al fine di garantire la pace.9 Nonostante l’entusiasmo e la portata emotiva che avevano accompagnato la sua organizzazione, la Conferenza dell’Aja del 1948, promossa da Winston Churchill, fu incapace di trovare una sintesi tra le tesi degli unionisti e quelle dei costituzionalisti e aprì la strada alla costruzione di un’Europa per piccoli passi e su basi tecnocratiche. Elementi di diritto internazionale e diritto costituzionale si sarebbero incontrati e/o scontrati incessantemente, mentre la CECA si trasformava in Comunità Europee, poi in Comunità europea e, infine, in Unione Europea.
Le istituzioni europee però non sono rimaste identiche alla loro prima formulazione; con il trasformarsi della Comunità esse hanno assunto una nuova struttura e nuovi compiti, sono state modificate e adattate alle nuove esigenze. Cercheremo di illustrare in questo paragrafo in che modo e se questi cambiamenti hanno reso queste strutture più vicine a principi democratici e rappresentativi.
L’Alta Autorità della CECA nasceva sulla base delle authority americane, le agenzie federali che avevano una forte connotazione tecnica. Queste agenzie erano state utilizzate dal presidente americano Roosevelt in occasione del New Deal ed erano ben conosciute da Jean Monnet. L’Alta Autorità aveva poteri direttivi, con competenze sovranazionali, di indirizzo e programmazione. Questa struttura rispondeva anche a una ferma convinzione di Monnet: la cooperazione internazionale sarebbe stata più efficientemente perseguita se realizzata in maniera settoriale e da esperti amministratori indipendenti, dotati di formazione scientifica e abituati ad affrontare i problemi con una mentalità pratica, non impregnata da ideologie divisive. La sola previsione dell’Alta Autorità per la CECA preoccupò molto i governanti europei e negli accordi istitutivi della Comunità furono previsti anche la creazione di un’Assemblea, con poteri di controllo, di un Consiglio dei ministri di natura politica, con poteri consultivi e una di una Corte di giustizia.10 Con la creazione della Comunità Economica Europea (1957) furono previsti un Consiglio, con poteri di coordinamento delle politiche economiche generali degli stati e di decisione, una Commissione, con un potere di raccomandazione e di decisione, un’Assemblea, con poteri deliberativi e di controllo, e una Corte di giustizia.11 Nel 1965 i sei Stati fondatori adottarono un trattato che istituiva un Consiglio unico e una Commissione unica per le Comunità Europee. Rispetto al precedente trattato istitutivo della CECA, la Commissione e il Consiglio estendevano le loro competenze al fine di realizzare gli scopi previsti dal trattato e quindi la realizzazione, il funzionamento e lo sviluppo del mercato della Comunità; il mercato a sua volta, citava il testo, avrebbe consentito il miglioramento della qualità della vita. È interessante notare che a differenza dell’Assemblea istituita con la CECA, questa seconda Assemblea – che nel 1962 cambiava nome in Parlamento Europeo12 – aveva anche poteri deliberativi ed era chiamata a elaborare “progetti intesi a permettere l’elezione [del Parlamento Europeo] a suffragio universale diretto, secondo una procedura uniforme in tutti gli Stati membri” (Trattato CEE, Art. 137). È altresì importante sottolineare che la Commissione, a differenza del Consiglio, non prevedeva tra i suoi membri la partecipazione di un rappresentante per singolo Stato europeo, essa era infatti composta da nove membri scelti in base alle loro competenze, con uno specifico limite, quello di non poter comprendere più di due membri aventi la cittadinanza di uno stesso Stato.13 Si configura già a partire dagli anni Sessanta una struttura complessa formata da istituzioni intergovernative, tecniche e sovranazionali, a cui si affiancava un Parlamento che aveva in potenza il principio di democrazia rappresentativa.
Tra il 1974 e il 1978 prende forma il progetto di elezione a suffragio universale diretto dei membri del Parlamento Europeo (PE), che avrà luogo, per la prima volta, nel giugno del 1979. Ma è l’Atto Unico europeo del 1987 che conferisce nuovi poteri al Parlamento: procedura di co-decisione per taluni ambiti legislativi, l’estensione della procedura di cooperazione ad altri, parere conforme per i trattati di adesione e di associazione, potere di approvare in via definitiva la composizione della Commissione. Il Parlamento Europeo assume così un ruolo di co-legislatore14. Infine, secondo il dettato del Trattato di Lisbona il PE “esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio; esercita funzioni di controllo politico e consultivo alle condizioni stabilite dai trattati; elegge il Presidente della Commissione” (TFUE Art. 14). Pertanto, il PE condivide la funzione legislativa con la Commissione, un organo tecnico comunitario, il cui ruolo e compiti sono al centro della vita dell’Unione come statuito anche dal Trattato di Lisbona.
Tornando al Parlamento Europeo, una delle maggiori critiche che la Corte federale tedesca muove al PE è che esso non rappresenti autenticamente i cittadini europei, poiché a causa del meccanismo elettorale non assicura un’autentica responsiveness delle istituzioni europee all’autorità popolare (Verola 2009). Nulla però viene detto in merito all’adozione da parte del Parlamento di strumenti per lo sviluppo dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee, né sulla riforma che mira a introdurre una serie di strumenti intesi ad accrescere l’interesse dell’elettorato nei confronti delle elezioni europee e ad esprimere il carattere europeo della competizione politica, ad esempio attraverso una circoscrizione e una lista elettorale transnazionali (Lehman 2010). Questo aspetto ci riporta al quesito sul popolo europeo.
Seguendo il ragionamento di alcuni autori anche il concetto di popolo muta al mutare delle condizioni storiche. Cosa possiamo definire oggi popolo? Hard e Negri affermano che nell’era postmoderna la figura del popolo si dissolve e trova spazio di azione il militante, espressione di una moltitudine, in grado di opporsi a una forma di sovranità globale chiamata impero (Hardt e Negri 2003). Gherardo Colombo sottolinea che il popolo è chi esercita il diritto di governare e che ciò è strettamente connesso allo status di cittadino (Colombo 2011). Richiamando Habermas, la cittadinanza democratica fonda una solidarietà tra estranei che è astratta e giuridicamente mediata e che permette la convivenza all’interno della stessa comunità tra diverse culture, religioni ed etnie. Questo ci porta a dire che se è vero che non esiste un popolo europeo, è altresì vero che con il Trattato di Maastricht è stata istituita una cittadinanza europea. È questa una trasformazione importante nella concezione della Comunità. Sin dalla sua costituzione e per molti anni a venire non si discute di un’Europa dei cittadini; solo nel 1984 viene istituita una commissione ad hoc sulla cittadinanza e molte delle sue conclusioni sono poi confluite nel Trattato di Maastricht. A partire da questo momento i concetti di identità europea e di valori europei condivisi sarebbero stati associati alla costruzione europea.15 Lo status di cittadino europeo viene attribuito automaticamente a chiunque abbia la nazionalità di uno Stato membro della Comunità Europea. Dalla cittadinanza europea derivano una serie di diritti e doveri che possono essere fatti valere nei confronti dell’Unione e dei singoli Stati membri. Si ricordano qui il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento Europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui si risiede alle stesse condizioni dei cittadini di detto stato, il diritto di presentare petizioni al Parlamento Europeo e di ricorrere al Mediatore europeo (TFUE Artt.21-24). Tale status si aggiunge a quello nazionale con caratteri giuridici e politici autonomi e non si fonda sull’appartenenza a un popolo costituitosi in Stato, bensì sulla volontà espressa dagli Stati membri di creare un’unione sempre più stretta tra i vari popoli europei e di rafforzare la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini all’interno dello spazio europeo. Nel corso di questi venti anni, grazie alle azioni messe in essere dalla UE, in termini di identità e valori comuni, è senza dubbio cresciuta l’Europa dei cittadini e con essa si è rafforzato il principio di democrazia partecipativa.
In conclusione, è possibile affermare che pur in assenza di un popolo europeo in senso classico e di una sfera pubblica europea, i cittadini degli Stati membri della UE, grazie al loro status di cittadini europei, eleggono i propri rappresentanti al Parlamento Europeo; danno vita a un processo di rappresentanza democratica – seppur non perfetto; esprimono in ultimo un senso di appartenenza alla UE e una volontà di partecipazione attiva alla vita della Comunità Europea, dato questo confermato anche dall’ultima indagine di Eurobarometro.16
La questione del controllo: dal fallimento della CED all’attuazione della PESCO, al Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa
Il tema della sovranità, ovvero della sua cessione da parte degli Stati nazionali, ha incontrato ostacoli ben definiti e vale la pena ricordarli, poiché sono essenzialmente legati al tema della sicurezza. Come si ricorderà, all’indomani della presentazione della forward strategy americana, che ricomprendeva anche il territorio tedesco nel sistema di difesa atlantico a cui avevano aderito gli Stati dell’Europa occidentale, i sei Stati membri della CECA avevano proposto la realizzazione di una Comunità di difesa europea (CED). Questo progetto rispondeva alla necessità, soprattutto francese, di controllare il riarmo tedesco – poiché non era più possibile evitarlo. L’istituzione di questa comunità, chiamata a gestire un settore estremamente sensibile come quello della difesa, creava forti dubbi e perplessità non solo nei francesi, ma in tutti gli Stati aderenti. Senza ripercorrere qui gli eventi che portarono alla mancata ratifica del Trattato CED, è opportuno sottolineare che furono i francesi a determinarne il fallimento, ponendo alla base della decisione di non procedere alla ratifica il ragionamento che era più sopportabile il riarmo tedesco alla perdita di sovranità in un settore sensibile come quello della difesa. Del resto, la costruzione di un esercito europeo toccava il cuore dello Stato: la politica estera, quella della difesa e dei finanziamenti. Il riarmo tedesco sarebbe avvenuto poi sub-condizione e la Francia, liberatasi della CED, avrebbe avviato il suo progetto di costruzione di una force de frappe.17
Come ho avuto già modo di scrivere, al tempo questa decisione trovava giustificazione nel fatto che nel sistema bipolare la garanzia della sicurezza europea ricadesse automaticamente sugli Stati Uniti, ma in assenza di questo presupposto, l’incapacità europea di esprimere un’autonoma capacità di difesa avrebbe finito per penalizzare la Comunità ed escluderla dal novero delle grandi potenze, relegandola al solo ruolo di potenza civile e geoeconomica (Benocci 2017).
La questione si è puntualmente riproposta all’indomani della fine del sistema bipolare, in occasione dello scoppio della prima Guerra del Golfo (1990) e, soprattutto, all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle (2001). Con il Trattato di Maastricht era stata definita per la prima volta la Politica Estera e di Sicurezza Europea (PESC), e sempre nello stesso anno erano state adottate le Missioni Petersberg, che però rientravano nel sistema delle missioni umanitarie.18 I tentativi successivi di superare i limiti delle Missioni non erano andati a buon fine. Un passo concreto verso una maggiore cooperazione militare europea era stata l’istituzione dei Battle Groups (2003), ma anche in questo caso il loro utilizzo è risultato estremamente complicato. Non potendo in questa sede ripercorrere i vari stop and go di questo processo,19 è opportuno sottolineare che, in generale, alla cooperazione militare sono stati sempre contrari Olanda e Regno Unito e favorevoli la Spagna, la Francia, la Germania e l’Italia. Nel corso del tempo sono emersi contrasti su più aspetti, dall’arma atomica, al seggio permanente alle Nazioni Unite (NU) e all’industria bellica; soprattutto non era mai venuto meno il convincimento, per lo più americano, che un rafforzamento della capacità militare europea avrebbe indebolito il sistema NATO.20
Dopo oltre vent’anni di discussione in materia di sicurezza europea, stiamo assistendo a un’accelerazione sia in termini di programmi, sia di azioni. Nel 2015 il Consiglio Europeo ha chiesto all’Alto Rappresentante PESC di elaborare una strategia estera e di difesa che è stata presentata l’anno successivo col titolo “Nuova strategia globale per la politica estera e di sicurezza”. Nel novembre dello stesso anno si è deciso di attuare la PESCO – cooperazione strutturata permanente – prevista dal Trattato di Lisbona, di dotarla di un finanziamento comunitario e di trasformare i Battle Groups in forze permanenti dispiegabili su decisione del Consiglio dei ministri della Difesa. Si è proceduto, infine, alla creazione di un quartier generale militare diverso da quello della NATO e alla istituzione di un Fondo Europeo per la Difesa. L’intento dichiarato in sede di Parlamento Europeo è quello di creare in futuro un esercito europeo, mentre nel breve periodo di rafforzare l’Alleanza Atlantica. Chiaramente si tratta di un capovolgimento dell’assunto che aveva guidato gli europei sino a oggi in materia di sicurezza. Questo nuovo dinamismo europeo in tema di sicurezza è stato determinato da più fattori, tutti riconducibili alla situazione globale, che si caratterizza non solo per le crisi economiche o religiose o migratorie, ma anche per inedite trasformazioni geopolitiche. Sicuramente, vi ha contribuito la presenza di Donald Trump alla Casa Bianca che ha costretto gli europei a valutare non solo lo stato dell’Alleanza Atlantica, ma anche la futura capacità di intervento globale americano. Alla nuova strategia di difesa europea hanno aderito venticinque Stati europei, ma non il Regno Unito che nel frattempo ha avviato la procedura di recesso dall’Unione, prevista dall’art. 50 del Trattato dell’Unione Europea. Non potendo ripercorrere in questa sede l’articolato rapporto tra Londra e la UE, ci limiteremo a sottolineare che il cambio di passo in tema di sicurezza europea – e le prospettive che la nuova situazione internazionale offre agli inglesi - ha avuto un peso rilevante nella decisione del Regno Unito di abbandonare l’Unione Europea. Londra ha sempre maldigerito la sua appartenenza alla UE, così come non ha mai fatto mistero di non voler far parte di un superstato europeo. Per questo motivo, di fronte a questa inaspettata evoluzione in tema di sicurezza europea ha proceduto al recupero di una totale sovranità.21
In questa sede è opportuno ricordare brevemente il fallimento del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (2004) che non rientra nel tema della sicurezza sinora trattato, ma è in egual misura un insuccesso che attiene alla sfera della preservazione della sovranità nazionale da parte degli stati nazionali.
Nel corso degli anni Novanta era cresciuto il dibattito sull’opportunità di dotare l’Europa di una costituzione di tipo federale e numerose erano state le iniziative e i progetti elaborati, soprattutto, nell’ambito del Parlamento Europeo (Morelli 2009). Fino alla Dichiarazione di Laeken del dicembre 2001 la discussione si era mantenuta su un livello prevalentemente ideologico o si era concretizzata in iniziative spontanee e prive di un sostegno politico. In quegli anni, però, l’Europa comunitaria era costretta a confrontarsi con nuove sfide, da un lato, il terrorismo internazionale, e dall’altro, un allargamento tanto veloce quanto inedito, destinato ad accogliere i Paesi europei orientali orfani dell’impero sovietico e questo sembrò imprimere un’urgenza al percorso costituzionale. La Convenzione,22 appositamente creata, veniva chiamata a lavorare su cinque grandi temi: la ripartizione e definizione delle competenze, la semplificazione degli strumenti dell’Unione, la democrazia, la trasparenza ed efficienza nell’Unione Europea e, infine, la redazione di una Costituzione. Ai lavori della Convenzione parteciparono esponenti della società civile e i giovani europei. Il testo licenziato fu, come previsto, sottoposto al vaglio della Conferenza Intergovernativa (CIG) cui presero parte i capi di stato e di governo degli Stati membri e quelli in via di adesione. La CIG eliminò il previsto ampliamento dei poteri della Commissione, mantenne il diritto di veto in materia di politica estera e fiscale e assicurò il principio di legittimità democratica agli Stati nazionali. Alla firma del Trattato, che non era chiaramente una costituzione, ma ne aveva i caratteri nel preambolo e nei Titoli I e II, parteciparono non i quindici Stati che l’avevano promossa, bensì venticinque, tra cui i dieci Stati che erano diventati membri della Comunità il 1° maggio del 2004.23 La Costituzione per l’Europa veniva spazzata via dal voto contrario, via referendum, dei popoli di Francia e Olanda (maggio 2005), a cui avrebbe fatto seguito la sospensione della ratifica da parte di Regno Unito, Polonia e Danimarca. Con la mancata ratifica del trattato sarebbe venuto meno anche quell’entusiasmo della società civile che aveva accompagnato il lavoro della Convenzione.24 Alcuni osservatori leggono in questo l’avvio di quella fase di populismo e antieuropeismo che oggi caratterizza il dibattito pubblico e politico nei vari Stati europei.
In chiusura di paragrafo, possiamo affermare che il tema della sicurezza rappresenta da sempre un tema spinoso nel processo di costruzione europea, così come è indiscusso che i progressi o retrocedimenti vanno letti storicamente e in base a un concetto di volontarietà progressiva, basata spesso su necessità contingenti che, come nel caso della costituzione e della costruzione di un esercito europeo, possono portare a fallimenti, a piccoli progressi o a veri e propri balzi in avanti nel cammino europeo verso una struttura europea sovranazionale.
Una storia di successo: il mercato, le relazioni esterne e i diritti umani
Laddove la sovranità nazionale ha fatto un passo indietro, l’Unione Europea ha raggiunto importanti successi. E questo si è avverato nei cosiddetti settori di competenza esclusiva o concorrente della UE, in quest’ultimo caso quando le materie sono strettamente correlate.25 Partiamo dal mercato; la Comunità Economica Europea nasce con un obiettivo specifico quello di:
promuovere l’instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità, un’espansione continua e equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano (Trattato CEE Art. 2).
Organo preposto in primis al raggiungimento di questo obiettivo è la Commissione, chiamata sin dalla nascita della CEE a perseguire l’obiettivo del mercato e, in esso, il miglioramento progressivo della qualità della vita dei suoi cittadini. Obiettivo quest’ultimo progressivamente elaborato. Il “Libro Bianco sul futuro della UE” afferma, infatti, che nella storia della Comunità il mercato ha rappresentato e rappresenta anche per il suo futuro sviluppo lo strumento di perseguimento degli obiettivi di crescita e tutela sociale. Guardando alla storia della Comunità, la realizzazione del mercato comune europeo è un successo indiscusso: in soli tre anni dalla sua costituzione gli scambi commerciali tra i sei Paesi risultano cresciuti del 30%, mentre al compimento dei sette anni di attività viene registrato un aumento della produzione industriale del 52%, del prodotto nazionale al 38%, del commercio intercomunitario al 166% e delle esportazioni verso i Paesi terzi al 51% (Mammarella 1988). Con la fine degli anni Ottanta la CEE diventa un sistema economico regionale efficace ed efficiente, replicabile a livello globale. Sulla scia dell’esperienza della CEE vengono istituiti altri sistemi economici regionali, dal MERCOSUR (1991) in America Latina, allo ASEAN (1967, oggi ARF) nel Sud Est asiatico. L’azione esterna dell’Unione Europea è altrettanto importante. Essa si fonda sui principi che hanno ispirato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento della Comunità. Attraverso le sue relazioni esterne la UE persegue obiettivi e interessi strategici, rafforza le relazioni politiche e commerciali con altri Paesi e regioni del mondo e promuove, allo stesso tempo, la pace, i diritti umani e la democrazia, lo sviluppo sostenibile, la buona governance e il rispetto per l’ambiente, il progresso. In questo caso, la Commissione è chiamata a gestire in via esclusiva le questioni commerciali per conto degli Stati membri. I risultati possono essere quantificati nei seguenti due dati: le relazioni commerciali della UE rappresentano il 20% del Pil globale, mentre trenta milioni di posti di lavoro in Europa dipendono dalle commissioni estere. È interessante sottolineare che la UE promuove l’idea di un sistema commerciale aperto ed equo che persegue una integrazione globale, anche attraverso l’abolizione progressiva delle restrizioni agli scambi internazionali. Questo spiega le difficoltà vissute ormai da qualche anno con l’amministrazione Trump che invece propugna un ritorno a un sistema protezionistico caratterizzato da forti dazi.
Vale la pena ricordare alcune azioni promosse dalla UE: tra il 2010 e il 2015 la Comunità si è battuta per la promozione della crescita dell’occupazione e degli investimenti a livello globale, nonché per il rilancio dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO) di cui la UE è parte e promotore; e ancora, a seguito della stasi in cui era caduta l’Agenda di Doha, la Comunità europea ha proceduto da sola ad agevolare l’accesso ai mercati ai paesi in via di sviluppo. Con le sue politiche commerciali globali, la UE esprime indubbiamente un comportamento riconoscibile a livello internazionale, che si caratterizza nell’instaurazione di relazioni economiche e commerciali con tutti quegli Stati che aderiscono ai valori fondanti europei.26 Dal punto vista di strettamente commerciale, questa politica cerca di assicurare agli europei l’apertura di nuovi mercati cui destinare i prodotti europei a condizioni vantaggiose, secondo quel principio che un mercato efficace ed efficiente è alla base del progressivo miglioramento della qualità della vita dei cittadini.
Grande importanza rivestono, infine, nell’azione esterna della UE le politiche di aiuto per lo sviluppo e le politiche per i diritti umani e la democrazia: obiettivi questi perseguiti sin dal 1957, quando fu istituito il Fondo Europeo per lo Sviluppo (FES). La competenza in questa materia è condivisa tra l’Unione Europea e gli Stati membri. La politica di aiuti per lo sviluppo è attuata dalla UE in collaborazione con le NU e nel quadro di Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, con una destinazione economica pari allo 0,7% del suo Reddito nazionale lordo (COM/2016/0740). Attualmente gli europei operano in 160 Paesi. A questa si affianca la politica di aiuti umanitari, che vede la Ue impegnata in operazioni di soccorso, in situazioni di disastro naturale o provocato dall’uomo, con una destinazione economica pari a 6,62 miliardi (Quadro 2014-2020). Ma il settore in cui la UE esprime al massimo il suo modello culturale è quello delle politiche per i diritti umani e la democrazia, attraverso il quale diffonde i suoi principi fondatori di libertà e democrazia, di rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, di stato di diritto. La UE firma accordi commerciali e di cooperazione condizionati dalla “clausola dei diritti umani” e si batte per l’abolizione della pena di morte. Come osservato, in questa sua azione l’Unione Europea sembra esprimere la volontà di proporre ai suoi cittadini e al resto del mondo uno spazio cosmopolita in cui la dignità della persona umana, non solo dei cittadini, è protetta nel modo più completo (Pendenza 2017). Questo suo specifico comportamento la distingue da qualsiasi altro soggetto o organizzazione internazionale, al punto che è stata definita Europa normativa o cosmopolita (Manners 2002).
Recentemente, in occasione della Primavera araba, la UE ha adottato questo comportamento anche in un’area di crisi, vincolando il sostegno economico a quei paesi che si sono detti disposti a intraprendere riforme per una transizione democratica. Tra gli incentivi offerti: una più profonda integrazione economica, una più consistente assistenza finanziaria, una maggiore mobilità per i cittadini e l’accesso al mercato interno della UE.27
In conclusione di paragrafo, è possibile affermare che il mercato è il successo indiscusso della UE e che grazie al suo sviluppo e al suo consolidamento, la Comunità ha potuto esprimere la sua natura internazionale. Oggi la UE è senza dubbio una potenza geoeconomica, una potenza civile e pacificatrice – nel 2012 ha ricevuto il Nobel per la pace per aver contribuito a pacificare il continente europeo – è un esempio di soft power e ha uno stile riconoscibile di intervento nelle aree di crisi. Ma non è solo questo. La UE promuove la pace, la democrazia, i diritti umani, la lotta alla povertà e alla diseguaglianza – e in questo è definita anche Europa normativa – e lo può fare, come abbiamo ricordato, grazie alla sua forza economica, ma anche grazie al fatto che gli Stati nazionali hanno ceduto le proprie competenze e la propria sovranità in questi specifici settori.
Una prima conclusione
Dalla nostra analisi emerge che l’Europa comunitaria è ancora riconosciuta a livello internazionale come una organizzazione internazionale, sebbene sia molto lontana dalla struttura e dalle capacità – ridotte – di questi organismi e sia sempre più vicina a un organismo sovranazionale; che, pur in assenza di un popolo europeo in senso classico e di una sfera pubblica europea, i cittadini degli Stati membri della UE, grazie al loro status di cittadini europei, eleggono i propri rappresentanti al Parlamento Europeo, dando vita a un processo di rappresentanza democratica, esprimono un senso di appartenenza alla UE e una volontà di partecipazione attiva alla vita della Comunità Europea; che i progressi o i retrocedimenti nel processo di integrazione europea vanno letti storicamente e in base a un concetto di volontarietà progressiva, basata spesso su necessità contingenti; che il mercato è il successo indiscusso della UE e che grazie al suo sviluppo e al suo consolidamento la Comunità ha potuto garantire un miglioramento progressivo della qualità della vita dei cittadini europei ed esprimere la sua natura internazionale.
Sicuramente come da più parti osservato, a causa della grande crisi finanziaria, gli ultimi dieci anni hanno rappresentato un test importante per la tenuta del progetto europeo. Tuttora lo è la pandemia di Covid-19, che ha evidenziato tutti i limiti del sistema comunitario europeo, a partire dalla mancanza di un sistema fiscale e sanitario comune, ad un sistema di welfare unitario. Ma come abbiamo visto, nel 2019 sono state registrate confortanti percentuali di fiducia nella Comunità Europea da parte dei cittadini, nonostante una narrazione nazionale spesso non veritiera o quanto meno approssimativa sulle azioni e i programmi realizzati dalla UE. I successi ad oggi ottenuti dalla Comunità – essi stessi forieri di possibili nuovi traguardi – rappresentano il baluardo più forte per le sfide che attendono i popoli europei, poiché, come sottolineato dal “Libro Bianco sul futuro della UE”, il 90% della crescita globale dei prossimi quindici anni sarà al di fuori della Comunità, nel 2060 la UE avrà meno del 5% della popolazione globale e nel 2030 meno del 20% del Pil mondiale. È difficile pensare che gli Stati europei, presi singolarmente, possano avere la capacità di far fronte agli sviluppi futuri o di influenzare i processi politici ed economici globali.
Note
1 < Eurobarometro - Elezioni Europee 2019.
2 < L’analisi SWOT è uno strumento di pianificazione strategica usato per valutare i punti di forza, le debolezze, le opportunità e le minacce di un progetto, di un’impresa, di un’organizzazione o di un individuo per il raggiungimento di un obiettivo.
3 < La sentenza riprende argomenti che la Corte aveva già sviluppato in occasione delle sentenze Solange I (1974), Solange II (1986), Maastricht Urteil (1993), Europaeische Haftbefehl (2005), che qui sembrano giungere a una definizione.
4 < Altri settori considerati sensibili sono la cultura, la scuola, il sistema di istruzione, il diritto di famiglia, i mezzi di informazione, le associazioni politiche e religiose per i quali secondo la Corte la responsabilità primaria è nazionale, ma non esclude una responsabilità concorrente della UE.
5 < La sfera pubblica, o arena istituzionale, è il luogo in cui si forma un’opinione pubblica; essa consta di partiti, istituzioni e leader politicamente responsabili e media (Privitera 2010, 237-253).
6 < Sul tema si veda: Grimm, 2005 e Habermas, 2004.
7 < Qui, sottolinea Lehman, vengono radunate una serie di previsioni apparentemente slegate fra loro (Lehmann 2010, 5).
8 < La costituzione muta, dice Fichte, per volontà comune di tutti; non è immutabile poiché non lo è l’umanità che a sua volta muta nella sua tensione verso il progresso morale (Valentini 1985, 22).
9 < Il tema spinoso della cessione di sovranità è trattato da Kant nel suo lavoro Progetto per una pace perpetua (1795).
10 < Trattato istitutivo della CECA artt. 20-25, capitolo II dell’Assemblea e artt. 26-20, capitolo III.
11 < Trattato istitutivo della CEE artt, 137 – 144 Capo I Le Istituzioni, sezione prima L’Assemblea; artt. 145 - 154, sezione seconda Il Consiglio; artt. 155 - 163, sezione terza La Commissione.
12 < Dopo l’istituzione della Comunità Economica Europea (CEE) e della Comunità Europea dell’Energia Atomica (EURATOM), l’Assemblea comune della CECA è stata estesa a tutte e tre le comunità. Composta da 142 membri, la nuova assemblea ha tenuto la sua sessione costitutiva il 19 marzo 1958 a Strasburgo con il nome di «Assemblea parlamentare europea», per poi essere denominata “Parlamento Europeo” a partire dal 30 marzo 1962.
13 < Trattato istitutivo della CEE art. 157, Capo I Le Istituzioni, sezione terza La Commissione.
14 < Già il Trattato di Amsterdam e il Trattato di Nizza avevano ulteriormente esteso il potere di co-legislatore del Parlamento su un piano di parità con il Consiglio.
15 < Dai simboli dell’identità europea (bandiera, inno) alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dalla Carta sociale ai programmi Erasmus degli anni Novanta, tutto ha contribuito a far crescere un senso di appartenenza e di identità europea.
16 < Nel 2019, all’indomani delle elezioni europee, il 68% dei cittadini europei ha dichiarato che il proprio paese ha tratto beneficio dall’appartenenza alla UE, anche i giovani hanno espresso un voto favorevole per l’Europa comunitaria. Alle elezioni è stata registrata un’affluenza aumentata di otto punti con una percentuale di votanti pari al 50,6%, che rappresenta la più alta dal 1994. Ciò che i cittadini europei riconoscono alla Ue è l’impegno per i cambiamenti climatici, per l’economia e la crescita, i diritti umani e la democrazia. In generale, gli europei ritengono che la loro voce conti e abbia un peso. Cfr. https://www.europarl.europa.eu/at-your-service/it/be-heard/eurobarometer/2019-european-elections-entered-a-new-dimension
17 < La Repubblica Federale Tedesca (RFT) entrava a far parte dell’Unione Europea Occidentale (UEO), a sua volta associata alla NATO, accettando di rinunciare alla produzione di armi chimiche, batteriologiche e atomiche. Sul progetto di atomica francese si veda: Soutou, 1996.
18 < Si trattava di missioni umanitarie o di evacuazione di persone; missioni di mantenimento della pace; missioni di forze armate ai fini della gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace.
19 < Per una ricostruzione del processo articolato di costruzione di un sistema di sicurezza europeo si veda: Morelli, 2018, 524-537.
20 < Per una cronologia dei provvedimenti e delle risoluzioni adottate in ambito PESCO si veda: https://www.consilium.europa.eu/it/policies/defence-security/defence-security-timeline/
21 < Sulla difficile partecipazione inglese alla UE e sulle motivazioni alla base della Brexit si veda: Benocci, 2019, 50-57.
22 < Formata da 105 membri titolari (28 rappresentanti dei governi, 56 dei Parlamenti nazionali, 16 del PE, 2 della Commissione e 3 membri del Praesidium nominati direttamente dal Consiglio europeo di Laeken), 102 supplenti e 13 osservatori.
23 < Nel 2002 il Consiglio dell’Unione Europea approva l’adesione di Cipro, Malta, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Repubblica Ceca e Slovenia che firmano il trattato d’adesione il 16 aprile 2003 ad Atene.
24 < Per una disamina del testo del trattato si veda: Padoa-Schioppa, 2004.
25 < Nei settori di competenza esclusiva (art. 3 TFUE) la UE può legiferare e adottare atti vincolanti: i paesi membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall’Unione a rendere esecutivi tali atti.
26 < La UE opera in base a diverse tipologie di accordi di partenariato: APE (accordi di partenariato economico), PMS (per i paesi meno sviluppati, che esclude la vendita di armi).
27 < A tal fine, nel 2012, è stato istituito un Fondo europeo per la democrazia. Esso opera in modo autonomo, come una fondazione, nel sostenere attori politici e società civile che operano per il cambiamento democratico.
Bibliografia
“COM/2016/0740 final, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Proposta relativa a un nuovo consenso europeo in materia di sviluppo. Il nostro mondo, la nostra dignità, il nostro futuro.” EUR-lex, 22 Nov. 2016 eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52016DC0740&from=IT
“Cronistoria: la cooperazione dell’UE in materia di sicurezza e difesa.” Consilium, 11 Dic. 2019, www.consilium.europa.eu/it/policies/defence-security/defence-security-timeline/
“Eurobarometro - Elezioni Europee 2019.” Parlamento Europeo, 2020, www.europarl.europa.eu/at-your-service/it/be-heard/eurobarometer/2019-european-elections-entered-a-new-dimension
“Libro bianco sul futuro dell’Europa.” Commissione Europea, 2017, ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/libro_bianco_sul_futuro_dell_europa_it.pdf
“Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea – Trattato CEE” EUR-Lex, eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A11957E%2FTXT
“Trattato che istituisce la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio –Trattato CECA” EUR-Lex, eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=LEGISSUM%3Axy0022
“Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea – TFUE (Versione Consolidata)” EUR-Lex, eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX%3A12012M%2FTXT&from=EN
“Trattato sull’Unione Europea –TUE (Versione Consolidata)” EUR-Lex, eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX%3A12012M%2FTXT&from=EN
Benocci, Beatrice. “Gran Bretagna, Brexit e desiderio di impero.” Rivista Marittima, Dic. 2019, pp. 50–57.
---. La Germania necessaria: l’emergere di una nuova leading power tra potenza economica e modello culturale. FrancoAngeli, 2017.
Cassese, Antonio. Il diritto internazionale nel mondo contemporaneo. Il Mulino, 1984.
Chiti, Mario. “Am deutschen Volke. Prime note sulla sentenza del Bundesverfassungsgericht del 30 giugno 2009 sul Trattato di Lisbona e la sua attuazione in Germania.” La sentenza del Bundesverfassungsgericht sulla costituzionalità del Trattato di Lisbona e i suoi effetti sulla costruzione dell’Unione Europea, di Mario Chiti et al., Astrid, 2009, pp. 5–12.
Colombo, Gherardo. Democrazia. Bollati Boringhieri, 2011.
Conforti, Benedetto. Diritto internazionale. Editoriale Scientifica, 1988.
Craig, Paul. “Constitutions, Constitutionalism, and the European Union.” European Law Journal, vol. 7, no. 2, 2001, pp. 125–150., doi:10.1111/1468-0386.00124.
Dahrendorf, Ralf. Dopo la democrazia. GLF Editori Laterza, 2001.
Grimm, Dieter. “Il significato della stesura di un catalogo europeo dei diritti fondamentali nell’ottica della critica dell’ipotesi di una costituzione europea.” Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, di Gustavo Zagrebelsky et al., Laterza, 2005.
Habermas, Jürgen. Tempo di passaggi. Feltrinelli, 2004.
Hardt, Michael, e Antonio Negri. Impero: il nuovo ordine della globalizzazione. Rizzoli, 2013.
Kant, Immanuel. Progetto per una Pace perpetua. Rizzoli, 1968.
Kundnani, Hans. “La Germania come potenza geoeconomica. La Germania tedesca nella crisi dell’Euro.” Limes, no. 2, 2011.
Lehmann, Wilhelm. Democrazia Europea, Identità Costituzionale e Sovranità. Parlamento Europeo, 2010, www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/note/join/2010/425618/IPOL-AFCO_NT(2010)425618_IT.pdf
Mammarella, Giuseppe. Storia d’Europa dal 1945 a oggi. Laterza, 1988.
Manners, Ian. “Normative Power Europe: A Contradiction in Terms?” JCMS, vol. 40, no. 2, 2002, pp. 235–58., www.princeton.edu/~amoravcs/library/mannersnormativepower.pdf
Morelli, Umberto. “I progetti costituzionali di origine parlamentare nel processo di integrazione europea prima della dichiarazione di Laeken.” La Nuova Europa dopo il Trattato di Lisbona, di Paola Bilancia e Marilisa D’Amico, Giuffrè, 2009, pp. 1–25.
---. “La difesa europea e le relazioni in ambito ONU.” Europa: un’utopia in costruzione, di Giuliano Amato et al., Istituto della enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, 2018, pp. 524–537.
Mottese, Elisabetta. “Das Lissabon Urteil. Keine Verfassung ohne Blut und Boden?” Fogli di lavoro per il diritto internazionale, vol. 3, no. 1, 2009, p. 16., www.lex.unict.it/sites/default/files/files/Crio/FogliLavoro/2009-3/FLADI_2009_3-1_Mottese.pdf
Padoa-Schioppa, Antonio. “La Costituzione europea: limiti e prospettive.” Quaderni del dibattito federalista, no. 9, 2004.
Pendenza, Massimo. “L’Europa dei tradimenti. Il cosmopolitismo normativo europeo sotto attacco.” CSE Working Paper, no. 2, 2017, doi:10.14273/unisa-750.
Privitera, Walter. “Per una politica della sfera pubblica.” Vivere la democrazia, costruire la sfera pubblica quaderno della scuola per la buona politica, 2007-2008, di Catia Papa e Laura Pennacchi, Ediesse, 2010, pp. 237–253.
Saluzzo, Stefano. Accordi internazionali degli Stati membri dell’Unione Europea e stati terzi. Ledizioni, 2018.
Soutou, Georges Henri. L’alliance incertaine: les rapports politico-stratégiques franco-allemands, 1954-1996. Fayard, 1996.
Telò, Mario. L’Europa potenza civile. Laterza, 2004.
Tosato, Gian Luigi. “L’Integrazione europea è arrivata al capolinea? A proposito del recente “Lissabon Urteil”.” La sentenza del Bundesverfassungsgericht sulla costituzionalità del Trattato di Lisbona e i suoi effetti sulla costruzione dell’Unione Europea, di Mario Chiti et al., Astrid, 2009, pp. 13–20.
Valentini, Francesco. Il pensiero politico contemporaneo. Editore Laterza, 1985.
Verola, Nicola. “Volk, patriottismo parlamentare e sovranità. Osservazioni sulla ‘Lissabon-Entscheidung’ della corte costituzionale tedesca.” La sentenza del Bundesverfassungsgericht sulla costituzionalità del Trattato di Lisbona e i suoi effetti sulla costruzione dell’Unione Europea, a cura di Mario Chiti et al., Astrid, 2009, pp. 71-80.
* Historian and journalist, Beatrice Benocci teaches history of international relations and history of the European integration process, with specific attention to the role played by Germany. She is a member of the Centre for European Studies, of the Jean Monnet EuCuMe Module, and of the Interdepartmental Research Centre on Conflict in the Contemporary Age at the University of Salerno, as well as of the Interuniversity Centre for Bioethics Research. “La Germania necessaria. L’emergere di una nuova leading power tra potenza economica e modello culturale” is her last book.