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CAPITOLO QUATTRO

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23:50 ora dell’Europa orientale (17:50 ora legale orientale)

Alessandropoli, Grecia

Si trovavano a trenta miglia dal confine turco. L’uomo controllò l’orologio. Quasi mezzanotte.

Presto, ancora presto.

Si chiamava Brown. Era un nome che non era un nome, per qualcuno che era scomparso molto tempo prima. Brown era un fantasma. Aveva una grossa cicatrice lungo la guancia sinistra – un proiettile che l’aveva appena mancato. Portava un taglio di capelli a spazzola. Era grande e forte, e aveva i lineamenti affilati di chi aveva trascorso tutta la vita adulta nelle operazioni speciali.

Un tempo Brown era conosciuto con un altro nome – col suo vero nome. Col passare del tempo, il nome era cambiato. A un certo punto era passato per così tanti nomi da non riuscire a ricordarseli tutti. L’ultimo era il suo preferito: Brown. Nessun nome di battesimo, nessun cognome. Solo Brown. Brown bastava e avanzava. Era un nome evocativo. Gli ricordava le cose morte. Le foglie morte nel tardo autunno. Gli alberi morti dopo un test nucleare. I marroni occhi morti spalancati e fissi delle molte, molte persone che aveva ucciso.

Tecnicamente, Brown era in fuga. Era finito sul lato sbagliato della storia circa sei mesi prima, su un lavoro che non gli era neanche stato spiegato. Aveva dovuto lasciare il suo paese di origine in fretta e sparire. Ma dopo un periodo di insicurezza, era tornato in piedi di nuovo. E, come sempre, c’era moltissimo lavoro da fare, soprattutto per un uomo con la capacità di ripresa che aveva lui.

Adesso, poco prima della mezzanotte, se ne stava fuori da un magazzino in una sezione malmessa del distretto portuale di quella città marittima. Il magazzino era circondato da un’alta recinzione sormontata da filo spinato, ma il cancello era aperto. Una fredda nebbia giungeva dal mar Mediterraneo.

Con lui c’erano due uomini, entrambi con addosso giacche in pelle, ed entrambi con mitra Uzi assicurati alle spalle, e scorte extra. Quelli sarebbero stati quasi identici, solo che uno di loro si era rasato completamente la testa.

Fuori sulla strada, si avvicinavano dei fanali.

“Occhi aperti,” disse Brown. “Adesso arrivano i guerrieri santi.”

Un furgoncino risaliva il viale deserto. C’era un’immagine gigante di arance lungo la fiancata, una di queste affettata a metà a esibire la brillante polpa rosso arancio del frutto. Sulla fiancata del furgone c’erano delle parole in greco, probabilmente il nome di un’azienda, ma Brown il greco non lo sapeva leggere.

Il furgone raggiunse il cancello e proseguì dritto nel giardino. Uno degli uomini di Brown si avvicinò e fece scivolare il cancello sui binari, poi lo chiuse a chiave con un pesante lucchetto.

Non appena il furgone si fu fermato, due uomini smontarono dalla cabina. Si aprì il portellone posteriore, e ne uscirono altri tre. Quegli uomini avevano la pelle scura, probabilmente erano arabi, ma erano rasati. L’uniforme che indossavano consisteva in blue jeans, leggere giacche a vento e sneakers.

Un uomo portava un’ampia borsa di tela, come fosse una borsa per l’attrezzatura da hockey, su ogni spalla. Il peso delle borse a tracolla gli abbassava le spalle. Tre degli uomini avevano degli Uzi.

Noi abbiamo gli Uzi, loro hanno gli Uzi. Uzi party.

Il quarto uomo, il conducente del furgone, aveva le mani libere. Si avvicinò a Brown. Aveva gli occhi azzurri, e la pelle molto scura. Aveva i capelli nero corvino. La combinazione degli occhi azzurri e della pelle scura faceva uno strano effetto in viso, come se non fosse stato del tutto reale.

I due si strinsero la mano.

“Jamal,” disse Brown. “Pensavo di averti detto di venire solo con tre uomini.”

Jamal fece spallucce. “Me ne serviva uno per portare i soldi. E io non conto, no? Quindi in effetti ne ho portati tre. Tre tiratori.”

Brown scosse la testa e sorrise. Aveva a malapena importanza quante persone avesse portato Jamal. I due uomini con Brown potevano uccidere una camionata di tiratori.

“Okay, andiamo,” disse Brown. “I camion sono dentro.”

Uno degli uomini di Brown – si faceva chiamare signor Jones – prese dalla tasca un apriporta automatico, e la saracinesca del magazzino lentamente sferragliò verso l’alto. Gli otto entrarono nello spazio cavernoso. Il magazzino era per lo più vuoto, tranne che per delle pesanti incerate verdi gettate su due veicoli giganteschi. Brown andò dal più vicino e scostò l’incerata per metà.

“Voilà!” disse. Quella che aveva scoperto era la metà anteriore di un ampio articolato, dipinto di verde, marrone e colori marrone chiaro mimetici. Jones scostò l’incerata vicino alla parte posteriore del mezzo, svelando una piatta piattaforma missilistica di lancio a quattro cilindri. Le due parti del camion erano separate e indipendenti l’una dall’altra, ma erano attaccate nel mezzo dall’idraulica.

I camion venivano chiamati trasportatori elevatori lanciatori, o TEL, relitti della Guerra fredda, stazioni di attacco mobili che la NATO aveva usato per tenere sotto bersaglio la vecchia Unione Sovietica. I lanciatori sparavano varianti più piccole del missile da crociera Tomahawk, e i missili potevano essere equipaggiati di piccole testate termonucleari. Erano armi per un limitato colpo nucleare tattico – il tipo che avrebbe eliminato una città di medie dimensioni, o distrutto totalmente una base militare e la campagna circostante, ma forse senza causare l’apocalisse. Certo, una volta cominciato a lanciare testate nucleari alla gente, può succedere di tutto.

Ai vecchi tempi, questo sistema missilistico lo chiamavano il “Grifone”, dall’antica creatura mitologica con le gambe e il corpo di un leone, e le ali, la testa e gli artigli di un’aquila – il protettore del divino. Brown ne era entusiasta.

Il sistema era stato smantellato nel 1991, e tutte quelle unità avrebbero dovuto essere distrutte. Ma ne esistevano ancora alcune. C’erano sempre delle armi a galleggiare da qualche parte. Brown non aveva mai sentito parlare di una classe di missili o di un sistema di armi smantellati interamente – c’erano troppi soldi da fare perdendoli e facendoli saltar fuori in un secondo momento. I negozi lo chiamavano “contrazione”. Walmart e Home Depot lo sapevano bene. Così come l’esercito.

Anzi, ecco qui due delle piattaforme mobili, rimaste parcheggiate in un magazzino di una città portuale greca per tutto questo tempo, vicinissimo alla Turchia, e a meno di un miglio dai moli. Bello comodo dentro a ciascuno dei cilindri di lancio c’era un missile Tomahawk, ciascuno operativo, o che probabilmente sarebbe diventato operativo in seguito a piccolissime cure.

Era quasi come se si potessero guidare quei camion fuori di lì e dritti su una nave mercantile o un traghetto, per poi salpare per luoghi ignoti. Erano armi convenzionali, certo, ma sicuramente da qualche parte c’erano ancora delle testate nucleari perfette per quei missili.

Ma ottenere le testate non era compito del dipartimento di Brown. Quello era un problema di Jamal. Era un ragazzo capace, e Brown immaginava che sapesse già dove poterne trovare alcune di disponibili. Brown non sapeva con certezza come sentirsi in proposito. Jamal stava facendo un gioco pericoloso.

“Bellissimo,” disse Jamal.

“Dio è grande,” disse uno dei suoi uomini.

Brown fece una smorfia. Di regola, faceva una smorfia quando si parlava di religione. E bellissimo era un termine relativo. Quei camion erano due delle macchine da guerra più brutte che Brown avesse mai visto. Ma avrebbero tirato su un bel casino – poco ma sicuro.

“Ti piacciono?” chiese Brown a Jamal.

Jamal annuì. “Molto.”

“Allora vediamo i soldi.”

L’uomo con le pesanti borse a tracolla si avvicinò. Se le sfilò dalle spalle e le posò sul pavimento in pietra del magazzino. Si inginocchiò e le aprì, una alla volta.

“Un milione di dollari in contanti in ciascuna borsa,” disse Jamal.

Brown fece un cenno col capo all’altro suo uomo, quello calvo.

“Signor Clean, controlla.”

Clean si inginocchiò vicino alle borse. Estrasse un fascio di banconote tenute insieme da un elastico da varie sezioni di ciascuna borsa. Prese un piccolo scanner digitale dalla tasca e si mise a rimuovere le banconote da ogni fascio. Accese la luce LED UV sul dispositivo e mise le banconote sulla finestra dello stesso una alla volta, svelando il filo di sicurezza d ciascuna. Poi strisciò una pen tester su ogni banconota, svelando la filigrana nascosta. Era un processo macchinoso.

Mentre Clean lavorava, Brown ficcò una mano nella giacca, toccando la pistola che lì si trovava. Cercò il contatto visivo col suo uomo Jones, che annuì. Se doveva succedere qualcosa di strano, sarebbe accaduto in quel momento. Il linguaggio del corpo degli arabi non cambiò – continuavano a osservare impassibili. Brown lo prese come un buon segno. Erano davvero lì per comprare i camion.

Il signor Clean lasciò cadere un fascio di soldi sul pavimento. “Bene.” Raccolse un altro fascio, cominciò a sfogliarli, controllandone le banconote con il dispositivo. Il tempo scorreva.

“Bene.” Lasciò cadere quel fascio e ne raccolse un altro. Passò altro tempo.

“Bene.” Procedeva.

Dopo un po’ la cosa cominciò a farsi noiosa. I soldi erano veri. Nel giro di dieci minuti, Brown si rivolse a Jamal.

“Okay, ti credo. Sono due milioni.”

Jamal si strinse nelle spalle. Aprì la giacca e ne estrasse un ampio portamonete di velluto. “Due milioni in contanti, due milioni in diamanti, come d’accordo.”

“Clean,” disse Brown.

Il signor Clean si alzò e prese il portamonete da Jamal. Clean era l’esperto di soldi e valori di quella piccola squadra. Prese dalla tasca un diverso dispositivo elettronico – un piccolo quadrato nero con la punta di un ago. Il dispositivo aveva delle luci sul fianco, e Brown sapeva che testavano la dispersione di calore e la conduttività elettrica delle pietre.

Clean si mise a prendere le pietre una alla volta dal sacchetto e a passarci sopra delicatamente la punta dell’ago. Ogni volta che ne faceva una, si sentiva un tono caldo. Ne aveva passate una dozzina prima che Brown gli dicesse un’altra parola.

“Clean?”

Clean guardò Brown. Sorrideva.

“Finora sono buone,” disse. “Tutti diamanti.”

Ne testò un’altra. Poi un’altra.

Un’altra.

Brown si voltò verso Jamal, che stava già facendo segno ai suoi uomini di tirare l’incerata e salire a bordo dei camion.

“È stato un piacere fare affari con te, Jamal.”

Jamal lo guardò a malapena. “Altrettanto.” Era preso dai suoi uomini, e dai camion. La parte successiva del loro viaggio era già cominciata. Portare due piattaforme mobili di lancio per missili nucleari con missili inclusi nel Medio Oriente probabilmente non era cosa facile.

Brown sollevò un dito. “Ehi, Jamal!”

L’uomo magro si voltò verso di lui. Fece un gesto impaziente con la mano, come per dire, “Cosa?”

“Se ti beccano con quella roba…”

Adesso Jamal però sorrise. “Lo so. Io e te non ci siamo mai visti.” Indietreggiò verso il camion più vicino.

Brown si voltò verso il signor Jones e il signor Clean. Jones era su un ginocchio, a rimettere i soldi nella pesante borsa. Clean stava ancora testando i diamanti del borsello di velluto, maneggiandone uno alla volta, il dispositivo con l’ago ancora in mano.

Avevano vinto alla lotteria. Le cose finalmente si mettevano bene, dopo il fiasco che aveva costretto Brown a lasciare il suo paese. Sorrise.

E tutto in un solo giorno di lavoro.

Però nella scena c’era qualcosa che lo disturbava. I suoi non stavano facendo attenzione all’ambiente – erano distratti da tutti quei soldi. Avevano abbassato la guardia, di brutto. E anche lui. In un’operazione diversa, la cosa si sarebbe potuto ritorcere contro di loro. Non tutti erano degni di fiducia come Jamal.

Si voltò per guardare di nuovo gli arabi.

Jamal era lì, vicino al camion, con in mano uno degli Uzi. Due dei suoi erano con lui. Erano in piedi in fila, a puntare le armi su Brown e i suoi uomini.

Jamal sorrise.

“Clean!” urlò Brown.

Jamal sparò, e i suoi uomini fecero lo stesso. Giunse il brutto chiasso di un mitragliatore. A Brown parve che gli stessero quasi sparando con una manichetta per l’acqua. Sentì i proiettili forarlo, farsi strada dentro di lui come api che pungono. Il suo corpo fece una danza involontaria alla quale lui cercò di ribellarsi, invano. Era quasi come se i proiettili lo tenessero su, fissandolo come con uno spillo in posizione eretta, facendolo tremolare e ballare.

Per un attimo perse conoscenza. Tutto si fece nero. Poi era disteso sulla schiena, sul pavimento di cemento del magazzino. Riusciva a sentire il sangue versarsi fuori dal corpo. Riusciva a sentire che il pavimento era bagnato, dove si trovava disteso. Attorno gli si stava allargando una pozzanghera. Provava molto dolore.

Guardò il signor Clean e il signor Jones. Erano entrambi morti, i corpi crivellati, le teste scomparse per metà. Solo Brown era ancora vivo.

Gli venne in mente che era sempre stato un sopravvissuto. Cavolo, era sempre stato un vincitore. Era assurdo che dopo più di due decenni di combattimenti, folli avventure e anguste fughe morisse adesso, così. Era impossibile. Era troppo bravo nel suo lavoro. Avevano tentato di ucciderlo così tanti uomini prima di quel momento, e avevano fallito. La sua vita non sarebbe finita così. Non poteva.

Cercò di mettere la mano in tasca per la pistola, ma il braccio sembrava non funzionare bene. Poi si accorse di un’altra cosa. Nonostante tutto il dolore, non riusciva a sentirsi le gambe.

Riusciva a sentire il bruciore nella pancia, dove gli avevano sparato. Riusciva a sentire il dolore fischiante alla testa, dove era andato a sbattere sul pavimento in pietra quando era caduto. Deglutì, poi sollevò la testa e si fissò i piedi. C’era ancora tutto laggiù, e tutto attaccato – ma non riusciva a sentire niente.

I proiettili mi hanno reciso la spina dorsale.

Nessun altro pensiero gli aveva mai causato tanto orrore. Trascorsero svariati secondi in cui vide il suo futuro – avanzare sulle ruote di una sedia a rotelle, cercare di arrampicarsi dalla sedia al sedile del conducente dell’auto accessibile ai disabili, svuotare la sacca della colostomia che gli risucchiava via la merda dal suo inutile sistema digestivo.

No. Scosse la testa. Non c’era un tempo per quello. C’era un tempo solo per l’azione. La pistola di Clean era sopra alla sua testa e dietro di lui. Si allungò – faceva male anche solo alzare le braccia così – ma non riuscì a trovarla. Cominciò a strisciare all’indietro, trascinandosi dietro le gambe.

Qualcosa colse la sua attenzione. Alzò lo sguardo ed ecco che arrivava Jamal, avanzando da spaccone verso di lui. Il bastardo sorrideva.

Avvicinandosi, sollevò l’arma. La puntò su Brown. Adesso Brown notò che con Jamal c’erano i suoi due uomini.

“Non cercare di fare niente, Brown. Stattene steso fermo.”

Gli uomini di Jamal presero la pesante borsa con i soldi, e il piccolo portamonete con i diamanti. Poi si voltarono e tornarono ai camion. Salirono nella cabina del camion di testa. Si accesero i fanali. Il motore ruttò e scoreggiò, del fumo nero si riversò sul lato del conducente.

“Tu mi piaci,” disse Jamal. “Ma gli affari sono affari, no? Per questo affare non lasciamo niente di incompiuto. Mi dispiace. Sul serio.”

Brown cercò di dire qualcosa, ma sembrava non avere voce. Tutto ciò che riuscì a fare in risposta fu farfugliare.

Jamal sollevò di nuovo la pistola.

“Vuoi un momento per pregare?”

Brown quasi rise. Scosse la testa. “La sai una cosa, Jamal? Mi fai venire i nervi. Tu e la tua religione sono sciocchezze. Se voglio pregare? Pregare cosa? Non c’è nessun Dio, e lo scoprirai non appena…”

Brown vide il fuoco lambire la fine della canna della pistola. Poi era piatto sulla schiena, a fissare il soffitto del magazzino alto sopra la sua testa.

Contro Ogni Nemico

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