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IX.

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E l'animo nostro è uscito più forte dal dolore della guerra perduta.

A me par di vedere un giorno in cui da un capo all'altro del paese si ripeterà il terribile grido: Vengono! — e noi balzeremo in piedi, pallidi e alteri, rispondendo: — Li aspettiamo. — Allora, per le vie delle nostre città, affollate di popolo, di soldati, di cavalli e di carri, al suono del nome d'Italia, fra lo strepito delle armi e gli squilli delle trombe, i miei dugento compagni si rivedranno, io li rivedrò, molti per un'ora sola, alcuni forse per un solo momento, di notte, davanti a una stazione di strada ferrata, al lume delle fiaccole; ci rivedremo e ci saluteremo in silenzio, stringendoci la mano fortemente, e guardandoci negli occhi. Non più grida, non più canti, non più gioia clamorosa, non più sogni di marcie trionfali, non più quel confidente e leggiero: — A rivederci, — con cui si vela l'immagine della morte, e si alimenta, più che il coraggio, la speranza; noi non ci diremo che: — Addio; — e quell'addio sarà una promessa reciproca, un patto, un voto; quell'addio vorrà dire: — Questa volta non si deve ridiscendere la china della montagna; io rimarrò sulla vetta, e tu pure. —

E sovente, precorrendo un lungo spazio di tempo, fantastico campi di battaglia lontani, sui quali si giocano le sorti d'Italia. Volo col pensiero di valle in valle, di colle in colle; e in tutti i passi più difficili, e in tutti i punti più pericolosi, mi figuro un amico di collegio, coi capelli grigi, già colonnello o generale, alla testa del suo reggimento o della sua brigata; e mi compiaccio di figurarmelo nel momento, in cui, assalito da molta forza nemica, dirige la resistenza. Le due parti sono alle prese, ed egli, dalla cima di un'altura, osserva il combattimento nella valle. Povero amico! In quel punto forse si decide della sua vita e del suo onore; trent'anni di studii, di sacrifizii, di speranze, stanno per essere coronati di gloria o dispersi come un pugno di polvere, là su quella china verde che gli si stende dinanzi; e tutto dipende da un nulla. Ed egli guarda, immobile, pallido, ed ha tutta l'anima negli occhi, e la sciabola gli trema nella mano convulsa. Io gli sono accanto e lo fisso nel viso, e acconsento involontariamente con la persona a tutti i suoi tremiti, e sento tutto quello ch'egli sente, lo intendo, vivo in lui. — Coraggio, amico; tu hai infuso nei tuoi soldati la tua anima generosa, vinceranno, non ti turbare. Quel movimento incerto che vedi là verso l'ala destra, non è che un momentaneo scompiglio cagionato dall'ineguaglianza del terreno; non danno indietro, no; senti, le grida risuonano più alte, i colpi strepitano più fitti, l'ultimo battaglione è entrato anch'esso nel combattimento, tutti i tuoi soldati combattono. — Ah! ora sì che i suoi occhi corrono avidamente da un capo all'altro della linea; ecco, egli si fa più pallido; questo è il punto! la sua vita pare sospesa.... — Che sono queste voci lontane? Che è quella fiamma che gli sale al volto? quel sorriso? quello sguardo al cielo? Hanno vinto! Ma per Dio! prima di partire, voltati, ferma quel cavallo, son io, senti, un tuo amico di collegio, porgi le braccia, un bacio, ed ora va, vola tra i tuoi soldati, e che Iddio t'accompagni. — Ha slanciato il cavallo di carriera, è già in fondo alla valle, è sparito.

E chi sa, quanti dei miei compagni si troveranno un giorno, un'ora della loro vita, in quel cimento! Chi sa che molti non abbiano a illustrare il loro nome qualche grande servigio reso alla patria, che alcuni di questi nomi non abbiano a diventar cari al popolo, che io stesso non abbia una volta a veder passare per una strada di qualche città italiana un mio antico vicino di studio, o di tavola, o di letto, in grande uniforme di generale, sopra un bianco cavallo coperto di fiori, in mezzo a due ale di popolo festante! E chi sa pure se un giorno io non andrò a picchiare alla porta di alcuno di loro, per gettargli le braccia al collo appena mi apparirà dinanzi, — pallido, triste, invecchiato di dieci anni nel giro di pochi mesi; — se non andrò da lui per confortarlo, per dirgli che la sentenza del paese è stata ingiusta, che grande è ancora il numero di coloro che non rovesciano sul suo capo tutta la colpa del disastro, che verrà tempo in cui si calmeranno le passioni e si ritorneranno in onore le vittime delle condanne avventate, che il suo nome è ancora rispettato e caro, che non s'accasci, che ripigli animo e speri?

Ah! quando io penso alle fiere prove che molti di essi avranno a durare nella vita, al bene che potranno fare al loro paese, all'inestimabile prezzo cui dovranno pagare la loro gloria; quando penso a queste cose io che lasciai l'esercito, sento che per non restare addietro ai miei compagni nel pagare il mio debito di gratitudine alla patria, dovrei faticare senza riposo, vegliare le notti sui libri, conservare con rigorosa temperanza di costumi il mio vigore giovanile per rivolgerlo fresco ed intero ai lavori della mente; menare una vita illibata per acquistare il diritto di predicar la virtù, e mantenere viva e pura questa fiamma d'affetto, di cui riesco qualche volta a trasfondere una scintilla nel petto degli altri; studiare il popolo, i fanciulli, i poveri, e scriver per loro; non lasciarmi sfuggir mai dalla penna una parola ignobile, sacrificare tutte le mie fantasie al bene comune, non disanimarmi mai per contrarietà, non ambir mai lodi, non desiderare, non aspettare mai nulla, fuorchè il giorno in cui potessi dire a me stesso: — Ho fatto quello che potevo, non sono stato inutile nella vita, questo mi basta. —

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