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II.

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I primi e più cari amici gl'incontrai a diciassett'anni, in un superbo palazzo, che ho sempre dinanzi agli occhi, come se ne fossi uscito ieri. Vedo i grandi cortili, i grandi portici, le sale ornate di colonne, di statue e di bassorilievi; e in mezzo a queste cose belle e magnifiche, che richiamano al pensiero la reggia antica, lunghe file di letti, di banchi di scuola, di panni appesi, di fucili, di daghe. Cinquecento giovani sono sparsi pei cortili, per gli anditi, per le scale; un sordo rumore, interrotto da grida acute e da risate sonore, si spande fino ai più lontani recessi del vasto edifizio. Che movimento! Che vita! Che varietà di tipi, di atteggiamenti, di accenti! Giovani dalle forme atletiche con lunghi baffi irsuti e voci stentoree, giovanetti smilzi e gentili come fanciulle; visi bruni ed occhi siciliani nerissimi, e capigliature bionde e pupille azzurre del settentrione; gesticolìo concitato di Napoletani, vocìo argentino di Toscani, parlantina accelerata di Veneti, cento crocchi, cento dialetti; di qua canti e conversazioni clamorose, di là corse, salti e battimani; gente d'ogni ceto, figliuoli di duchi, di senatori, di bottegai, di impiegati, di generali; una società bizzarra che ha un po' del collegio, del convento e della caserma; dove si parla di donne, di guerra, di romanzi, di regolamenti; dove si fanno pettegolezzi da donnicciuole e si covano segrete ambizioni virili; una vita piena di noie mortali e d'allegrezze sfrenate, una confusione di sentimenti, di faccende e di casi dolorosi, stravaganti e amenissimi, da cui la penna di un grande umorista potrebbe cavare un capolavoro.

È la Scuola militare di Modena nel 1865.

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