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XII.

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Certo una gran parte di noi, antichi compagni di collegio, arriveremo a vedere il secolo XX. Strana idea! Capisco bene che si passerà dal mille novecento al novecento uno, come si sarà passati dal novantanove al cento, e come si passa da quest'anno al venturo. Eppure, mi sembra che allo spuntare del primo giorno del nuovo secolo si dovrà provar la sensazione di colui che, giunto sulla vetta di un'alta montagna, vede dinanzi a sè nuove terre e nuovi orizzonti. Mi pare che quella mattina ci si dovrà rivelare qualcosa d'impreveduto e di meraviglioso; che ci prenderà un senso quasi di spavento del trovarci tanto innanzi; che ci parrà d'essere stati lanciati da una forza arcana da un orlo all'altro d'un abisso smisurato. Fantasie! Io presento bene quello che saremo noi in quegli anni; e non solo lo presento, lo vedo. Vedo una sala con un camminetto in un canto, o meglio molte sale con molti camminetti, e molti vecchi davanti al fuoco, seduti sur una poltrona, col mento sul petto; e poco più in là un tavolino con un lume in mezzo, e intorno una corona di ragazzi, che potranno essere figliuoli o nipoti, e che a un dato momento si accenneranno l'un l'altro il babbo o lo zio, dicendo piano: — Dorme; — e ridendo dell'espressione grottesca che avrà preso nel sonno il nostro volto rugoso. E forse allora ci desteremo, i ragazzi ci verranno intorno, e vorranno sentire, secondo l'uso, racconti di tempi molti lontani, e ci domanderanno con viva curiosità: — Zio, ha mai visto lei il generale Garibaldi? — Babbo, ha mai osservato davvicino il re Vittorio Emanuele II? — Nonno, non le è mai seguìto di sentir discorrere il conte di Cavour? — Ma sì, e come, e quante volte! — Ma dica dunque, come erano? Somigliavano molto ai ritratti? In che modo parlavano? — E noi diremo ogni cosa, e via via ricordando, raccontando, descrivendo, la nostra voce riacquisterà a poco a poco l'antico vigore, e ci s'infiammeranno le gote, e sarà per noi una grande dolcezza il vedere quegli occhi vivaci accendersi, e quelle fronti innocenti sollevarsi con un movimento altero, e quelle mani piccine e bianche fare un cenno ad ogni nostra interruzione, come per pregarci: — Dica ancora. —

E chi sa che sarà seguito allora sulla faccia della terra? Sarà re d'Italia Vittorio Emanuele III? Ci saranno i bersaglieri a Trento? Qualche nostro amico d'oggi, applicato al Ministero degli affari interni, sarà governatore di Tunisi? La Francia sarà passata per un altra trafila d'imperi, di repubbliche, di Comuni e di regni? Avremo avuto la minacciata invasione dei popoli nordici? L'Inghilterra avrà ricevuto anche essa il suo scappellotto? Avremo provato un po' di Comune? Sarà nato un grande poeta? Si sarà riformata la Chiesa? Si sarà rifatta Roma? Ci saranno ancora eserciti? Che saremo noi nel nostro paese? Che avremo fatto? Come avremo vissuto?

Ah! qualunque cosa sia per accadere, e qualunque sia la sorte che ci aspetta, se avremo lavorato, se avremo amato, se avremo creduto, — le sere che, seduti in un seggiolone a braccioli sul terrazzino della nostra casa, agli ultimi raggi del sole, penseremo alle nostre famiglie, ai nostri amici, ai monti, alle colline, ai carnovali e alle isolette del mar Tirreno che sognavamo in collegio; — ci turberà, si, il pensiero di dover abbandonare tra breve tante care anime e una così bella patria; ma ci splenderà pure sul volto quel sorriso queto e sereno, che è come l'alba d'una giovinezza nuova, e che tempera l'amarezza dell'addio colla tacita promessa: — Non per sempre!

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