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VIII.

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Lupus in fabula — gridò Cesare Torralba additando un uomo di mezza età che si avanzava lungo il viale. — Ecco Vignoni.

E gli mosse incontro.

— Non si sentiva fischiar gli orecchi, dottore?

— Perchè?

— Perchè parlavamo di lei.

— Davvero?

Ora i due uomini venivano insieme verso il grosso della comitiva.

Cesare disse: — Gli Alvarez e i Frassini li ha già visti iersera... Luciano e Tullio, Girolamo e mia cognata Adele sono arrivati stamattina... C'è bisogno d'introduzione?

— No, ho avuto il piacere d'incontrarli qualche altra volta — replicò il medico scambiando saluti e strette di mano. — Anzi col signor Tullio — egli soggiunse — siamo vecchie conoscenze.

— Giuocheremo di nuovo alle boccie, sa — disse il giovane.

— Sono sempre a' suoi ordini.

— Dottore, desidera un caffè? — domandò Marialì.

— Grazie, signora, se mi dispensa.

— O un bicchierino di cognac?

— Neppure... Ho appena pranzato.

— O un bicchiere di vino?

— Nossignora. Proprio non prendo nulla.

— Un sigaro almeno — disse Girolamo aprendo l'astuccio.

— Grazie... Accetterò quello.

— Un medico di campagna che non beve! — esclamò la Marialì — Che miracolo! Il suo predecessore aveva altre abitudini.

— Così raccontano — rispose sorridendo Vignoni. — E ho inteso che negli ultimi anni sopra tutto...

— Era sempre brillo — soggiunse Cesare Torralba terminando la frase. — Me lo ricordo benissimo. Se non avesse avuto un cavallo savio che conosceva a menadito tutte le strade e tirava da sè il suo biroccino sarebbe andato a finire in fosso un pajo di volte al giorno.

— Capiscono che non ho torto se non voglio imitarne l'esempio.

— Quanti anni sono ch'è quì, dottore? — chiese la Marialì. — Certo è venuto dopo ch'io mi sono sposata.

— Sono venuto nel 1885.

— E ormai non si muove?

— Ho la mia famiglia, ho un poderetto che coltivo da me.

— Coltivar la propria terra, quella dev'essere una soddisfazione — sospirò l'Angela. — Quando la si affitta, si cessa d'essere in comunione con lei.

— La terra! — borbottò Luciano consegnando a sua nipote Antonietta la chicchera vuota. — La terra è esausta. Chi può viver più della terra?

— Scusi — ribattè Vignoni, — tutti ne viviamo, anche coloro che la disprezzano. — Se talora essa ci sembra stanca, impoverita, gli è che le domandiamo troppo... Si vuole ch'essa nutra quelli che la lavorano, quelli che la fanno lavorare e quelli che la cedono a chi la fa lavorare agli altri... senza contare le delizie del fisco.

Il commendatore Ercole si scosse. — La proprietà fondiaria è gravata in un modo indecente.

— Il nostro sistema fiscale è un cumulo d'iniquità — sentenziò Girolamo, l'onorevole.

— Oh non isperiamo niente neanche da voi radicali — soggiunse, stizzito, il commendatore. — Figuriamoci se voi pensereste ad alleggerire i proprietari!

— Noi ridurremmo le spese... esercito, marina...

Luciano protestò: — Dio guardi l'Italia dalla finanza dei demagoghi... Altro che ridur le spese!... Voi le raddoppiereste... Troppa gente avete da contentare...

Mentre i due fratelli si bisticciavano, la signora Adele ammiccava a Vignoni.

— Il dottore è un po' socialista, se non m'inganno... Anch'io...

Ma la signora Adele non potè svolgere le sue idee perchè quasi contemporaneamente gli suoceri reclamarono Vignoni per sè.

— Dottore, non stia a discorrer di politica, e venga quì — disse l'ex Prefetto col suo tono alquanto imperioso.

E la querula signora Laura, che rimproverava l'Angela di averla fatta uscire in giardino, disse alla sua volta:

— Me ne appello a lei, dottore. Non è un'imprudenza, co' miei reumatismi, di rimanere all'aria aperta?

— Fin che c'è questo bel sole, no.

— Ma — riprese la vecchia valetudinaria — il sole è sul punto di nascondersi dietro gli alberi... E meglio ch'io rientri in casa.

— E a me è appunto il sole che dà noja — brontolò il commendatore. — Quando avevo i miei occhi sani non me ne dava; me ne dà adesso che non ci vedo... Una delle solite canzonature della vita... Del resto, penso di fare anch'io la mia dormitina... Arrivederci più tardi.

La Letizia gli riofferse il suo braccio. Ma la Marialì sostenne che questa volta toccava a lei.

— Nè l'una nè l'altra — dichiarò Ercole Torralba. — C'è l'Angela che ha più pratica.

— E la signora Laura darà il braccio a me — disse il dottore. — Io poi leggerò il giornale al signor Prefetto fin che si sia addormentato... Così la signorina Angela potrà trattenersi con gli ospiti.

Questa, che s'era avviata col padre, girò un momento la testa.

— Allora mi aspettate quì... Torno subito.

— Sì, sì, ti aspettiamo.

Incontrandosi nello stesso pensiero Luciano e Girolamo guardarono l'orologio; indi gridarono dietro alla sorella: — Tarderà molto la posta?... Hai mandato il giardiniere a prenderla?

— Sicuro, e non può tardare — ella rispose di lontano.

Luciano investì l'onorevole. — Vale la pena che tu sia deputato se non riesci a far organizzar meglio le poste e i telegrafi di questi paesi?... È incredibile... Una sola distribuzione al giorno...

— Scusa, in quanto a distribuzioni ce ne son due.

— Oh, quella della mattina è insignificante... E il telegrafo a cinque chilometri, e niente telefono... E l'Angela si maraviglia della brevità e della rarità delle nostre visite!

— Quando non se ne occupa il deputato del collegio, — obbiettò Girolamo.

— Chi è? Chi è?

— Un riccone, Basterini... un moderato di tre cotte.

Giulio Frassini che passeggiava su e giù con aria trasognata si fermò sui due piedi, e battendo sulla spalla del cognato — Caro mio — principiò — tu e Girolamo e Cesare...

— Chi mi nomina? — interruppe costui che stava chiacchierando con la Marialì.

— Io, io — replicò Frassini — E volevo dire che tutti voi altri, uomini e donne... forse la Letizia e l'Angela faranno eccezione... siete ammalati della malattia del secolo, l'inquietudine...

— O come se non l'avesse, lui, l'inquietudine! — esclamò la Marialì.

— La mia è d'un altro genere... Io inseguo le forme del bello che si sono perdute nella volgarità universale. Io cerco il simbolo ch'è l'essenza di tutte le cose... Ma la mia inquietudine è puramente intellettiva... La vostra è fatta d'ambizione, di cupidigia di danaro, di smania d'avventure... Può darsi che anche la mia uccida; la vostra uccide ed abbassa.

— La nostra conduce a qualche cosa, tu macini il vuoto — ribattè Luciano.

Intanto la Marialì tentennava il capo come a dire: — O che prendete sul serio le fisime di mio marito?

Da parte sua Frassini pareva non prender sul serio i suoi contradditori, perchè senza curarsi delle loro obbiezioni s'era rimesso a camminare con la testa china e con le mani intrecciate dietro la schiena.

In quella una bicicletta si fermò davanti al cancello e ne scese Bortolo, il giardiniere, con un fascio di lettere, di cartoline, di giornali.

— Quà, quà — dissero a una voce Luciano e Girolamo indicando la tavola di dov'era stato tolto da poco il servizio da caffè.

— Non è mai arrivata una posta simile a Villarosa — osservò Bortolo, mentre, dopo aver deposto il suo carico, si frugava nelle tasche per veder se avesse dimenticato qualche cosa.

In fatti aveva ancora un mucchio di biglietti da visita.

— Sono pel commendatore — egli disse — E ci devono essere anche cinque o sei lettere per lui... Le porterò alla signorina Angela... Dov'è?

— Or ora viene... Lasciate quì tutto quanto — ordinò Luciano.

E con ansia febbrile si mise a cercare la sua corrispondenza.

Lo stesso facevano Girolamo e sua moglie.

— Con vostro comodo — disse ironicamente la Letizia ch'era rimasta seduta — vedrete se c'è nulla per gli altri.

La Marialì s'avvicinò in silenzio alla tavola e prese il Figaro.

— È di Luciano, ma ora non lo legge.

S'intesero le due voci di Max e Fritz.

— Noi aspettavamo delle cartoline illustrate.

— Ecco, ecco... Sono più d'una dozzina.

— Ogni giorno ce ne arrivano.

— Ah, siete collezionisti?.

— Cinquemila e cinquecento ne abbiamo — rispose Max.

— In venticinque album — soggiunse Fritz.

— Più dieci album di francobolli — ripigliò Max, pavoneggiandosi.

Fritz corresse il fratello.

— Scusa, sono undici.

— Hai ragione, undici. Dimenticavo il piccolo.

— Avete anche bottoni da camicia? — domandò serio serio Cesare Torralba.

I due Alvarez guardavano lo zio col sorriso ebete di chi non capisce.

Intervenne la Letizia in aiuto dei figliuoli.

— Che spiritosaggini!

— Non c'è niente di male — ribattè Cesare. — Ne ho conosciuti io dei collezionisti di bottoni da camicia... Son gusti innocenti.

— Questo sì — ripigliò la Letizia che voleva slanciare una frecciata al fratello. — Son gusti tranquilli che non danno dispiaceri alle famiglie.

L'Angela scendeva frettolosa per la gradinata.

— Eccomi finalmente... L'avete poi ricevuta la posta?

Assorti nella lettura, Luciano e Girolamo non risposero che con un segno affermativo del capo.

L'Adele, alzando la testa da un giornale, additò le lettere e i biglietti rimasti sulla tavola.

— Saranno congratulazioni per le nozze d'oro. Povero babbo! Gli farà piacere che qualche amico lontano si ricordi di lui.

— Le apri tu le sue lettere? — chiese l'Adele ripiegando il foglio.

— Sì, in sua presenza... Talora le apre egli stesso, e io le leggo... Diamo un'occhiata ai biglietti... Oh! Carlo Tazzoni, senatore del Regno... Questo era consigliere delegato a Salerno, quando il babbo era Prefetto... Letizia dovrebbe ricordarsene.

— Sì, sì... Me ne ricordo perfettamente... Era allora un bell'uomo, alto, con due fedine da diplomatico, accurato nel vestire...

— Ma! — sospirò l'Angela. — È riuscito a esser senatore, lui... Il sogno di nostro padre...

E seguitò a tirar fuori dalla busta i vari biglietti.

Conte commendatore Annibale Zilli, Capo divisione al Ministero dell'interno — Onorevole Bariolo, deputato...

L'Angela stette un momento sospesa.

— Ora che ci penso, come va che questa gente ha saputo della nostra festa domestica?... Noi non abbiamo fatto pubblicità.

— C'era nel don Chisciotte di venerdì, a proposito di quella seduta a cui non potevo assistere — disse Girolamo. — È il numero che ho comperato per viaggio. Credo di averlo ancora in tasca.

L'aveva in fatti e lo porse all'Angela, richiamando la sua attenzione su un trafiletto di cronaca. «L'onorevole Torralba mandò una lettera al Presidente della Lega dei contribuenti scusando la sua assenza dalla seduta di iersera. Iersera appunto egli partiva per Villarosa ove i suoi genitori celebrano le nozze d'oro. Felicitazioni ed auguri.»

— A me occorrerebbe spedir subito due telegrammi — saltò su a un tratto Luciano. — Come si fa ora?

— Troveremo qualcheduno che li porti — disse l'Angela.

— No, no. Preferirei scriverli in stazione... Sono in francese e se non sono presente io chi sa che brioches!... Non c'è una bicicletta?

— Anch'io ho da telegrafare — dichiarò Girolamo. — Una gran seccatura questa mancanza d'un ufficio telegrafico!

— Dio buono! Non avrete mica l'apparecchio in casa nemmeno a Roma e a Parigi — esclamò l'Angela un po' annoiata nonostante la sua indole conciliativa.

A Girolamo venne un'idea luminosa.

— Se Max e Fritz ci prestassero il loro tandem si potrebbe andar insieme, Luciano ed io, sino a San Vito... Ve ne servite ora, ragazzi?

No, pel momento i ragazzi non se ne servivano, onde, consultata la genitrice, essi accondiscesero al desiderio degli zii e li precedettero nella rimessa ov'era depositata la preziosa macchina lucida, levigata, civettuola come i suoi proprietari.

— Non ve lo sciupiamo, no — disse Luciano rispondendo alla muta raccomandazione dei due giovinetti.

Quando il tandem passò davanti al cancello, quelli ch'erano nella villa sventolarono i fazzoletti ai due biciclisti.

— Occhio ai fossi! — gridò Cesare. — E non discutete di politica.

— Non c'è nulla di più antiartistico della bicicletta — osservò Frassini. — È un prodotto degno di questo secolo di bottegai.

— Lo volete fare il giro del giardino? — propose l'Angela.

Le tour du propriétaire — borbottò la Letizia pure assentendo alla proposta della sorella.

— Credo che l'Adele lo conosca appena — riprese l'Angela.

— È vero; fui quì tre o quattro volte, e il giardino non credo d'averlo mai girato tutto.

— È abbastanza grande.

— Grande! Grande! — ribattè la Letizia col suo tuono sprezzante. — Il ricinto non è piccolo, ma non c'è orizzonte... da noi a Posilipo c'è il mare, ci son le isole, c'è il Vesuvio...

La Marialì alzò le spalle.

— Se fai entrare nel tuo giardino anche il Vesuvio!

In fin dei conti a lei non importava nulla nè di Posilipo, nè di Villarosa, nè di luogo alcuno al mondo se non in quanto vi fosse l'opportunità di civettare. E il carattere affatto domestico della presente cerimonia le toglieva la speranza di far valere i suoi vezzi.

— La gioventù con la gioventù — disse l'Angela a Max e a Fritz. — Perchè non raggiungete l'Antonietta e Tullio che sono avanti già d'un buon tratto?

Cesare si mise a ridere. — Quelli non si confondono.

Ma gli Alvarez chiesero licenza alla madre di salire un momento in camera per riordinare le loro cartoline. Sarebbero discesi poi.

— Come vi piace — rispose la Letizia. — Non stenterete a trovarci... Non ci si perde a Villarosa, non c'è pericolo.

Indi ella vantò i suoi figliuoli. Ubbidienti, rispettosi, amorevoli, non movevano un passo senza consultarla, quantunque l'uno avesse diciott'anni, l'altro diciasette.

Nozze d'oro

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