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VI.

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La campana che a' bei tempi di Villarosa annunziava l'ora dei pasti ai membri della famiglia ed agli ospiti e il cui allegro e insistente din din richiamava i dispersi dalla strada, dal giardino, dall'orto, la campana che aveva cessato di suonare da quando la villa era abitata da tre sole persone, fece, quel sabato, un po' prima del tocco, riudir la sua voce che il lungo silenzio non aveva irrugginita.

E nella sala terrena ove la tavola era apparecchiata per quattordici entrarono primi l'ex Prefetto a braccio della Letizia e la signora Laura a braccio di Luciano; indi, alla rinfusa, Girolamo, sua moglie Adele che dopo molte incertezze s'era decisa a venire e con la sua presenza scongiurava oggi il pericolo dei tredici a tavola, la Marialì col marito e con l'Antonietta, Cesare, l'Angela e Tullio e i due fratelli Alvarez, Max e Fritz.

L'Angela segnò i posti.

— Quì il babbo, quì la mamma... Fra loro due seggo io. — E soggiunse più piano: — Bisogna che li ajuti, poveretti... Tu, Letizia, mettiti là, di fronte a me... La Marialì a destra del babbo, Luciano a sinistra della mamma... Dirimpetto a lei l'Adele... Fra l'Adele e la Letizia si metta Frassini... Alla destra della Letizia Girolamo e Cesare... I ragazzi ai due capi della tavola... Ma non così... Max e Fritz potrebbero dividersi.

La Letizia intervenne. — No, lasciali stare... Son sempre insieme.

— Capisco, ma...

Guardandosi intorno, l'Angela incontrò gli occhi supplichevoli di Tullio e dell'Antonietta ch'erano seduti accanto e che parevano dire: — Per amor del cielo, cara zia, non guastar le cose.

L'Angela non insistette e sorrise a questi due nipoti che le destavano tanta maggior simpatia degli Alvarez, duri e impettiti come due figurini d'un giornale di mode.

— Càstore e Pollùce — disse scherzosamente Cesare Torralba. — Però quei due figliuoli, quando saranno ufficiali, stenteranno a farsi imbarcare nello stesso bastimento.

— Non saranno ufficiali — replicò la Letizia con un'intonazione acre nella voce.

Vi fu un grido di meraviglia. — Oh bella! Non sono all'Accademia navale?

— Erano — rispose la madre, — ma li abbiamo levati, e non torneranno più... Anche mio marito, quando avrà terminato il suo imbarco, darà le sue dimissioni... Non si può servire questo governo... Il babbo lo sa.

Il commendatore Prefetto assentì alle parole della sua primogenita. — È vero, ma ignoravo che voi pure foste vittime di qualche ingiustizia.

— Altro che ingiustizie! Lascio stare il modo in cui trattavano i ragazzi all'Accademia; senz'alcun riguardo al nome che portano; due Alvarez!... Ma Pasquale, vedersi saltato anche nelle ultime promozioni!... Veder nominati contrammiragli in vece sua degli uomini da nulla...

— Ma, cara sorella — interruppe Girolamo, il deputato, — se mi scrivevi facevo un'interpellanza.

— Se ci fornite i dati necessari — soggiunse l'Adele, la donna politica — si potrà risuscitare la questione alla riapertura della Camera.

— Per me — riprese Girolamo — non domando di meglio che di raccoglier elementi per combattere il Ministero.

La Letizia tentennò la testa. — Sentirò da Pasquale. Ma credo ch'egli non vorrà... Ormai è deciso. Ha trent'anni di servizio e si farà liquidare la sua pensione.

— E i ragazzi che carriera sceglieranno? — ridomandò Cesare.

— Vedremo... Penseremo... Non c'è fretta... Grazie a Dio, hanno da vivere senza mettersi al servizio di nessuno.

Alle savie parole della genitrice i due fratelli si scambiarono un'occhiata piena di compiacenza e di fatuità.

— Tanto meglio! — disse Cesare Torralba che non aveva mai avuto troppo buon sangue con sua sorella Letizia e che non poteva soffrirne i rampolli. — Questo però non li esonera dall'obbligo di scegliersi un'occupazione... Non possono mica andar sempre in tandem.

L'allusione fece ridere. E in vero era parso un po' strano a tutti che gli Alvarez sentissero il bisogno di portare un tandem a Villarosa e di montarvi su ogni momento, isolandosi dal resto della compagnia.

— Se vanno in tandem, non so a chi facciano male — ribattè, piccata, la Letizia.

— Anzi, anzi... quando si divertono... — interpose l'Angela in tono conciliante.

Eh bien, petite mère — disse Luciano tra due cucchiajate di minestra, — come va?

Dacchè aveva fissato la sua dimora a Parigi, e sopratutto dopo il suo secondo matrimonio, Luciano Torralba interpolava sovente delle paroline francesi ne' suoi discorsi.

La signora Laura, con la sua voce querula, cominciò la lunga enumerazione de' suoi mali. Debolezza di stomaco, frequenti vertigini, dolori vaganti... E il braccio sopra tutto, il braccio sinistro quasi paralizzato...

— Non è paralisi — obbiettò l'Angela. — È reumatismo.

— Sì, sì, la conclusione si è che non posso adoperarlo, che son diventata un automa. Mi vestono, mi spogliano, mi danno da mangiare...

L'Angela fece un segno negativo col capo.

— Non è vero, la mamma esagera, non si fa che aiutarla... Del resto se la cava benissimo da sè, e se volesse...

Mentre la vecchia signora protestava contro l'insinuazione della figliuola, il commendatore Ercole, parlando con la Marialì che gli era vicina, tracciava una pittura altrettanto pessimista del proprio stato. Delle sue forze in generale non si lagnava; le gambe lo reggevano ancora; lo stomaco funzionava discretamente; ma che importano le gambe per uno che non ci vede e che non può far due passi fuori delle sue stanze se non è accompagnato; e che importa lo stomaco per uno che non ha denti e deve rinunziare alle vivande più saporite?... E che giornate interminabili erano le sue! Egli, ch'era stato sempre avvezzo a occuparsi, non poter scrivere una lettera, non poter leggere un libro, un giornale!... Almeno avesse avuto il sonno a sua disposizione!... Nossignori... Sonnolenza, sì... non foss'altro che per effetto della noja; ma una buona ora di sonno profondo, ristoratore, mai, meno forse di giorno, dopo il pranzo... Ah gran brutta vita!

— Gli è che Villarosa è fatta apposta per ammalarsi — sentenziò la Letizia. — Così triste, così umida, così fredda...

L'Antonietta Frassini non potè trattenere un'esclamazione.

— Trovi triste Villarosa, zia?... A me par tanto allegra...

Tullio era dell'opinione della cugina.

— Villarosa è calunniata... Non è in una posizione amena, siamo d'accordo, ma non è triste... Il giardino è così bello, ha di così belle piante... Io ci fui anche d'inverno e vi ho trovato dei giorni di sole come questo... Certo che se piove è un'altra faccenda... Ma la pioggia getta un velo di tristezza da per tutto... Vorrei che vedeste Parigi.

Es-tu bête, mon enfant? — interruppe Luciano, il padre. — Che confronti!... Con la pioggia o col sole Parigi è sempre allegra... E poi importa molto la pioggia o il sole a chi è nel vortice degli affari?

E soggiunse che in quanto a lui non comprendeva la vita fuori d'un gran centro, senza giornali, senza listini di borsa, senza telefono, senza telegrafo. — Pensare che quì bisogna far cinque chilometri per poter mandare un dispaccio, e che l'ufficio non è nemmeno aperto la notte!

— Siamo agli antipodi, caro cognato — dichiarò Frassini, il pittore rifiutato da anni a tutte l'Esposizioni. — Il vostro telegrafo, il vostro telefono, le vostre strade ferrate hanno rovinato il mondo... A forza di sentir le voci degli altri non sentiamo più la nostra... A forza di veder passare dinanzi a noi dei fantocci non abbiamo più occhi per cogliere i grandi simboli che soli chiudono la verità... L'arte ha smarrito la strada.

Luciano si accingeva a rispondere. Marialì lo prevenne.

— Se badassi a mio marito si andrebbe a vivere sulla cima d'un monte, o in mezzo a un deserto... Ci andrai tu, amico mio.

— Il povero babbo finisce sempre col fare quello che vuole la mamma — sussurrò l'Antonietta nell'orecchio al cugino. — In quanto a me, avrei molti de' suoi gusti.

L'Adele, la donna politica, volle dire anch'ella la sua.

— Io sono d'accordo con Luciano. Un gran centro ci vuole. Fuori di Roma non mi ci potrei vedere.

— A Roma — ribattè il commendatore Prefetto — non ci starei nemmeno dipinto... Mi pare che tutte quelle fucine d'intrighi, Parlamento, Ministeri, eccetera eccetera, debbano emanare delle esalazioni pestifere... Quel Ministero dell'interno è una camorra...

— E quello della marina? — esclamò la Letizia.

— Chi ve lo nega? — soggiunse il deputato. — Sono uno peggio dell'altro... Il guasto è nel sistema... Bisogna rinnovare ogni cosa ab imis fundamentis... E noi dell'estrema siamo lì per questo.

L'ex Prefetto si strinse nelle spalle.

— Voi?... Voi farete un monte di rovine, ecco quello che farete.

Luciano assentì.

— Voi rovinate il credito del vostro paese... Se fosse dipeso da voi, la Rendita italiana sarebbe oggi a 60...

— E voi, uomini di Borsa... — replicò Girolamo.

Ma l'Angela interruppe la disputa.

— Per amor di Dio, lasciate dormir la politica e la finanza... Non occupiamoci nè di Parlamenti, nè di Ministri, nè di Borsa, nè di Parigi, nè di Roma... Restiamo a Villarosa.

— Ma! disse Cesare. — Quanti anni che non ci troviamo seduti a questa tavola noi sei, fratelli e sorelle, intorno al babbo e alla mamma!

Si fecero i conti, si passarono in rassegna i vari avvenimenti, anche i tristi, in occasione dei quali la famiglia s'era riunita... Ora mancava l'uno, ora l'altro. Alla morte del povero Manlio, Cesare era lontano; ai funerali dello zio Luigi non era potuto venire Luciano, trattenuto da' suoi affari a Parigi... Conveniva risalire al matrimonio di Marialì, vent'anni addietro.

— Già, già — osservò il commendatore Ercole nel Settembre 1879... l'anno prima del mio collocamento a riposo,... quand'ero a disposizione del Ministero... Ministero Cairoli-Depretis.

— Tre di quei giovinetti non c'erano per la buonissima ragione che non erano nati — ripigliò Cesare accennando ai due Alvarez e all'Antonietta... C'era Tullio...

— Sicuro che c'ero — affermò costui. — E rammento...

— Che cosa vuoi rammentare? — interruppe la Letizia. — Ella sì avrebbe rammentato, la mia povera Laura... Aveva cinqu'anni allora.

— E io — ribattè Tullio — rammento benissimo ch'eravamo insieme e che, in chiesa, la zia Angela ci sollevò tutti e due perchè vedessimo meglio... Vestita di bianco, la zia Marialì mi pareva un angelo.

La Marialì arrossì come una collegiale. Avvezza a ricever di questi complimenti, avvezza anzi a cercarli, ella non sapeva dissimulare la soddisfazione che l'era procurata da ogni nuovo omaggio alla sua bellezza. E la ingenuità della sua civetteria era forse una delle sue maggiori seduzioni, era uno dei coefficienti di quella sua aria giovanile che, a quarantadue anni, l'avrebbe fatta credere, piuttosto che la madre, la sorella maggiore dell'Antonietta.

Giulio Frassini, il marito, la guardò attraverso la tavola con un misto d'ammirazione e di dispetto. Ell'era stata, ell'era sempre il suo idolo e il suo cattivo genio. Ell'aveva in lui avvilito l'uomo e ucciso l'artista, s'era impossessata di tutto l'esser suo, del suo corpo e della sua anima; aveva preso il suo tempo, sciupato il suo ingegno, trascinata nel fango la sua dignità... E nondimeno, anche oggi, dopo vent'anni di matrimonio, egli sentiva che non avrebbe potuto vivere senza di lei; anche oggi egli si maravigliava che vi fosse stato un momento un cui egli le aveva preferita la sorella Angela, la buona e sbiadita creatura che gli sedeva dirimpetto, occupata a sminuzzar le vivande per renderle mangiabili ai suoi genitori.

E com'era commossa l'Angela, e con che studio teneva bassi gli occhi, tanto da non lasciar veder le lacrime che le gonfiavano le palpebre! Il matrimonio della Marialì! Tutte le più minute circostanze ella ne ricordava; l'ora in cui s'era svegliata, l'abito che aveva indossato, il guanto che le si era stracciato calzandolo, le poche goccie di pioggia ch'eran cadute nel ritorno dalla stazione dopo l'accompagnamento degli sposi, il fazzoletto di batista ch'ell'aveva bagnato di pianto nel silenzio della sua camera, lo sforzo che aveva fatto per nascondere a tutti la sua emozione... E nessuno aveva capito, nessuno, dallo zio Luigi in fuori, aveva saputo niente. Ella lo sentiva ancora sulla fronte il bacio dello zio Luigi; sentiva le sue parole: — Quel balordo di Frassini se ne accorgerà dello sproposito che ha commesso sposando la Marialì invece di te.

Ella non aveva allora che ventiquattr'anni, eppure in quel giorno ell'aveva compreso che la sua giovinezza era tramontata, che il suo primo disinganno le aveva aperto nel cuore una ferita non sanabile mai. Ed ella aveva, in quel giorno, letto chiaro nell'avvenire. Sposate le sorelle, dispersi pel mondo i fratelli a eccezione di Manlio, ell'aveva previsto che le sarebbe convenuto rinunziare alle gioje di moglie e di madre e consacrarsi tutta quanta ai genitori e allo zio che probabilmente non si sarebbero mossi da Villarosa. I fatti le avevano dato ragione. Dopo un'effimera Prefettura durata pochi mesi, il commendatore Torralba aveva dovuto abbandonare in modo definitivo il servizio e s'era ritirato nella villa spezzando ogni legame col mondo; indi la morte di Manlio e dello zio Luigi, le vicende varie di Cesare e la partenza di lui per l'America avevano gettata una nuova ombra sulla casa e ribadite le catene dell'Angela. No, non l'era possibile, non l'era lecito pensare a sè stessa. E non vi aveva pensato più, aveva compito il suo sacrifizio umile, quotidiano, quel sacrifizio che nessuno avverte appunto perch'è quotidiano, perchè lo si crede diventato una seconda natura.

Ecco ciò che significava per l'Angela il matrimonio di Marialì, ecco perchè il richiamo di quelle nozze in questo giorno, in quest'ora, le recava un insolito turbamento. Tutti, quanti erano intorno a quella tavola, avevano vissuto o vivevano; con le loro passioni, coi loro capricci, coi loro gusti nobili o puerili, coi loro ideali grandi o meschini: l'ambizione politica, la febbre degli affari, la smania delle avventure, la galanterìa, la vanagloria; ella viveva fuori della vita; tutti avevano memorie e speranze; ella delle speranze non ne aveva, e le sue memorie non erano che tristi; per trovarne di liete l'era forza risalire all'infanzia... E ancora, fin che c'erano i suoi genitori, ell'aveva un'occupazione, uno scopo... Ma poi?...

Nozze d'oro

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