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V.

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— Saranno dieci anni in Febbrajo — notò Giacomo — che è morto quì il povero signor Manlio.

— Proprio in Febbrajo — sospirò l'Angela mentre si assicurava che le coperte del letto erano sufficienti. — Allorch'egli era un ragazzo e Cesare era appena uscito dalle mani della bambinaja era questa la camera ove stavano tutti e due nelle poche settimane di primavera e d'autunno che passavano a Villarosa. Dopo, Cesare principiò la sua vita randagia e la camera rimase al solo Manlio. V'erano però sempre i due letti... te ne ricordi?

— Sì, sì.

— E ogni volta che Cesare faceva una corsa alla villa, egli ripigliava il suo posto presso il fratello a cui voleva tanto bene.

— E quanto ne voleva a lui il signor Manlio! E come lo chiamava in quegli ultimi giorni!

— Cesare era allora a Costantinopoli... Non ci fu il verso d'avvertirlo — replicò l'Angela. — È stato un precipizio.

Troncando il discorso penoso, l'Angela volle verificar co' suoi occhi se c'era l'acqua nella brocca del lavamano, se c'erano i fiammiferi sul comodino e i pettini sul tavolino da toilette.

— Cesare potrebbe aver bisogno di riposarsi un pajo d'ore — ella disse. — Devono essere quasi quindici giorni ch'egli non dorme in un buon letto... E faceva di quei sonni quand'era un ragazzo!

Dalla camera di Cesare l'Angela, sempre accompagnata dal servo, passò nel quartierino assegnato alla Letizia Alvarez e ai suoi due figliuoli. La camera della Letizia era forse la più bella della villa, esposta a mezzogiorno, sul giardino, e non c'è dubbio che le cognate di Roma e di Parigi, se fossero venute, ne sarebbero state gelose. Meglio dunque, per questo lato, che non venissero. In quanto a Marialì, aveva tanti altri difetti, ma era tagliata più alla buona e non badava a certe piccinerie. Quella benedetta Letizia invece aveva i suoi fumi fin da ragazza, fin da quando, venticinque anni addietro, alla Prefettura di Salerno, faceva lei gli onori di casa in sostituzione della sua mamma sempre timida ed impacciata. Poi ell'aveva conosciuto il tenente di vascello Alvarez, che, sposandola, le aveva comunicato le sue arie di grande di Spagna in partibus, benchè, con tutto il suo Alvarez, egli fosse di famiglia borghese arricchitasi nel commercio di oggetti di tartaruga. E anzi questo traffico, abbandonato dal padre di lui, fu continuato sino all'ultimo da uno zio che aveva bottega in Piazza del Plebiscito e che in mancanza di parenti più vicini lasciò erede il nipote. Costui si affrettò a cedere il negozio, con l'espresso divieto di far figurare in qualsiasi modo il nome di Alvarez nell'insegna della nuova ditta, e mentre ereditava il patrimonio riusciva a far sparire dalla casa ogni traccia di tartarughe e dal cuore ogni ricordo dello zio generoso.

— Speriamo — disse l'Angela la quale aveva fatto addobbare a nuovo la camera — che queste tappezzerie incontrino il gusto di mia sorella.

— È un alloggio da regina — ribattè Giacomo. — Vorrei vedere che non ne fosse contenta!

— Tu non sai che luogo di delizie abbia mio cognato a Posilipo — riprese l'Angela. — Io conosco la posizione, un incanto; non conosco la villa che fu fabbricata solo negli ultimi anni; ma mio nipote Tullio che ci fu due volte me ne faceva una descrizione entusiastica. E sì ch'egli vive parte dell'anno a Parigi e anche a casa sua si trattano da gran signori.

Giacomo era poco persuaso. — Per la posizione, sarà. Lì c'è la collina, lì c'è il mare, e quì non abbiamo che una pianura bassa. Ma per la camera, via... neppure sua sorella ne avrà una migliore di questa.

— Almeno avesse il bagno accanto! — soggiunse l'Angela.

— Se vorrà fare il bagno — notò il servo — scenderà a pianterreno come gli altri... come, del resto, scendeva tre anni fa...

— Ti ricordi che se ne lagnava? E ripeteva sempre: Nella villa che stiamo fabbricando a Posilipo il bagno è attiguo alla camera da letto.

Giacomo si strinse nelle spalle. — In fin dei conti, quanto tempo si tratterrà quì? Cinque o sei giorni.

— Forse meno.

— E allora, scusi, che pretese ha? Viene a Villarosa per una festa di famiglia; dovrebbe pazientare se pur non ha tutti gli agi di casa sua.

— Hai ragione, ma...

E intanto l'Angela esaminava il tavolino da toilette su cui erano disposte boccette e boccettine d'acqua d'odore, e spazzole d'ogni misura per le unghie e pei denti, e scatole di cipria e lime e pinzette.

— Quì mi pare ce ne sia d'avanzo — ella osservò. — Già non c'è dubbio che la Letizia porterà seco tutto quello che le occorre.

— Ella, padroncina, non ha mai avuto tante smorfie — borbottò Giacomo.

— Io sono una zoticona, sono una campagnuola...

— E il defunto signor Luigi, poi, figuriamoci!

— Oh, quello era un filosofo... I suoi libri, le sue passeggiate, la sua pipa, e non voleva altro... Lo dicevano un orso.

— Ce ne fossero di quegli orsi! — esclamò il servo.

E la nipote seguitò. — Solo chi non lo conosceva poteva dirne male. Che cuore sotto quell'aspetto ruvido!

— S'è visto a' suoi funerali — disse Giacomo. — Da dieci, da venti miglia son venuti per rendergli onore.

— Povero zio! Era di cinqu'anni più giovine del babbo... Potrebb'esser oggi con noi... E chi sa?... Forse mio fratello Cesare sarebbe rimasto, forse certi attriti sarebbero stati evitati.

— È morto tredici mesi giusti dopo il signor Manlio, in Marzo.

— Appunto; in quell'anno non finiva mai di nevicare.

— E l'han portato via in mezzo alla neve..... Che tristezza!

L'Angela diede una capatina nella stanza attigua ch'era l'antica biblioteca dello zio e ov'ella aveva fatto collocare due letti pei due nipoti Alvarez.

— Certo ch'è molto ingombra e che quei due ragazzi saranno un po' pigiati. Ma sono due futuri militari e si adatteranno.

— Mi ricordo d'averli visti un'unica volta, da bambini... ed erano sprezzanti e scontrosi più del bisogno — borbottò Giacomo, mentre, traversando la sala, s'avviava con la padroncina alla camera che, da ragazzi, Luciano e Girolamo Torralba dividevano insieme e che ora l'Angela destinava al primo dei due fratelli.

Per la Marialì e pel marito era pronta la camera gialla, l'antica camera delle ragazze, ampia ed ariosa, ove le tre sorelle avevano scambiato tante chiacchere e fatte tante allegre risate, ove nessuna delle tre si svegliava la notte senza svegliare le altre due e richiamar la loro attenzione sul russare romoroso di Mademoiselle Lucie, la governante francese, che dormiva lì presso. Allora le tre birichine russavano anch'esse con certe note nasali così stravaganti e caratteristiche che Mademoiselle Lucie si destava in sussulto e gridava picchiando sul muro: — Mais, Mesdemoiselles, est-ce que vous ne pouvez pas dormir sans ronfler? C'est tout à fait inconvenant.

Oh felici autunni di Villarosa, quando la famiglia era tutta riunita, e i genitori erano sani e robusti, e non un'ombra turbava l'accordo delle tre sorelle! L'Angela non invidiava nè la bellezza florida e regolare della Letizia, nè la bellezza capricciosa e vivace della Marialì: anzi ell'era superba di loro, superba dell'ammirazione ch'esse destavano; sempre la prima a magnificare i loro pregi, sempre l'ultima ad accorgersi dei loro difetti. Ella non vedeva, non voleva vedere il freddo egoismo che si nascondeva sotto le apparenze corrette della Letizia, non vedeva, non voleva vedere, dietro il sorriso affascinante della Marialì, nei movimenti felini della sua persona leggiadra, una smania morbosa di piacere, di soverchiare, un desiderio insaziato di lodi e di adulazioni, una sensualità raffinata ed irrefrenabile. All'Angela bastava che quelle sue sorelle l'amassero, che così la maggiore come la minore (ell'era di tre anni più giovine dell'una, e di due più vecchia dell'altra) ricorressero a lei per consiglio e per ajuto, e perchè aveva anch'ella un poco di vanità (chi non ne ha a questo mondo?) si godeva a sentirsi dire: — Tu sei più savia, tu sei più buona di noi.

Ah, quelle parole la Letizia gliele aveva ripetute con amara ironia dopo la morte dello zio Luigi: — Era naturale che lo zio ti preferisse nel suo testamento. Tu sei la più savia, tu sei la più buona... anche con gli zii ricchi...

Questo aveva osato rinfacciarle la Letizia Alvarez, tornando dal cimitero, in una giornata rigida di Marzo, ed ella, colpita nel cuore dall'ingiuria immeritata, non aveva saputo nemmeno difendersi, non aveva saputo che inghiottir le lacrime che le rigavano il viso. Ah, in quel giorno ella s'era dovuta persuadere che non aveva più sorelle... L'altra, Marialì, la sua dolce Marialì, ella l'aveva perduta prima, fin da quando la bella inconsciente le aveva preso il cuore di Giulio Frassini e se l'era sposato...

Avrebbero ora dormito insieme in quella camera, Giulio Frassini e la Marialì, egli forse innamorato sempre della moglie ancor bella e seducente a quarantadue anni, ella con la testa piena di fisime galanti e di null'altro tanto sollecita quanto di conservare il più a lungo possibile il suo impero sugli uomini.

— Mia sorella è freddolosa — disse l'Angela dopo aver dato un'occhiata al letto. — Bisognerà che domattina la Maddalena aggiunga una coperta.

Ritto sulla soglia, reggendo con la destra il candeliere e posando la sinistra sulla gruccia d'un uscio, Giacomo aspettava.

— Apri, apri — ordinò la padroncina, ed entrò dietro di lui nella stanza che vent'anni addietro era occupata da Mademoiselle Lucie, e ch'ella, l'Angela, aveva presa per sè dopo il matrimonio delle sorelle, pur non passandovi la notte già da due anni, da quando cioè, per vigilar meglio i suoi genitori, ella dormiva al pianterreno.

Oggi quella camera era preparata per l'Antonietta, la primogenita della Marialì che doveva avere ormai 18 anni compiti, e che l'Angela non vedeva da tempo. Però, da quando la ragazza era uscita di collegio, zia e nipote s'erano scambiate lettere affettuosissime, e questa corrispondenza aveva fatto nascere tra loro una viva simpatia. Già all'Angela sorrideva l'idea di poter riportare sulla giovinetta la tenerezza ch'ella provava un giorno per la sorella. E ora, alla vigilia dell'arrivo di lei, ella pregustava la gioja di venire la mattina presto a chiamarla e di condursela in giro pel giardino e per l'orto e di far lunghe chiacchierate insieme.

— L'ultimo ritratto che abbiamo dell'Antonietta — ella osservò — è del 1895 quand'ell'era all'Annunziata a Firenze ed era tanto bellina, anche nel vestito da collegiale che generalmente ingoffisce.

— Nel 1892 — soggiunse Giacomo — allorchè la signora Marialì giunse improvvisamente a Villarosa coi figliuoli e vi si trattenne un paio di settimane, la signorina Antonietta era in sottane corte e aveva i capelli giù per le spalle. Era un po' magra, ma che splendidi occhi aveva! E che sorriso! E com'era piacevole e manierosa!

— I miei ricordi personali risalgono al 1890 — sospirò l'Angela; — al giorno dei funerali del povero zio... Nel 92 ero a Parigi da Luciano; nell'autunno del 96 la Marialì passò a Villarosa un giorno solo coi due maschi ch'ella accompagnava in Svizzera nel collegio ove sono tuttora.

— O che non ci sono scuole da noi? — domandò il servo.

— Ma! Ognuno ha i suoi gusti... Io, se avessi avuto figliuoli, non li avrei messi certo in collegio. Perchè allontanarli da sè?

Giacomo, ch'era un savio, fece una riflessione da par suo.

— Gli è che quelle che sarebbero nate per esser madri non si sposano; si sposano invece quelle per le quali i figliuoli sono altrettanti impicci.

— Bisognerà ricordarsi di far portar domani in questa camera una coppa di rose — riprese l'Angela lasciando cader l'allusione. — Una ragazza non può non amare i fiori.

— Il giardiniere diceva oggi che delle rose ce ne son poche.

— È tardi, lo so. Ma ce ne saranno abbastanza da riempirne una coppa... Villarosa, Villarosa! È un nome che crea degli obblighi... È vero però che converrebbe far nuovi innesti, nuove piantagioni, e quando i padroni non se ne occupan loro...

— Il signor Manlio e il signor Luigi avevano una passione pel giardino...

— Anch'io l'avrei... Ma non ho tempo... purtroppo!

— E sacrificata sempre...

— No, Giacomo, non è la parola giusta... Non è un sacrifizio, il mio; è un dovere sacrosanto che mi augurerei di poter compiere fino all'ultimo giorno della mia vita... Triste, triste cosa il veder invecchiare coloro a cui si vuol bene!

Dopo una breve pausa, e senza indugiarsi in altre considerazioni, l'Angela ripigliò: — Ora siamo quasi al termine del nostro giro. Non ci restano che le due camere del signor Girolamo e del signor Tullio... Animo, facciamo quest'ascensione.

Le due stanze erano al secondo piano, tutt'e due in buonissima plaga; non avevano che l'incomodo della scala un po' erta.

— Girolamo capirà che non si poteva diversamente — disse l'Angela. — Luciano è piuttosto corpulento e non era possibile collocarlo quassù... Anche mia cognata, se viene, s'adatterà... Non saprei proprio in che altro modo accomodarla... Però bisognerà domattina portar su una poltrona...

— Di dove la leviamo? — chiese Giacomo. — Ha voluto che tutti gli ospiti ne avessero una!

— Non è vero... Tullio non ne avrà... Quì metteremo la mia.

— Vuol privarsi di tutto...

— Credi pure che in questi giorni avrò altro da fare che sdraiarmi sulla poltrona!... Già me ne servo sempre pochissimo... E ora un'occhiatina alla camera di mio nipote, e poi scenderemo... Dev'esser tardi?

— Non ha sentito?... Saranno già dieci minuti che l'orologio di sala ha battuto la mezzanotte.

— Quì non c'è nulla di troppo — disse l'Angela guardando lo scarso mobilio della camera ove avrebbe dormito suo nipote...

— Oh, il signor Tullio non ha esigenze...

— No, affatto... È un gran ragazzo simpatico.

— E per quello che ci starà lui nella sua camera!... Monterà all'alba sulla sua bicicletta e non tornerà fino a ora di colazione.

L'Angela fece un segno negativo col capo. — Intanto io credo che questa volta non l'avrà mica con lui la bicicletta... E se non viene che per due tre giorni non avrà mica tanta fretta d'andare in giro per la campagna... Però — ella soggiunse come se le rimordesse di non aver pensato anche a questo, — però, in caso disperato, potremo trovare una bicicletta a prestito... C'è quella del giardiniere, c'è quella del fattore...

— Ormai non c'è' altra abbondanza — notò Giacomo. — Perfino la moglie del segretario comunale ha la sua... Ella, padroncina, non ha mai voluto saperne...

— Tutta questa, caro mio, è roba da giovani e non fa per me.

— O ch'è vecchia forse?

— Si è quello che le circostanze ci fanno. Son vecchia, anche più della mia età... Mi basta vivere fin che vivono quei due poveri infermi... Come tirerebbero innanzi s'io non ci fossi?... Andiamo, Giacomo... Riaccompagnami giù.

La Maddalena sonnecchiava nella poltrona. Al giungere dell'Angela ella si scosse, si fregò le palpebre e si alzò in piedi.

— È lei, signorina?

— Sì... Mi hanno chiamata?

— Nossignora... Dormono.

Dalle due camere di destra e di sinistra si sentiva il respiro corto, sibilante dei due conjugi. Oh nozze d'oro, nozze d'oro!

Nozze d'oro

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