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VII.

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Verso la fine del pranzo, Luciano, il primogenito dei Torralba, alzò il bicchiere colmo di vino.

— Alle nozze di diamanti!

— Evviva! — risposero in coro i presenti levandosi in piedi.

Ma con un gesto il commendatore li invitò a sedere e trattenne quelli che si avvicinavano a lui e alla signora Laura per rinnovare gli augurî.

— Non diciamo sciocchezze... Ce n'è d'avanzo delle nozze d'oro, e badate che l'anniversario se ne festeggia domani soltanto e alla nostra età non si sa mai...

Sorse una protesta unanime.

— Eh via, che discorsi!

— Discorsi di stagione... Comunque sia, se domani saremo al mondo, vi permetterò i brindisi...

— A proposito di stagione — saltò su la Letizia, — il babbo, la mamma e l'Angela dovrebbero venir quest'inverno a Posilipo... Converrete che, almeno d'inverno, il soggiorno di Villarosa è impossibile.

— Cara mia — riprese l'ex Prefetto — c'è una cosa più impossibile ancora, ed è quella che noi ci moviamo di quì.

— Ma perchè? Ma perchè?

— Perchè siamo vecchi, perchè siamo invalidi, perchè io ci vedo appena, e tua madre è piena di doglie.

— Non mi posso muovere, no, io, — piagnucolò la signora Laura. — Voi piuttosto dovreste esser meno avari delle vostre visite...

E la vecchia signora tacque, stupita di aver avuto il coraggio d'esprimere un suo desiderio.

Ma! Tutti sarebbero voluti venire, ma tutti avevano qualche impedimento, erano presi in qualche ingranaggio che toglieva loro ogni libertà d'azione.

— Quando si è a capo d'una Banca — sospirava Luciano.

E Girolamo diceva: — Quando si prende sul serio la deputazione!

— Quando c'è di mezzo l'Oceano! — soggiungeva Cesare.

E la Letizia accampava la scusa della sua numerosa famiglia (oltre a Max e Fritz aveva due bimbe rimaste a casa) e la Marialì in mancanza d'argomenti plausibili (non poteva confessare che non era capace di star una settimana in un luogo ove non ci fossero uomini che le facessero la corte) si trincerava dietro vaghe promesse. Chi sa?... Forse.

— Veniamoci, mamma, quest'inverno a Villarosa — pregò l'Antonietta.

— Proprio d'inverno?

— Ma sì... Scommetto che con la neve non è punto triste.

— Brr!

— Io — interpose Tullio — se i nonni e la zia me lo permettono, ci verrò senza dubbio quest'inverno... anche più d'una volta.

— Bravo, Tullio! — gridò la zia Angela — Che regalo ci farai!

— Ecco, mamma — soggiunse l'Antonietta, — si potrebbe mettersi d'accordo.

— Oh che bella cosa fareste! — esclamò l'Angela giungendo le mani e guardando con infinita tenerezza i due cugini che, già, nella sua mente, ella vedeva stretti da un vincolo più sacro e tenace.

La Marialì se la cavò con un'altra di quelle frasi che non impegnano. — C'è tempo... ci penseremo.

Giacomo, il servo, che girava col piatto della frutta, susurrò una parola all'orecchio della padroncina.

L'Angela si rivolse prima al suo babbo e alla sua mamma, poi al resto dei commensali.

— È una così bella giornata... Lo volete prendere in giardino, il caffè?

— Sì, sì, in giardino.

Però la signora Laura tentennava. — Con le mie doglie?

— Quì davanti c'è il sole — disse la figliuola. — Ti ravvolgerò nel tuo sciallo.

— Ma dopo mi accompagnerai in camera.

— S'intende... E anche il babbo farà il suo chilo.

L'ex Prefetto assentì energicamente.

— Sfido io!... È la sola ora che dormo bene.

Intanto i due Alvarez insegnavano con molta gravità alla zia Marialì il modo di sbucciar le pere tenendole sollevate con la forchetta e senza toccarle con le dita.

Parfaits! — disse la Marialì con un'ammirazione un po' ironica. — Potreste aprire un corso di belle creanze.

Indi ella chiese all'Angela: — Sono le vecchie pere di Villarosa, non è vero?

— Sì, quelle piantate a spalliera nell'orto.

— Ai nostri tempi non venivano mai a maturità.

— Le mangiavamo acerbe.

— E come s'arrabbiava lo zio Luigi!

— Una volta ha amministrato a me una lezione coi fiocchi — osservò Cesare. — Nella mia sbadataggine avevo svelto un ramo del prezioso arbusto.

— E il pesco, il bel pesco che sorgeva dietro la casa del giardiniere, c'è ancora? — domandò Luciano.

— No, pur troppo — rispose l'Angela. — È morto nell'inverno del 1895 in seguito ai geli... Oh, quello fu un anno fatale pei nostri alberi fruttiferi.

— E non avete ripiantato?

— Quando in famiglia non ci son più giovani non si ripianta — sentenziò il commendatore. — Noi non li avremmo visti crescer quegli alberi, e sa il cielo chi verrà a star quì dopo di noi... Nessuno de' miei figli ama Villarosa.

— Io, io l'amo! — avrebbe voluto gridar l'Angela. Ma aveva un nodo alla gola. Sentiva che le sue parole sarebbero state strozzate dai singhiozzi. Pur si chinò verso suo padre e gli disse piano: — Se credi, possiamo alzarci.

Di nuovo il commendatore prese il braccio della Letizia: di nuovo la signora Laura s'appoggiò a quello di Luciano, ordinando in pari tempo all'Angela di andarle a cercare lo sciallo. Doveva averlo lasciato di là, in salotto.

— Eh, lo so che ci sono gli scalini — protestò l'ex Prefetto, infastidito degli avvertimenti della Letizia.

— Ci vedi dunque?

— Che c'entra il vederci? È la forza dell'abitudine. Anche quelli che son ciechi affatto camminano soli nella loro casa... Io distinguo ancora gli oggetti, le persone come dietro un velo, come in un'ombra... Le tenebre complete verranno.

— Perchè dovrebbero venire?... Consulta uno specialista... A Napoli...

— Che Napoli?... Il Toschi di Milano, una celebrità, che fu quì l'anno scorso, giudicò pericolosa ogni cura energica, non trattandosi già di una malattia ma di un indebolimento progressivo del nervo ottico.

S'intese la voce squillante, argentina dell'Antonietta.

— Oh che bellezza, che sole, che sole!... Par d'essere in estate... E poi si sosterrà che Villarosa è triste!

— Ecco la mia poltrona — disse la signora Laura a Luciano, sedendo faticosamente. — Ma io non resto che pochi minuti.

Si guardò intorno, inquieta. — Quest'Angela...

— Son quì — rispose la figliuola accorrendo con lo sciallo e ravviluppandone le spalle e il petto della madre.

Anche il commendatore Ercole sedette in una sedia a bracciuoli.

— Il caffè lo verso io — dichiarò la Marialì ritta davanti alla tavola di vimini dove Giacomo aveva posato il vassojo con le chicchere. — Lo verso io e l'Antonietta lo distribuirà. Credo di ricordare il gusto di tutti quanti... Il babbo poco zucchero, la mamma molto... Luciano due pezzi...

— Per me solo una mezza tazzina — disse la signora Laura. — Mi piace tanto il caffè, ma mi agita i nervi. Se badassi al dottore, non ne prenderei affatto.

Nozze d'oro

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