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IV.

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La Teresa Valdengo non vedeva, si può dire, quasi nessuno; un po' perchè la sua intimità con di Reana contribuiva a isolarla, un po' perchè in quella stagione i suoi conoscenti, maschi e femmine, erano per la maggior parte fuori di città. Invece non passava giorno che la posta non le recasse tre o quattro lettere. Già la sua corrispondenza era stata sempre attiva. Si manteneva in rapporti epistolari con antiche compagne d'infanzia, maritate qua e là, con una vecchia zia che abitava a Torino, con una signora inglese che veniva di quando in quando a Venezia e che aveva preso a volerle bene; in fine, con vari amici che un tempo frequentavano la sua casa e che le circostanze avevano sbalestrati pel mondo.

Quell'autunno poi pareva che gli assenti si fossero messi d'accordo per iscriverle più del solito.

Intanto la Maria di Reana, la quale non usava dar segni di vita che a intervalli lunghissimi, spesso la tempestava delle sue epistole. Ai primi ringraziamenti per aver cortesemente accolto il figliuolo erano successe effusioni maggiori. Non sapeva più in qual modo esprimerle la sua gratitudine dell'aver preso così a cuore le sue raccomandazioni; dell'aver sacrificato una parte della sua villeggiatura per occuparsi di quel bambinone di Guido; dell'esser riuscita così bene a distrarlo e a confortarlo. Se avesse visto ciò che Guido scriveva di lei; come ne esaltava la bontà, lo spirito, l'ingegno! Ella lo aveva proprio affascinato, incantatrice!

E la Maria, tra il serio e il faceto, chiedeva l'ultimissima fotografia dell'amica. Ne aveva una di due anni addietro, e a suo tempo ne aveva mandato alla Teresa le più sincere congratulazioni. Si conservava benissimo. Ma certo in questi due anni, doveva essere ancora abbellita e ringiovanita! Meno male ch'ella era savia, d'una proverbiale saviezza, e che Guido stava per imbarcarsi… Se no, chi sa quel che sarebbe accaduto?

Questi scherzi, queste allusioni mettevano la Teresa di cattivo umore.

Ella supplicava Guido di nominarla meno che fosse possibile nelle sue lettere alla famiglia, di moderare il suo entusiasmo, di non provocare da sua madre quelle manifestazioni eccessive che la facevano arrossir di vergogna. Dal canto suo, nel rispondere alla di Reana, ella gettava acqua sul fuoco. Non badasse a quell'esagerato di Guido; ella non aveva fatto nulla di straordinario per lui; non era neanche vero che gli avesse sacrificato una parte della sua villeggiatura; la sua villa di Mogliano era in fabbrica ed ella non sarebbe potuta andarvi sino alla fine di ottobre. E non credesse poi che ci fosse voluto tanto a sradicar dalla memoria del giovinotto la mala femmina di cui i di Reana avevano un così grande sgomento; la ferita era bell'e rimarginata fin dall'arrivo di Guido a Venezia e bisognava pur riconoscere che la sirena non aveva tentato nulla per accalappiar nuovamente il suo merlo. In quanto alla fotografia ultimissima che le si domandava, la Teresa prometteva di spedirla quando se la fosse fatta fare; l'ultima era sempre quella di due anni addietro, e a lei non pareva punto di essere abbellita e ringiovanita in questi due anni.

«Troppa modestia», replicava la di Reana insistendo nel dare all'amica tutto il merito della guarigione di Guido e ripetendo le espressioni ammirative. E poichè la Teresa non diceva ancora di essersi rifatta la fotografia, le si domandava addirittura l'originale. Vincesse la sua pigrizia, e, se non la spaventava una casa con quattro figliuoli tra maschi e femmine, andasse a passare il novembre colla sua vecchia amica a Posilipo presso Napoli. Fosse colpa dei restauri o della visita di Guido, era positivo che quell'anno ell'aveva sacrificata la sua villeggiatura, e che ormai non avrebbe potuto goderne che nella stagione meno propizia. Invece nel Mezzogiorno anche il novembre era delizioso. Che impegni aveva ella a Venezia? Che difficoltà a fare una corsa a Napoli? Forse le sarebbe stato agevole il trovar compagnia; ma se pur non ne trovava, o che le signore non viaggiano anche sole? Non hanno dei vagoni apposta per loro? La sua venuta sarebbe stata una provvidenza per tutti quanti, per lei specialmente che, sebbene facesse la donna forte, non poteva non esser di cattivo umore all'idea di non dover rivedere il suo primogenito per tre anni.

Il curioso si è che, quasi contemporaneamente, la Teresa riceveva altri due inviti; l'uno dalla zia di Torino, l'altro dall'amica inglese che quell'anno non poteva venire in Italia e la sollecitava a traversar la Manica.

Ella rispose a tutti ringraziando, senz'accettare nè rifiutare, deliberata però a non andare in nessun luogo, e meno che mai dai Reana, ove le accoglienze entusiastiche che le si preparavano le sarebbero parse un'ironia o una profanazione.

Altro corrispondente della Teresa in quell'autunno era il conte Vergalli in giro per l'Europa centrale. Da Monaco, da Beyreuth, da Vienna, da Weimar, da Berlino, da Francoforte, da Dresda egli le comunicava le sue impressioni, le discorreva delle gallerie viste e riviste, della musica di Wagner, dei ricordi di Goethe, esprimendo il rammarico che una donna così intelligente com'ella era non subisse il fascino dei viaggi. Tuttavia egli si sarebbe preso l'impegno di farglieli amare se… Questi puntini significanti che ricomparivano di tratto in tratto tenevano luogo delle frasi più calorose ch'ella non avrebbe permesse… E molto vaghe, molto discrete erano anche le allusioni all'ufficialetto di marina del quale nei primi tempi, quando nulla di grave era successo, ella gli aveva parlato frequentemente. Egli scherzava su questa flirtation a cui non voleva attribuire nessuna importanza. Conosceva troppo la sua savia amica da aver paura ch'ella cedesse ad impeti irriflessivi. D'altra parte a lui ripugnava l'ufficio del pedagogo… In qualunque momento avesse bisogno di lui sarebbe a' suoi ordini. Non aveva che da scrivergli o da telegrafargli. Fosse anche al polo Nord, sarebbe venuto.

Queste lettere che rivelavano un'affezione così profonda e disinteressata, una sollecitudine così viva e piena di tanto riserbo, erano per la Teresa nello stesso tempo un conforto e un rimprovero. Sentiva d'avere in Vergalli un amico a tutta prova al quale nessun sacrifizio sarebbe parso troppo grave, ma sentiva pure il rimorso di non essere stata franca con quell'amico, e pensava al dolore ch'egli avrebbe provato quando gli fosse nota tutta la verità. Intanto doveva sforzarsi a scrivergli disinvolta senza schivar di nominargli di Reana (che sarebbe stata un'affettazione contraria allo scopo) ma nominandoglielo poco e soffermandosi di preferenza a discorrer di cose indifferenti: dei restauri della sua villa che procedevano in modo da lasciarle speranza di passarvi una quindicina di giorni in novembre; della stagione ch'era un incanto e che rendeva assai meno triste l'ottobre solitario di Venezia; delle notizie ch'ell'aveva di qualche conoscente comune, ecc. ecc. Mostrava poi d'interessarsi grandemente a ciò che Vergalli raccontava di sè e dei suoi viaggi, e si faceva una festa all'idea di riparlarne con lui nelle loro tranquille serate d'inverno, quando si bisticciavano spesso a proposito d'arte, di musica, di letteratura…

Ahi quante volte, mentr'ella scriveva in tal modo, quante volte era tentata di stracciare il foglio, di mutar tuono e di dire al conte Mario: «V'ingannate facendo assegnamento sulla mia saviezza. V'ingannate credendomi incapace di cedere ad impeti irriflessivi. La Teresa Valdengo che volevate per vostra moglie oggi non sarebbe più degna di portare il vostro nome, nè voi osereste più offrirglielo. Ella non ha più diritto d'aspettarsi da voi se non l'indulgenza che s'accorda ai colpevoli sventurati.»

Non lo diceva; troppo le ripugnava una confessione che avrebbe precipitato il ritorno del Vergalli, che lo avrebbe forse messo di fronte a di Reana: ma come le costava il mentire; ma che fatica era per lei il riempir quelle quattro paginette, che, durante altre assenze di Mario, ell'aveva riempite con tanta facilità! E come le si leggevano in viso le traccie della lotta combattuta con sè medesima!

—O hai ricevuto una epistola del tuo Mentore, o gli hai scritto—le diceva di Reana. E fremeva, pur non osando, dopo il rabbuffo avuto, insistere per conoscere il tenore di queste corrispondenze. Fu la Teresa stessa che un giorno, sorpresa da lui nel punto che stava per chiudere una lettera destinata al conte, la tirò fuori spontaneamente dalla busta e gliela diede fra le mani.

—Tu permetti… davvero?—chiese Guido non credendo a sè stesso.

—Sì…

Egli scorse rapidamente il foglio e parve rasserenarsi.

—Gli dai del voi?

—Non c'è nulla di singolare, con un amico di quindici anni.

—Oh, no certamente… E anch'egli ti dà del voi?

—Anch'egli… Perchè mi darebbe del lei?

—Avevo paura…

—Di che cosa?

—Che con la scusa di esser molto più anziano di te e di averti conosciuta appena maritata…

—Ebbene?

—Ti trattasse con confidenza ancora maggiore;… ti desse del tu insomma.

Ell'aperse la scrivania e ne tirò fuori a caso una lettera, porgendola a Guido che sulle prime finse di non volerla.

—Leggi—ella intimò.—Tanto fa…

Egli esitava ancora.

—Leggi—ripetè la Teresa.

—Pur che tu non mi tenga il broncio.

Ella fece un gesto d'impazienza.—Dal momento ch'io stessa ti dico di leggere…

—Allora… ubbidisco.

La Teresa chinò la testa in segno affermativo, mentre un sorriso leggermente ironico le sfiorava le labbra.

Nel restituirle il foglio, l'ufficiale fece atto di piegare il ginocchio e susurrò:—Perdono.

Ella si strinse nelle spalle. Poteva dire d'averla intesa quella parola nel poco tempo dacchè conosceva Guido di Reana; poteva dire d'averglielo accordato questo perdono! E si tornava sempre da capo!—L'amore è fatto così—era la scusa di Guido. Ella sospirava. Amare è dunque la stessa cosa che tormentare?

Il fallo d'una donna onesta

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