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V.

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Da più giorni il Cristoforo Colombo era ancorato nel bacino di San Marco. La Teresa sentiva gli squilli della tromba sonante la diana al mattino e la ritirata la sera, vedeva, affacciandosi alla finestra, la nave candida galleggiar sull'acqua tranquilla, vedeva issare e calar la bandiera, e i marinai, agili come scoiattoli, salir sui pennoni, e l'ufficiale di guardia, con le mani intrecciate dietro la schiena, camminar su e giù per la coperta. Col cannocchiale le sarebbe stato facile distinguer le fisonomie. Guido di Reana le aveva proposto un sistema di segnali per conversare insieme nell'ora in cui egli era a bordo; ella non volle; non volle nemmeno visitare il bastimento. Confessò che quella mole bianca le destava un terrore superstizioso, confessò che l'odiava. O forse il suo rifiuto aveva una ragione più semplice. Le ripugnava esporsi ai commenti dei compagni di Guido, che senza dubbio avevano scoperto l'intrigo galante del loro amico.

Comunque sia, era vero ch'ella odiava il Cristoforo Colombo, ma non l'odiava perchè tra poco le avrebbe portato via il suo amante. Per quanto ella tentasse giustificare ai propri occhi l'onta della sua caduta con la scusa della passione, ella non poteva sperare, non poteva nemmeno augurarsi che questo stato di cose durasse a lungo. Che Guido di Reana partisse presto, che partisse per lidi remoti era forse il meglio che potesse succedere. Ma il Colombo rappresentava per lei una di quelle fatalità della vita contro cui si ribellano gli spiriti logici, positivi, nemici dell'imprevisto. La Teresa Valdengo pensava che se quel bastimento, anzichè salpare da Venezia pel suo viaggio di circumnavigazione, fosse salpato da Genova, da Napoli, dalla Spezia, da Taranto, ella, secondo ogni probabilità, avrebbe continuato a menar la sua esistenza scolorita ma calma e serena, e sarebbe giunta rispettata e tranquilla a quel porto della vecchiaia che non teme più le burrasche. Ah per questo ella odiava il Colombo.

Intanto sui giornali si leggevano notizie contradditorie circa alla data della partenza e all'itinerario della nave. Un giorno la Gazzetta aveva un telegramma da Roma portante l'annunzio che il capitano di vascello Gerletti destinato a comandare il Cristoforo Colombo era stato ricevuto da S. E. il ministro della marina. Pare, aggiungeva il dispaccio, che il legno lascierà il porto di Venezia il 28 corrente e farà rotta per la Plata.

Ma il giorno appresso c'era una rettifica.

«Si afferma insistentemente che, in seguito alle perturbazioni politiche dell'estremo Oriente, il Cristoforo Colombo non sarà diretto più per l'Atlantico ma per i mari della China. Il comandante Gerletti è ancora alla capitale. La partenza potrebb'essere ritardata di una settimana».

Era certo però che, se non agli ultimi di ottobre, ai primissimi di novembre il Colombo avrebbe abbandonato Venezia, e la Teresa non potè indugiar più oltre a secondare un desiderio di Guido. Egli voleva ad ogni costo la sua fotografia. Quella di due anni addietro non gli bastava; voleva quella della donna che lo aveva amato e ch'era infinitamente più bella. E questa fotografia egli voleva metterla in cornice, voleva collocarla nel suo camerino in un posto d'onore, come i devoti tengono l'immagine della Madonna.

Ella tentennava la testa.—Prima che finisca il viaggio quante ce ne saranno di queste Madonne!

—Una sola! una sola!—proruppe enfaticamente l'ufficiale.

Il fotografo (al servizio delle LL. MM. il Re e la Regina e decorato con medaglia d'oro in parecchie Esposizioni) la ritrasse in due pose, e nel prometterle, poich'ella aveva fretta, di mandarle l'indomani le prove, aggiunse qualche sdolcinatura all'indirizzo della cliente che aveva onorato tante volte il suo Stabilimento e ch'era sempre uno dei soggetti che recano maggior soddisfazione all'artista. La Teresa, pur non dandone segno, fu piuttosto punta che lusingata da questi complimenti banali e non potè a meno di chiedere a sè stessa se in lei, per solito così riservata nell'aspetto e nei modi, vi fosse qualche novità da autorizzare una maggior confidenza. O forse la sua tresca era nota anche al fotografo, o forse le si leggeva in viso ch'ella era uscita dalla via retta.

Comunque sia, l'indomani sera (era di martedì) ell'ebbe le prove, riuscitissime tutt'e due, e stava esaminandole quando giunse Guido di Reana.

L'ufficiale era turbato.

—Che cos'hai?—ella gli chiese prima ch'egli aprisse la bocca.

—Giovedì mattina si parte.

Ella impallidì. Doveva esserci preparata; c'era troppo dolore nella sua voluttà perch'ella non dovesse invocarne la fine; pure all'annunzio della separazione imminente ell'ebbe una stretta al cuore.

—Giovedì!—ella ripetè con voce sorda.

—Sì, al Ministero non sanno mai quel che si vogliono—disse Guido sinceramente addolorato.—Pareva che avessero deciso di ritardare fino ai primi di novembre; invece, che è che non è, oggi piomba da Roma come un fulmine il comandante Gerletti e ci dà la bella notizia.

—E… dove andate?

—La prima tappa sarà Porto Said… Poi pel Canale, pel Mar Rosso, pel Mare Indiano, finiremo in qualche porto della China o del Giappone a marcir laggiù chi sa per quanti mesi…. Ma già tutto è lo stesso… dal momento che ti lascio… Dio, Dio, che pena!

Egli aveva le lagrime agli occhi. Toccava a lei far la parte di confortatrice.

—Era inevitabile… Almeno ti ricorderai?

—Potrei dimenticare?

Ella sapeva ch'egli avrebbe dimenticato, nondimeno finse di credere e lo ringraziò con un mesto sorriso.

—E tu, e tu mi scriverai?—egli riprese con calore.

—Ti scriverò… Dove?

—Intanto a Porto Said… Ch'io trovi una tua lettera appena arrivo… Io, di là, o da quel luogo qualunque dove si poggiasse prima, ti manderò un fascicolo.

Ella lo interrogò con lo sguardo.

—Sì… perchè a bordo io ti scriverò ogni giorno… per impostar tutto in una volta.

Una voce intima diceva alla Teresa che quegli ardori sarebbero presto sbolliti, che la loro corrispondenza sarebbe durata ben poco; pure non replicò nulla. Egli era sincero allora; perchè affliggerlo? Richiamò invece l'attenzione di lui sulle fotografie che egli non aveva ancora viste.

—Oh belle, belle!—egli esclamò ammirandole entrambe e non decidendosi a scegliere.

—Non ti pare che questa renda meglio l'espressione della mia fisonomia?—chiese la Valdengo accennando a quella che la rappresentava seduta, col gomito appoggiato a un tavolino, con una guancia appoggiata alla mano.

—Forse… Ma la tua persona svelta, flessuosa spicca meglio nell'altra.

—Ti spedirò quella che preferisci.

—Spedire?

—Sì; queste non sono che le prove.

—Che importa? Già non hai da mostrarle a nessuno… E non ne hai punto bisogno per ordinare quante copie vuoi… Le prendo tutt'e due.

—No, Guido, è inutile. Che ne faresti di tutt'e due?

—O che ti deve pesare a lasciarmele? Di qui a una settimana potrai distribuirne a dozzine…. potrai beneficarne gli amici lontani…. Adesso voglio averti io sola, anche in effigie.

Egli era esclusivo, dispotico, egoisticamente geloso degli amici lontani (l'allusione a Vergalli era chiara), ma alla Teresa non reggeva l'animo di avvelenar coi contrasti l'ultime ore ch'ella e Guido sarebbero rimasti insieme; e cedette.

L'ufficiale, dopo ch'ebbe riposta in una tasca interna del soprabito la busta con le fotografie, le cinse con un braccio la vita, le sfiorò con le labbra i capelli e le susurrò nell'orecchio un'altra promessa ch'era tempo di mantenere.

—Domani dalle dieci fino a mezzanotte son libero… Alle undici del mattino ti aspetto da me.

Ella, imporporandosi il viso, lo guardò supplichevole.—Ci tieni tanto?

La fronte di Reana s'annuvolò.—Non rammenti la parola che m'hai data?

—Sì, t'ho dato la parola di tornar da te prima che tu partissi.

—Dunque… Parto doman l'altro…

—Non è lo stesso il venir a casa mia?

—No che non è lo stesso… Già non mi permetteresti di rimaner tutta la giornata e io ti voglio per tutta la giornata… E poi… sei curiosa… Tanti casi perchè il giorno che fosti da me hai trovato quell'imbecille di marinaio!… Domani, te lo giuro, non troverai nessuno… Saremo noi due soli… ben più soli che qui, ove si sta sempre in sospetto… Perchè, in fine, credi che la tua gente di servizio non capisca nulla?

La Teresa chinò la fronte vergognosa. Ella sentiva che Guido aveva ragione, ch'era ingenuo il sopporre che la servitù non avesse scoperto i loro amori, non avesse origliato agli usci, commentato con plebea volgarità la frequenza e la lunghezza dei loro ritrovi; e cionullostante provava una ripugnanza invincibile a compiacere di Reana che avrebbe voluto farle accettare gli appuntamenti nel suo quartierino ammobigliato o in altro luogo fissato da lui… Fin che restava nella propria casa le pareva che la caduta fosse meno profonda ed ignobile… Pure, con un grande sforzo, da Guido era stata una volta e s'era lasciata strappar quella promessa di ritornarvi da cui ora tentava invano di esimersi.

—No—insisteva il sottotenente—non devi per un puntiglio guastar tutto il bene che m'hai fatto… Non devi costringermi a dubitare del tuo grande amore.

—Ma, Guido… t'ho negato nulla?—ella disse.—Ti nego nulla?

—Avrò torto, ma ne dubiterei—egli riprese.—Sono tanto triste all'idea di abbandonarti che non riesco ad intendere come tu voglia amareggiarmi di più.—E proseguì carezzevole, insinuante:—Vedi, Teresa, ho preparato tutto… Alle undici tu fai colazione con me… servita da me… giudicherai tu stessa se so servir bene, se so apparecchiar bene la tavola… Fammi quest'ultima grazia… Non aver paura, Teresa… te lo giuro che saremo soli in tutto l'appartamento… I padroni stanno di sopra… il capitano del genio che aveva una camera vicina alla mia è in licenza… Vieni, vieni.

Sebbene commossa, ella non aveva ancora risposto di sì quando suonò il campanello di strada.

Erano così avvezzi a non esser disturbati la sera che balzarono tutti e due in piedi esprimendo in forma quasi identica lo stesso pensiero.

—Chi sarà?—egli disse.—Non ricevere.

Ed ella:

—Chi può essere?… Già non ricevo.—E uscì per dar gli ordini alla cameriera.

Ma questa che aveva guardato dalla finestra le riferì ch'era suo zio il console…

A lui ella non poteva far dire che non riceveva; non poteva nemmeno far dire ch'era malata; col pretesto della parentela egli sarebbe stato capacissimo di andarle in camera da letto. E ordinò di lasciarlo passare.

Ma fin ch'egli saliva le scale ella ebbe tempo di calmar le furie di

Guido.

—Bisogna rassegnarsi… Non posso licenziarlo come un estraneo… Era in campagna… Forse vorrà qualche cosa… E potrebb'esser che si spicciasse subito… Ma ho paura… Tu resta dieci minuti, un quarto d'ora, e s'egli non si decide ad andarsene, va tu…

—Per tornare?

—No, Guido…. Abbi pazienza…. non conviene.

—Proprio stasera…. la penultima sera che stiamo insieme.

—Lo so, è una disdetta… Ma chi ne ha colpa?.. Senti, sii ragionevole, non far quel muso lungo… Domani…

—Ebbene?… Domani?

—Ti do la mia parola d'onore che alle undici sarò da te.

—Ah, finalmente ti sei decisa…

—Parla piano.

—Ti sei decisa!

—Sarai contento.

—Angelo!

E saltandole addosso le diede un bacio.

—Giudizio ora!—ella intimò.

Era tempo, perchè di lì a un momento la cameriera introdusse il signor commendatore.

Il fallo d'una donna onesta

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