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LIBRO VENTESIMOSECONDO
CAPITOLO III

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Si rinova la guerra in Sicilia; ma s'interrompe per la morte del Re Roberto

Re Roberto essendo libero dal pensiero del successore, solo gli rimaneva quella cura, che perpetuamente dopo Re Carlo il Vecchio tenne travagliati tutti i suoi successori, cioè di racquistare il Reame di Sicilia; mandò per tal effetto nuova armata in quell'isola, dove benchè facesse molti danni, non acquistò però Terra alcuna murata. Ma morto che fu il Re Federico l'anno 1337, lasciando per successore Pietro suo primogenito, tosto mandò Roberto in Avignone a pregar Papa Benedetto XII, il quale a' 20 decembre dell'anno 1334 era succeduto a Gio. XXII, che avesse da mandar un Legato appostolico in Sicilia, a richiedere Re Pietro, che volesse cedere quel Regno, ed osservare la Capitulazione fatta in tempo di Carlo Valois della pace; e questo fece non con isperanza di ottenere per quella via l'isola, ma con disegno, che il Papa, vedendosi disprezzare da Re Pietro, entrasse in parte della spesa della guerra. Nè mancò di mandare a visitare la Regina Elionora sua sorella, ed a tentarla che avesse disposto il figlio a cedere quel Regno, promettendole, che l'avrebbe aiutato ad acquistar il Regno di Sardegna con molte maggiori forze di quelle, che erano state promesse nella Capitulazione; ma la Regina, ch'era savia, rispose, ch'ella non avea tale autorità col figlio, che bastasse a tanto, e che pregava il Re suo fratello, che volesse più tosto tenerlo per servidore e per figlio, e massime non trovandosi eredi maschi, ond'era certo di non potere lasciare nè il Regno di Napoli, nè l'altre sue Signorie a persona più congiunta di sangue, di quel che gli era Re Pietro. Così, siccome questa ambasceria fece poco effetto, molto meno fece il Legato appostolico, perchè gli fur date parole, nè potendo far altro, lasciò il Re e l'isola scomunicata: del che curandosi poco Re Pietro, si fece subito incoronare.

Rivolse perciò Roberto tutti i suoi pensieri alle armi, e a' 5 maggio del seguente anno 1338 mandò un'armata di settanta vele tra Galee ed Uscieri con 120 °Cavalieri per infestare quell'isola, e non molto da poi un'altra maggiore e meglio fornita; ma fuori dell'aver preso Termini per assedio, non vi fece cosa di momento. Il Re non trovandosi mai stanco di questa impresa, due anni da poi vi mandò Giufredi di Marzano Conte di Squillaci e suo G. Ammiraglio; la qual impresa fu meglio guidata, che nessun'altra, avendo il Conte preso Lipari, e sconfitti i Messinesi. L'aver acquistato Lipari fu cagione, che l'anno seguente, mandato con nuova armata Ruggiero Sanseverino in Sicilia, acquistasse Melazzo; e questa fu l'ultima impresa che il Re Roberto fece in Sicilia. Ma ciò che per tanti anni, e tante e sì ostinate guerre non s'era potuto porre in effetto, se morte non l'avesse impedito, si sarebbe veduto conseguire per una piccola contingenza: Re Pietro, ch'era succeduto al padre, non regnò se non che pochi anni; ed essendo morto, nè avendo lasciati altri, se non che Lodovico suo figliuolo fanciullo sotto il governo del zio; i Palizzi Baroni potentissimi in Messina con molti parenti loro e di Federico d'Antiochia, con quelli di Lentino, di Ventimiglia ed Abati, a' quali erano venuti più in odio i Catalani, che non furono agli antecessori loro i Franzesi, occuparono Messina, e mandarono da parte loro e di quella città a Napoli a giurare omaggio a Re Roberto; ma il messo trovò il Re che avea presa l'estrema unzione, e poco da poi morì. Esempio evidente de' giuochi, che fa la fortuna nelle cose umane, che avendo Re Carlo I e Re Roberto sessanta anni continui travagliato il Regno di Sicilia con sì potenti e numerosi eserciti, e mandato quasi ogni anno ad assaltarlo con tante potentissime armate, nè avendo mai potuto ricovrarlo, la fortuna avea riservato ad offerirglielo, quasi per beffa, al punto della morte; perchè non è dubbio, che se tal occasione fosse venuta due anni avanti, l'isola sarebbesi ricovrata, perchè con pochissime forze si poteano abbattere e spegnere quelle del pupillo Re, ed esterminar in tutto il nome dei Catalani da quell'isola.

Morì questo savio Re, non men oppresso dagli anni, che da gravi affanni e travagli, che in questi ultimi anni intrigarono l'animo suo in molestissime cure: vedea, che in sei anni che Andrea Duca di Calabria era stato nel Regno e nudrito nella sua Corte, Accademia e domicilio d'ogni virtù, non avea lasciato niente de' costumi barbari d'Ungheria, nè pigliati di quelli, che poteva pigliare, ma trattava con quegli Ungari che gli avea lasciati il padre, e con altri che di tempo in tempo venivano; tanto che il povero vecchio si trovò pentito d'aver fatta tal elezione, ed avea pietà grandissima di Giovanna sua Nipote, fanciulla rarissima, e che in quell'età, che non passava dodici anni, superava di prudenza non solo le sue coetanee, ma molte altre donne d'età provetta, avesse da passare la vita sua con un uomo stolido e da poco. Avea ancora grandissimo dispiacere, nell'antivedere, come Principe prudentissimo, le discordie che sarebbero nate nel Regno dopo la sua morte; perchè conosceva che il Governo verrebbe in mano degli Ungari, i quali governando con insolenzia, e non trattando i reali a quel modo, che gli avea trattati esso, gli avrebbe indotti a pigliare l'arme con ruina e confusione d'ogni cosa. E per questo, credendosi rimediare, convocò Parlamento generale di tutti i Baroni del Regno e delle città reali, e fece giurare Giovanna solo per Regina, con intenzione, ch'ella avesse dopo la sua morte da stabilirsi un Consiglio tutto dipendente da lei, e che il marito restasse solo in titolo di Consorte della Regina.

S'aggiungea a questo un'altra molestia poco minore, perchè a quel tempo che si vedea, che poco potea durare la sua vita, nè si sperava successore abile a tener in freno gl'insolenti, in tutte le città maggiori nacquero dissensioni civili, non senza grandissimo spargimento di sangue, nè valevano i Giustizieri (che così si chiamavano allora i Governadori delle province, che oggi appelliamo Presidi) a prevedere ed estinguere tanto incendio. Dalle quali discordie crebbe tanto il numero de' fuorusciti per tutto il Regno, che non potendosi sopportare, bisognò che il Re provvedesse a modo di guerra, mandando Capitani e soldati per le province per estinguergli; e non era possibile, sì perchè i colpevoli si spargevano per diversi luoghi, e non davano comodità a' Capitani del Re di potergli espugnare tutti insieme, come ancora perchè molti Baroni gli favorivano e ricettavano nelle terre loro. Con questi affanni e cure mordacissime essendosi infermato, trapassò questo grandissimo Re a' 16 gennajo l'anno 1343, avendo regnato anni trentatre, mesi otto e dì sedici; e fu sepolto dietro l'altar maggiore di S. Chiara in quel nobile sepolcro, che ancor si vede.

(Il Re Roberto nell'istesso dì 16 Gennaro nel Castelnovo di Napoli prima di morire fece il suo testamento, nel quale istituì erede universale in tutti i suoi Stati di Provenza e Regno di Sicilia, Giovanna sua nipote, figlia primogenita del Duca di Calabria premorto. E questo testamento estratto da' registri dell'Archivio reale di Provenza, fu impresso da Lunig).

Lasciò Roberto nome del più savio e valoroso Re, che fosse stato in quell'età, ornato di prudenza, di giustizia, di liberalità, di modestia, di fortezza, ed altre virtù tanto militari, quanto civili. In quanto alla giustizia, mai non fu veduto il Regno così ben governato e con tanta prudenza, quanto che sotto di lui. Lo dimostrano le tante savie leggi che ci lasciò, l'ordine esatto de' Tribunali e de' Magistrati, e la cura che tenne d'elegger Ministri di somma dottrina e di costumi incorrotti. Proccurò che nel Regno fosse fra i Popoli una tranquilla pace e sommo riposo: tenne in freno gl'insolenti, e sterminò gli sbanditi e facinorosi che lo turbavano: ripresse la violenza degli Ecclesiastici, i quali sovente opprimevano i suoi vassalli: ed a questo Principe noi dobbiamo que' rimedj, onde ci facciamo scudo e difesa delle loro violenze e gravezze, che chiamiamo Regj Conservatorj, de' quali in questo luogo bisogna tenere un più lungo discorso.

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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