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LIBRO VENTESIMOSECONDO
CAPITOLO IV

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De' Conservatorj regj

Nel Regno di Carlo I e II essendo, per le cagioni dette altrove, i privilegj ed immunità de' Cherici cresciuti nell'ultimo grado; ed essendo (tranne le feudali) così nelle cause civili, che nelle criminali, stati sottratti dalla giurisdizione de' Magistrati regj: la loro licenza e libertà crebbe tanto, che colla sicurezza di non potere i loro eccessi e violenze essere emendati da' Giudici Laici, i Prelati, i Cherici ed insino i Monaci insolentivano sovente contro i Laici, ed alcune volte anche contro i Cherici stessi meno potenti. Erano invase le loro possessioni, angariavano le loro persone, l'affliggevano con ingiurie, danni, rapine ed altre molestie. Ci testimonia l'istesso Roberto, che nel suo Auditorio non risuonavano altre querele, nè si sentivano altri gemiti e clamori, che di queste violenze, ed oppressioni41. Il savio Re per darne compenso prescrisse a' suoi Giustizieri la norma, come dovessero reprimere tante insolenze, ed emendare le oppressioni. Stabilì in quel suo famoso Capitolo, che incomincia Ad Regale fastigium, istromentato dal celebre Giureconsulto Bartolommeo di Capua suo Protonotario, che i Giustizieri, sopra questi eccessi non procedendo per via giudiziaria, nè ricercando cognitionalia ordinare certamina, ma solamente facta de injuriis, rapinis, et damnis illatis informatione summaria, per facti notorium, vel rei evidentiam, famam publicam, aut designationem aliam attestantem commissam injuriam, la facessero correggere e prontamente emendare.

Prescrisse loro ancora, che per pruova della turbazione fossero solo contenti di proponere un general editto, nel quale senza specificar le persone perturbatrici, s'invitasse generalmente quicumque sua interesse putaverit, visurus accedat producendorum in causa testium juramenta, et oppositurus, quae circa rei substantiam voluerit allegare.

Chiunque leggerà in questo capitolo le tante ragioni che Roberto allega per giustificarlo, e per farlo apparire moderato, e non eccedente la sua regal potestà, non potrà non essere sorpreso di maraviglia, vedendo un Re, che non intende altro che di tener pacato ed in riposo il suo Regno, e di rimover perciò da quello le rapine e le violenze, perchè punto non s'offendesse la libertà ecclesiastica, parlar con tanta riserba e moderazione, e con tante clausole piene di sommo rispetto e riverenza; come se a' Principi non fosse permesso per quiete de' loro Stati stabilire più forti ed efficaci leggi per estirpar que' mali e que' disordini onde vengono afflitti. Egli si protesta in prima, che quantunque contro le persone de' Prelati e de' Cherici comunemente la sua potestà non s'estenda; nulladimanco per la protezione e difesa che deve tenere di tutti i sudditi del suo Regno, perchè non siano oppressi, questo faceva che s'innalzasse il potere dell'eminente suo braccio. Concede di vantaggio, che i suoi Magistrati non possano contro le persone de' Prelati e dei Cherici, e nelle loro cause procedere per via di cognizion giudiciaria, e con formati processi; e perciò vuole, che si proceda per via di summaria ed estragiudizial cognizione, con tante moderazioni e rispettose riserve. Si dichiara e si protesta ancora, che si muove a ciò fare unicamente per affetto di carità e di compassione. Allega perciò l'esempio del Re Davide, che soccorse gl'Isdraeliti oppressi: di que', che per loro scampo confuggono alle statue de' Principi: che sia legge di natura ripulsare dal congiunto o vicino l'ingiurie: allega finalmente l'esempio di Mosè, il quale vedendo un Ebreo essere malmenato ed oppresso da un Egizio, lo stese morto a terra.

Ma quello che maggiormente dimostra la sua moderazione, si è il considerare, che tutto ciò stabilì non per via di legge e di solenne editto, ma per forma di Lettera Regia di maniera che volle, che questo suo regolamento non si dovesse avere come sua Costituzione, in vigor della quale potessero i suoi Magistrati per se medesimi procedere, siccome regolarmente provedono in tutti gli altri casi, come esecutori delle leggi, senza aver bisogno, che il Principe lor dia altra spezial facoltà; ma ordinò, che i Giustizieri facendosi il caso, dovessero ricorrere al Principe, e da quello ricevere particolari lettere, onde si comunicasse loro questa autorità, intendendo per ciò che in questi casi avrebbero proceduto non per via d'ordinaria potestà, ma per quella comunicata loro dal Principe, a cui si appartiene unicamente, per la potestà economica di reggere i suoi Stati, e sovente per modi, ed espedienti estraordinarj, e non comunali, dipendenti dalla suprema potestà del suo eminente braccio. Quindi è, che Bartolommeo di Capua42 istesso, per la di cui penna fu il Capitolo dettato, notò, che questo non era Capitolo, cioè Costituzione, ovvero Editto, sed forma literae Regiae Curiae, quae debet dirigi Officiali a Rege in pendenti, alias Officialis ipse non potest procedere secundum formam hujus Capituli: Et ita se habet consuetudo Magnae Curiae Vicariae, et omnium Civitatum Regni: ond'è, che niuno Ufficiale può procedere, nisi ex Regia commissione, come notò assai a proposito de Bottis43.

E quindi nacque la pratica continuata di mano in mano insino a' tempi nostri, che senza spezial commessione del Re, niun Tribunale può procedere servata la forma di questo Capitolo. Nel Regno degli Aragonesi, e nel principio ancora del Regno degli Austriaci, nel quale, come vedremo, il Tribunal del Sacro Consiglio di S. Chiara era nella sua maggiore elevatezza e splendore, e superiore a tutti gli altri, procedeva sì bene senz'altra commessione regia; ma ciò avveniva, perchè questo Tribunale rappresentava in tutto la persona del Re e sotto il suo nome tutto si spediva; ond'è, che sovente, come attesta l'istesso Bottis, soleva rimettere queste cause alla Gran Corte della Vicaria, alla quale davasi autorità di poter procedere contro gli Ecclesiastici servata forma Capitulorum Regni. Quindi negli Archivj di questo Tribunale osserviamo perciò molti processi fabbricati a tenore de' medesimi Capitoli. Ma innalzato da poi a' tempi degli Austriaci sopra tutti gli altri Tribunali quello del Collateral Consiglio, ed avendo tratto a se le supreme preminenze, ed ogni potestà economica, e lasciata agli altri Tribunali l'independenza per ciò, che riguarda le cose di giustizia, quindi nacque quello stile, che ora riteniamo, che da questo Tribunale, come rappresentante la persona del Re, si spediscono lettere regie, per le quali si commette regolarmente al S. C. che procedesse servata la forma di questi capitoli, e prima anche solevan commettersi al Cappellano Maggiore. Non vi sarebbe niuna implicanza perchè queste lettere non si potessero ancora drizzare al Reggente della Gran Corte della Vicaria, ovvero ai Presidi delle province, che anticamente erano chiamati Giustizieri, e ad altri Ufficiali Regj. Abbiamo molte di queste lettere drizzate da Roberto istesso al Reggente della Vicaria e suoi Giudici, com'è quella, che si legge sotto il titolo de Spoliatis pro Laico contra Clericum, e che comincia: Omnis praedatio; e l'altra che leggiamo presso Chioccarello: a' Giustizieri di Appruzzo Ultru, et Citra flumen Piscariae: a' Giustizieri di Val di Crati, e Terra Giordana: a' Giustizieri di Terra di Lavoro, ed a coloro del Contado di Molise. L'istesso fece Carlo Duca di Calabria suo figliuolo, Carlo III di Durazzo, Alfonso I e gli altri Re successori, come vedremo più innanzi. Ma ne' nostri tempi e de' nostri avoli, essendo più che mai cresciuta l'audacia e temerità de' Prelati, si è riputato migliore, per non esponere questi inferiori Ministri ai loro fulmini, e non entrare perciò in cimenti, di dirizzarsi queste lettere al Tribunal supremo del S. C. il qual regolarmente perciò vi procede.

Ma tanta moderazione del Re Roberto, tanto suo rispetto, a niente giovò a questo Principe, perchè i Prelati ed i Canonisti non declamassero contro questo suo regolamento. Sin da' tempi di Luca di Penna44, che scrisse sotto il Regno di Giovanna I: Hoc statutum, com'egli dice, multi Praelati, et Canonistae nitebantur infringere, dicentes, Principem Secularem nihil posse contra Clericos, et eorum causas directe, vel indirecte statuere, sed ipsi circa hoc inique loquuntur: tanto che bisognò ch'egli impugnasse la sua penna per confutare i loro errori. E ne' tempi posteriori, essendo più cresciuta la licenza degli Scrittori ecclesiastici, furon da essi sempre questi rimedi combattuti e riputati, com'essi dicono, offensivi alla immunità, ovvero libertà ecclesiastica. Nel decimoterzo tomo dei MS. giurisdizionali raccolti da Bartolommeo Chioccarelli, si legge una relazione delle tante controversie che sono state tra' Ministri del Re, e gli Ecclesiastici sopra questi Capitoli: si leggono ancora diverse allegazioni in jure fatte per difesa e per mostrar la giustizia de' medesimi: all'incontro quanto siansi affaticati gli Ecclesiastici per distruggere e far togliere la loro osservanza ed esecuzione; ma non ostante questi loro sforzi, per lo decorso di più secoli sono rimasti sempre stabili e fermi, e sono stati presso di noi sempre in uso, e praticati sotto quanti Principi mai da Roberto in qua hanno dominato questo Regno, e tuttavia sono nel lor fermo vigore ed inalterabil osservanza.

Di Roberto, oltre del Capitolo ad regale fastigium, ne abbiamo tre altri ordinanti il medesimo, drizzati secondo i casi accaduti a' suoi Uffiziali che si leggono impressi tra' Capitoli del Regno spediti da lui negli ultimi anni del Regno. Il primo è sotto la rubrica: Conservatorium pro Laico contra Clericum: che comincia: Charitatis affectus, drizzato a' Giustizieri d'Apruzzo Ultra, ad istanza di Ruggiero Conte di Celano per le molestie e turbazioni che gl'inferivano l'Abate, ed i Monaci del Convento di S. Maria della Vittoria. Il secondo, che comincia: Finis praecepti charitas ed è sotto il titolo, Conservatorium pro Clerico contra Clericum, fu drizzato al Giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana, e fu spedito ad istanza di Giovanni Tavolaccio di Castrovillari Canonico Cosentino, per l'ingiuste molestie che gli venivan date da Guglielmo ed Oliviero Persona Cherici di Rossano, e da' loro congiunti e seguaci. Il terzo fu drizzato da Roberto al Reggente della G. Corte della Vicaria e suoi Giudici, e si legge sotto il titolo, de Spoliatis pro Laico contra Clericum, e comincia: Omnis praedatio: fu spedito ad istanza di Perotto Scalese di Napoli, il quale per essere stato con propria autorità, e violentemente spogliato della possessione d'un Territorio, ch'egli possedeva nelle pertinenze della città di Capua dal Vicario dell'Arcivescovo di Capua, ebbe ricorso a Roberto perchè vi dasse riparo. Oltre di questi che abbiamo impressi tra' Capitoli del Regno, furono da Bartolommeo Chioccarelli da' regi Archivi raccolte consimili lettere regie conservatoriali, spedite dal medesimo Roberto, da Carlo Duca di Calabria suo figliuolo, e da molti altri Re successori per quest'istesso fine e drizzate a' loro Ufficiali.

Carlo Duca di Calabria, mentr'era Vicario Generale del Regno, drizzò nell'anno 1322 consimili lettere al Capitano di Napoli, spedite ad istanza di Francesco Cannavacciolo di Napoli per le molestie che se gl'inferivano sopra la possessione d'una sua casa, situata dentro la Città di Napoli, dall'Abate Guglielmo Caracciolo con alcuni altri Cherici. L'istesso Carlo nel 1324 commette a' Giustizieri di Calabria, che a tenor del Capitolo di suo padre facciano purgar lo spoglio che avea patito Giovanni Canonico della maggior chiesa di S. Marco d'una vigna e certi buoi, da Guglielmo Malopere Primicerio di Napoli, e Vicario dell'Arcivescovo di Cosenza. Nel 1328 anno della morte del Duca di Calabria, il Re Roberto scrive alli Giustizieri di Terra di Lavoro e Contado di Molise, e d'Apruzzi Citra ed Ultra, che avendogli esposto Francesco Abate del Monastero di S. Maria di Cinquemiglia, che il Vescovo di Valve, pretendendo detta Badia appartenersi alla sua Chiesa, voleva di fatto spogliarlo della medesima, che mantenessero detto Abate nella possessione pacifica di detto monastero, nella quale lo ritrovavano, dunec justa causa possessionis duraverit. Roberto istesso nell'anno 1337 manda consimili lettere al Reggente e Giudici di Vicaria ed altri suoi Ufficiali, che juxta tenorem novi nostri Capituli, procedano su l'esposto fattogli da Tommaso Monsella di Salerno Maestro Razionale della Gran Corte, che stando egli in possesso del Castello di S. Giorgio situato in Calabria, il Vescovo di Melito, insieme con altri laici lo turbavano, e tentavano con violenza occupar i tenimenti del medesimo.

Il Re Carlo III d'Angiò nel 1383 scrisse al Gran Giustiziere del Regno o suo Luogotenente, ed alli Giudici della Gran Corte che rivocassero gli aggravi, e violenze fatte per l'Arcivescovo di Napoli, o suo Vicario per mezzo d'un Prete suo Cameriere in loro nome a Simone Guazza di Giugliano, in eseguirgli di fatto, e di propria autorità alcuni suoi beni mobili, pendente l'appellazione d'una sentenza data a favore di detto Cameriere, per un credito, che pretendeva conseguire in nome del suddetto Arcivescovo.

Il Re Alfonso I d'Aragona nel 1440 drizzò consimili lettere al Vescovo di Valenza Presidente del S. C. e Viceprotonotario del Regno, ed alli suoi regi Consiglieri, perchè a tenor di questi Capitoli emendassero lo spoglio, che Febo Sanseverino Vescovo di Cassano avea patito da Geliforte Spinello, il quale non ostante, che il Sanseverino era stato promosso a quel Vescovado da Bonifacio IX, e confermato da Papa Martino V, e per più anni l'avea pacificamente posseduto, asserendosi egli Vescovo, per forza, e fraude l'avea spogliato di fatto, e s'era intruso in detto Vescovado. Il medesimo Re nel 1478 scrisse al suo Vicerè, ed altri Ufficiali in Calabria, che avendogli esposto il Prete Guglielmo di Gambini di Mangano, pertinenza della città di Cosenza, che possedendo egli con altri Preti per più di venti anni alcuni beneficj, da certi altri Preti di fatto n'erano stati spogliati, perciò gl'incarica, che costando loro di questo spoglio, lo rivochino, e facciano mantenere il medesimo nel possesso con fargli corrispondere i frutti.

Il Re Ferdinando I nel 1481 scrive al Vescovo di Martorano, che non molesti in cosa alcuna Palamede di Landro Vescovo di Catanzaro, nè impedisca l'esazione de' frutti, e rendite del suo Vescovado, anzi se avesse alcune rendite, o ragioni nella diocesi del suo Vescovado glie le faccia corrispondere conforme e di giustizia: e nell'anno 1485 scrive al Castellano di Catanzaro che lo mantenga, e conservi nella pacifica possessione, nella quale era stato, e stava del suo Vescovado, facendogli corrispondere tutte le sue entrade e frutti spettanti a quello. Il medesimo Re nell'istesso anno scrive a Carlo Carafa Signore della terra di Montesarchio, dicendogli, che Fra Jacopo Sordella dell'Ordine di S. Gio: Gerosolimitano Commendatore della Commenda di detta Terra gli avea esposto, che possedendo detta Commenda concedutagli dalla sua Religione, ne era stato di fatto scacciato da Fra Ipolito d'Amelia in vigor di certe lettere ottenute surrettiziamente dalla Corte di Roma: perciò gli ordina che costandogli di questo spoglio per sommaria informazione, lo restituisca nella possessione.

Il Gran Capitano D. Consalvo di Cordua nel 1503 scrive ad un Ufficiale regio, che l'Abate Guglielmo Germano di Maratea, possedendo in vigor di Bolle appostoliche la Badia di S. Giovanni d'Abate Marco della diocesi di Cassano, n'era stato spogliato di fatto da Giovanni Caseo, gli ordina perciò, che servata la forma de' Capitoli del Regno restituisca detto Abate nella possessione, e gliela mantenghi, donec justa causa possessionis duraverit. Il medesimo Gran Capitano nell'anno 1506 ordina al Governadore di Calabria, che essendo vero, che l'Abate di S. Giovanni di Florio di Calabria sia stato spogliato di fatto dal Cherico Martino di Torponibus d'alcune Chiese, e Grancie annesse alla sua Badia, lo rimetta nella primiera possessione, e gliela conservi, donec etc.

Il Vicerè D. Giovanni d'Aragona Conte di Ripacorsa nel 1507 scrive al Governador di Calabria, ed agli altri Ufficiali di quella Provincia, che Fra Lodovico di Nicotera Vicario Generale di detta Provincia dell'Ordine di S. Francesco dell'Osservanza gli avea esposto, che da molti Prelati di quella provincia eran usate molte violenze a' Frati Osservanti del suo Ordine, che perciò ordina a detti ufficiali, che ad ogni istanza del detto Vicario procedano co' dovuti rimedi, che con effetto detti Prelati cessino ogni via di fatto, e di violenza contro detti Osservanti: ma se pretendono cos'alcuna, propongano le loro ragioni avanti Giudici competenti. Il medesimo Conte in detto anno scrive al Capitano di Cariati, dicendogli, che li giorni passati essendo stato spedito dal S. C. un editto, giusta la forma de' Capitoli del Regno, a favore di Tommaso Assagno Paleologo, il qual dicea essere stato turbato dal Vescovo di Cariati sopra la possessione del Casale di Belvedere, e territorj di Malapezza; dovendosi quello affiggere nelle porte della maggior Chiesa di Cariati, ed essendo ivi apparecchiato l'Algozino con l'editto in mano, ed il Giudice, Notajo e Testimonj per far l'atto dell'affissione; il Vicario del Vescovo colla maggior parte del Clero uscendo della Chiesa, levarono l'editto da mano dell'Algozino, e lo stracciarono, maltrattandolo insieme col Notajo, non senza grave offesa della dignità del S. C. comanda perciò al suddetto Capitano, che ordini al detto Vicario, ed a que' Preti, che v'intervennero, che fra quindici giorni debbiano venire in Napoli a presentarsi avanti il Vicerè, e non mai partire senz'espressa sua licenza.

Nell'anno 1574 Decio Caracciolo Abate della regal Cappella, ed Abadia di S. Pietro a Corte di Salerno, avendo dimandato al Vicerè esser conservato, e mantenuto nel quasi possesso d'esercitare alcune sue giurisdizioni spirituali e temporali, che teneva in detta Badia, nel quale era turbato dall'Arcivescovo di Salerno, che pretendeva di fatto spogliarlo di quelle; fu commesso l'affare al Regio Cappellan Maggiore, che provvedesse servata la forma di questi Capitoli, avanti del quale, speditosi il solito editto, comparve l'Arcivescovo, e formatosi processo, fu l'Abate mantenuto nella possessione delle giurisdizioni di detta sua Chiesa.

Nel 1593 avendo Giovanni Alfonso, Ferrante, ed altri della famiglia Buonuomo della città di Pozzuoli esposto al Vicerè, che tenendo essi nella maggior Chiesa una Cappella con un Sepolcro antico di loro Antenati, il Vescovo di Pozzuoli di fatto, e di notte avea fatto diroccare e levar detto sepolcro; dimandarono, che siccome di fatto s'era levato, così fosse riposto, e conservati nella possessione, nella quale erano. Fu il negozio dal Vicerè rimesso al Cappellan Maggiore, il quale, servata la forma di questi Capitoli, spedì il solito editto; ed ancorchè il Vescovo di quest'editto n'avesse avuto ricorso in Roma, e dalla Congregazione de' Cardinali fosse spedita lettera al Nunzio in Napoli, che facesse ordine al Cappellan Maggiore, che sotto pena di scomunica rivocasse l'editto, e che non tollerasse questa pratica, come pregiudiziale alla giurisdizione ecclesiastica, nulladimanco dal Cappellano Maggiore, e dal Collateral Consiglio fu fatta consulta al Vicerè insinuandogli, che non dovesse tener conto delle pretensioni di Roma, essendo l'osservanza di questi Capitoli antichissima nel Regno, e fondati a somma giustizia, per evitare gli spogli e le violenze.

Nel corso d'un altro secolo appresso, insino a' dì nostri, s'è tenuto questo stile sempre per fermo e costante, e gli Archivj del S. C. sono pieni d'innumerabili processi fabbricati sopra l'osservanza de' medesimi: tanto che oggi presso noi questa osservanza non riceve più contrasto, nè ammette più dubbio o difficoltà alcuna.

41

Cap. Robertus, etc. Ad Regale fastigium. Sane in Adjutorio nostro inculcatione frequenti lata plurium querela perstrepuit, et clamor validus tumultuosa quadam vociferatione perduxit, quod Praelati Regni nostri Siciliae, Hospitalarii, Monachi, aliique Clerici, etc.

42

In notis ad dictum cap. in princ.

43

Bottis ad d. capit.

44

Lucas de Penna in not. ad cap. ad regale fastigium.

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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