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LIBRO VENTESIMOSECONDO
CAPITOLO VIII

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Politia ecclesiastica del XIV secolo, per quel tempo che i Papi tennero la loro sede in Avignone, insino allo Scisma de' Papi di Roma e d'Avignone

Come suole avvenire nelle cose di questo Mondo, che qualora si veggono giunte al sommo, questo stesso tanto innalzarsi è principio del loro abbassamento: così appunto accadde al Pontificato romano in questo nuovo XIV secolo, la politia ecclesiastica del quale saremo ora a trattare. Bonifacio VIII calcando le orme dei suoi predecessori, credea aver ridotto il Pontificato in tanta elevatezza, che coronato di duplicate corone, e vestito del manto imperiale, volea esser riputato Monarca non meno dello spirituale, che del temporale, e che i maggiori Re e Principi della terra fossero a lui soggetti anche nel temporale, siccome, oltre la divisa presa de' due coltelli, lo dichiarò apertamente in quella sua stravagante Bolla Unam Sanctam. Prese per tanto a regolare le contese de' Principi, e fra gli altri quelle di Odoardo Re d'Inghilterra, e di Guido Conte di Fiandra con Filippo il Bello, Re di Francia. Entrò nell'impegno di distruggere affatto in Italia il partito de' Ghibellini e de' Colonnesi, e di far conoscere la sua potenza sopra tutti i Principi, vietando loro con sua Bolla d'esigere cos'alcuna sopra i beni degli Ecclesiastici. Queste ardite risoluzioni offesero grandemente l'animo di Filippo Re di Francia, il quale accortosi, che la proibizione, ancorchè generale, riguardava il Regno di Francia, vi s'oppose con vigore, e fece stendere un Manifesto contro la Bolla; e dall'altra parte seguitando Bonifacio a distruggere il partito de' Ghibellini e de' Colonnesi, questi furono costretti ritirarsi in Francia, dove furono dal Re accolti, onde maggiormente le contese s'inasprirono, le quali finalmente proruppero non pure in onte ed in contumelie, ma in esecuzioni di fatto; poichè portatosi il Signor di Nogaret Ambasciadore del Re in Italia, assistito da Sciarra Colonna entrò in Anagni, dove era il Papa, e lo fece prigione; e quantunque liberato da quel popolo fuggisse in Roma, fu tanta l'afflizione del suo animo, che non guari da poi se ne morì; e Dante ch'era Ghibellino, scrisse135, che la sua anima era con impazienza aspettata nell'Inferno da Niccolò III per dargli luogo fra Papi simoniaci.

Queste liti, che nel principio di questo secolo furono tra il Re Filippo e Papa Bonifacio, e molto più le contese, che arsero da poi tra Lodovico Bavaro con Giovanni XXII e Benedetto XII, furono cagione, onde il Pontificato Romano venne a decader non poco dalla sua opinione e possanza: poichè, oltre dello scadimento per la trasmigrazione della Sede Appostolica in Avignone, e dello Scisma indi seguito, di che favelleremo più innanzi, coll'occasione di questi contrasti tra i Papi, ed i Principi intorno alla potestà temporale, si diede luogo a ben esaminare questa materia, quando che prima non era molto curata; e cominciando pian piano a risorgere le lettere anche presso i Laici, furono trovati ingegni, che secondo le fazioni cominciarono a disputarla, ed i Ghibellini ne compilarono particolari trattati, onde s'ingegnarono a far avvertiti gli altri delle usurpazioni, e a dimostrare, che la potestà spirituale non avea che impacciarsi colla temporale, la quale tutta era de' Principi.

Fra i primi deve noverarsi Dante Alighieri Fiorentino, il quale ne' suoi tre libri de Monarchia, scritti a' tempi di Lodovico Bavaro, quest'appunto sostenne. Intorno a' medesimi tempi si distinse per quest'istesso Guglielmo Occamo dell'Ordine de' Frati Minori, il quale ancorchè nato in un villaggio della Contea di Surrey in Inghilterra, fiorì nell'Università di Parigi nel principio di questo secolo, e compose un'Opera della Potestà Ecclesiastica e Secolare, per difendere Filippo il Bello contro Bonifacio; e da poi fu uno de' grandi Avversarj di Papa Giovanni XXII, che lo condannò sotto pena di scomunica a starsene in silenzio. Si dichiarò poi apertamente per Lodovico di Baviera, e per l'Antipapa Pietro di Corbaria, che si faceva chiamare Niccolò V, e scrisse contro Giovanni XXII, che lo scomunicò l'anno 1330. Allora uscì di Francia, e se ne andò a trovare Lodovico di Baviera, che favorevolmente l'accolse, e terminando nella Corte di quel Principe i giorni suoi, morì in Monaco l'anno 1347. Giovanni di Parigi Dottor in Teologia dell'Ordine dei Predicatori, cognominato il Maestro Parisiense, intorno all'anno 1322, compose ancora un trattato della Potestà Regia e Papale. Arnoldo di Villanova Catalano, Marsilio di Padova e Giovanni Jande impugnarono pure l'autorità de' Pontefici sopra il temporale de' Re; ma costoro non seppero tener modo, nè misura, dando in una estremità opposta: poichè Arnoldo espresse molte proposizioni contro l'autorità della Chiesa, contro i Sacramenti, contro il Clero e contro i Religiosi; e Marsilio e Giovanni troppo concedendo ai Principi, attribuirono loro una giurisdizione, che appartiene unicamente alla Chiesa. Radulfo Colonna Canonico Carnutense, Lupoldo di Babenberg, Raolfo di Prelles, e Filippo di Mezieres Giureconsulti insigni, sostennero parimente co' loro Trattati i diritti de' Principi; ma chi da poi in Francia sopra tutti sostenesse le ragioni del Re Filippo di Valois contro l'intraprese degli Ecclesiastici, fu Pietro di Cugnieres suo Avvocato generale nel Parlamento di Parigi. Costui nell'anno 1329 ebbe grandi contrasti con Niccolò Bertrando Vescovo d'Autun, e poi Cardinale, e cogli altri Prelati di Francia, sopra i diritti della giurisdizione spirituale e temporale. Il Clero di Francia lo calunniarono, facendo artificiosamente correre rumore, che sotto pretesto di risecare l'intraprese delle loro Giustizie, si voleva loro togliere la roba, ancorchè le proposizioni di Cugnieres di ciò non parlassero punto: tanto che il Re Filippo dubitando eccitare nuovi torbidi, e temendo dell'autorità, che il Clero avea allora in Francia, non potè affatto risecarle, siccome fu eseguito da poi per l'Ordinanza del 1438.

Non meno che i Franzesi ed i Germani cominciarono da poi gli Spagnuoli a riscuotersi dal lungo sonno; oltre d'Arnoldo di Villanova Catalano, Alvaro Pelagio di Galizia in Ispagna dell'Ordine de' Frati minori, e poi Vescovo di Silva in Portogallo, distese un Trattato de Plantu Ecclesiae; opera eccellente sopra la riforma della disciplina della Chiesa. Anche sul fine di questo secolo, e nel decorso del seguente, prima, e dopo il Concilio di Costanza, il Cardinal Francesco Zabarella Arcivescovo di Fiorenza, Teodorico di Niem, Niccolò di Cusa, e poi Enea Silvio, travagliarono sopra questo soggetto. Ed al di loro esempio molti altri, che seguirono appresso, ne compilarono diffusi trattati; onde si diede materia a Simone Scardio136, delle loro opere farne Raccolta, e dappoi a Melchior Goldasto di farne un'altra più ampia ne' suoi volumi della Monarchia dell'Imperio.

Per queste contese si cominciò in Francia e nella Germania a contrastare agli Ecclesiastici il diritto di esercitar la giurisdizione temporale, e di giudicare sopra quelle cause, delle quali essi aveano tirata al Foro episcopale la conoscenza, di cui nel XIX libro di quest'Istoria si fece memoria. Fu lor contrastato di por mano in molte cause civili sotto pretesto di scomunica, di peccato e di giuramento; fu tentato ancora di assalire l'immunità de' Cherici e de' beni della Chiesa; e quantunque gli Ecclesiastici avessero gagliardamente difesi i loro diritti, nulladimeno fu rimediato a qualche abuso, e perdettero a poco a poco una parte della giurisdizione temporale; ed in Germania da questo tempo di Lodovico Bavaro cominciò il diritto Pontificio, spezialmente quello contenuto nelle Decretali, a perdere la sua autorità e vigore137.

Ma non così avvenne nel nostro Regno sotto questi Re della Casa d'Angiò: non ebbero essi alcun contrasto co' Romani Pontefici, anzi furono ora più che mai a' loro cenni ossequiosissimi; e Roberto, assai più che i suoi predecessori, avea obbligo di farlo per li tanti favori che avea ricevuti da Clemente V, da Giovanni XXII, da Benedetto XII Papi d'Avignone che lo preferirono al nipote nella successione del Regno; e sempre gli diedero ajuti contro Errico VII e Lodovico Bavaro, nell'impresa di Sicilia, e contro tutti i suoi nemici. Quindi questo Principe, non seguendo in ciò l'esempio della Francia, mantenne intatta la loro giurisdizione ed immunità, anzi giunse a tale estremità, che, come fu rapportato nel XIX libro di questa Istoria138, volle rendere immuni sino le concubine de' Chierici, lasciando il castigo di quelle alli Prelati delle Chiese139. Quindi avvenne, che nello stabilire i Rimedj contro le violenze degli Ecclesiastici, usasse tante riserbe, cautele e rispetti, perchè non venisse la loro immunità in parte alcuna offesa; e quindi avvenne ancora, che la traslazione della Sede Appostolica in Avignone non recò a noi verun cambiamento nella politia delle nostre Chiese: e che le querele di tutto il rimanente d'Italia per questo trasferimento non furono accompagnate da' nostri Regnicoli, i quali in ciò seguirono più tosto i desiderj de' Franzesi, che le doglianze degli Italiani: ciò che bisogna un poco più distesamente rapportare.

135

Dant. infer. canto 19.

136

Simon. Schard. Syntagma Tractatuum, de Imperiali Jurisd.

137

V. Struvium Hist. Jur Canon, c. 7 § 36.

138

Lib. XIX cap. ult. n. 3.

139

V. Chioccar. M. S. giurisd. to. 10.

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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