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LIBRO VENTESIMOSECONDO
CAPITOLO VII

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Degli Uomini illustri per lettere, che fiorirono sotto Roberto, e sotto la Regina Giovanna sua nipote

Fra gli altri pregi, che adornarono la persona di Roberto, fu l'essere stato amantissimo di tutti i Scienziati eccellenti de' suoi tempi, e gran letterato insieme e protettore delle lettere.

Di questo Principe veramente potè dirsi, che

Fur le Muse nudrite a un tempo istesso,

Ed anco esercitate.


Leggansi i tanti elogi di Giovanni Villani78, del Petrarca79, e del Boccaccio80 suoi contemporanei, che per ciò con tante lodi innalzarono. Si legge di questo Re un trattato delle virtù morali composto da lui in varie rime toscane. Questo trattato lo fece imprimere in Roma l'anno 1642 insieme con alcune rime del Petrarca estratte da un suo originale, col Tesoretto di Ser Brunetto Latini, e con quattro canzoni di Bindo Bonichi da Siena, il Conte Federico Ubaldini, e porta questo titolo: Il trattato delle virtù morali di Roberto Re di Gerusalemme. Egli, come dice l'Ubaldini, cimentò le forze del suo ingegno nella vecchiaja, applicandosi a rimare, e volle più tosto per questa opera imitare i più saggi Re della terra come Salomone (onde perciò non volle al libro porre altra inscrizione, che di Re di Gerusalemme), l'Imperador M. Aurelio Antonino, che lasciò scritti in greco dodici libri morali della sua vita (se non sono favolosi, come gli credette il Castelvetro), Basilio Macedone, Lione Isaurico, Emmanuel Comneno ed altri Imperadori greci, che ne composero de' simiglianti; che andar dietro a' suoi predecessori Re di Sicilia, come all'Imperador Federico II ed al Re Manfredi, ad Enzio, e simili, i quali tutti intesi a cose amorose, solamente di quelle vollero tesser canzoni. Scrisse ancora, oltre le suddette rime, alcune lettere latine in prosa, due delle quali sono volgarizzate presso Giovanni Villani, mandate, l'una nell'anno 1333 al Popolo fiorentino, e l'altra a Gualtieri Duca d'Atene, quando nell'anno 1341 pigliò la Signoria di Fiorenza.

Nel suo Regno fiorirono le lettere in guisa, che i Professori di qualunque condizione si fossero, ancorchè di bassa fortuna, gl'innalzava a' primi onori, e con umanità grandissima gli accoglieva ed accarezzava: andava a sentire in piedi i pubblici Lettori, che leggevano in Napoli, ed onorava gli Scolari.

Per tralasciar infiniti esempi, venendo il Petrarca di Francia per pigliare la Corona di lauro a Roma, mandò Gio. Barile, che in suo nome assistesse in Campidoglio quella giornata come suo Ambasciadore, scusandosi col Petrarca, che l'estrema vecchiezza era cagione, che non venisse in persona a ponergli la corona in testa di sua mano; ed ambiva, che l'Affrica composta da costui, a lui s'indirizzasse. Favorì grandemente i Teologi ed i Filosofi81, tanto che nel suo Regno queste facoltà cominciarono a fiorire in Napoli.

La teologia Scolastica ridotta ne' suoi tempi in arte, e fatta pedissequa della filosofia d'Aristotele, secondo il metodo prescritto dagli Averroisti, vi pose piede, e si rese più considerabile per le famose fazioni de' Tomisti, e degli Scotisti sostenute da due Ordini allora considerabili de' Frati Predicatori e de' Frati Minori. I primi seguivano la dottrina d'Alberto Magno, e da poi di S. Tommaso, nomato il Dottor Angelico suo discepolo, che si rese poi Capo di questa Setta di Scolastici, detti perciò Tomisti. I secondi seguivano Alessandro de Ales del loro Ordine, e da poi il famoso Giovanni Duns, detto il Dottor Sottile, e Scoto, perch'era Scozzese, benchè alcuni l'abbiano creduto Inglese, ed altri Ibernese, il quale si rese Capo di questa Setta, donde i suoi seguaci furono chiamati Scotisti; onde nacque la divisione di queste due Scuole. Alcuni nondimeno fecero un terzo partito, seguendo un metodo nuovo, chiamati Nominali, ed uno de' principali Capi di questo partito fu Guglielmo Ocamo della Contea di Surrey in Inghilterra, il quale ancorchè dell'Ordine de' Minori, si divise dagli altri facendosi Capo di questa Setta, e perciò ne acquistò il titolo di Dottor Singolare. Si disseminarono le loro Scuole per tutta Europa ed in Napoli, ne' tempi di Roberto, essendo multiplicati i loro Maestri, la Teologia in cotal maniera trasformata, era pubblicamente e con sommo applauso ed ammirazione professata, ed i Teologi da questo Principe favoriti; poichè proccurava che molti Teologi eccellenti e di buona vita fossero provisti di Prelature e Vescovadi del Regno, e gli onorò sempre sopra tutti gli altri Baroni laici82.

Nelle Calabrie ed in Terra d'Otranto, per lo gran numero de' Greci, e per lo continuo commercio d'Oriente, i Monaci de' Conventi fondati sotto la Regola di S. Benedetto non la ricevettero se non molto tardi: seguitavano le pedate de' Greci e la loro dottrina: e si distinse sopra tutti gli altri Barlaamo Monaco Basiliano di Calabria, nato in Seminara, assai dotto e sottile, il quale essendosi portato in Costantinopoli, entrato in somma grazia dell'Imperador Andronico, fu adoperato dal medesimo negli affari più gravi dello Stato, e per comporre, e riunire la Chiesa Greca alla Latina. Fu inviato da Andronico in Napoli al nostro Re Roberto per domandargli soccorso; ma perchè non poteva sperar d'ottenerlo se non col riunirsi le due Chiese, ne fu data a lui parimente la commessione. Fu la unione lungamente trattata, ma ogni progetto fu ributtato, e la sua opera rimase inutile ed infruttuosa.

Ebbe grandi ed ostinate contese con Palamas suo Antagonista, ma dopo varie vicende, vedendo finalmente approvata in un Concilio tenuto in Costantinopoli la dottrina di Palamas, e la sua condannata, partì da Oriente, e si ritirò in Occidente, e prese il partito de' Latini, onde fu fatto Vescovo di Geraci in Calabria83. Ci lasciò molte sue opere, che compose contro Palamas, e contro i Monaci Quietisti da lui perseguitati ed accusati come rinovatori degli errori degli Euchiti, e sopra altri soggetti.

Scrisse un libro de Primatu Papae: De Algebra; ed altre insigni opere, delle quali l'Allacci, ed il Nicodemo tesserono copiosi Cataloghi84. Instruì molti dei nostri nelle discipline, e nella lingua greca e latina, e fu Maestro di Giovanni Boccaccio, di Paolo Perugino Giureconsulto e Prefetto della Biblioteca del nostro Re Roberto, di Leonzio Tessalonicense e di molti altri85.

In questi medesimi tempi fioriva in Otranto un monastero di Basiliani lontano da quella città non più che mille e cinquecento passi. Era dedicato a S. Niccolò, e i suoi Monaci professavano non men teologia, che filosofia, ed erano istruttissimi di lettere greche, ed alcuni anche di latine. Insegnavano la gioventù, e l'istruivano delle cose greche e della lor lingua. Vi andavano i giovani ad apprenderla da tutte le parti del regno, a' quali con somma liberalità, e magnificenza erano dati i Maestri senza mercede, domicilio e vitto: tanto che le discipline greche, che per la decadenza dell'Impero d'Oriente venivano a retrocedere e mancare, si sostentavano, e lor si dava per essi riparo in queste nostre parti. Narra Antonio Galateo86, che a tempo de' suoi grand'avoli, che vengono a punto a cadere nel regno di Roberto e di Giovanna, quando ancora Costantinopoli non era passata in man de' Turchi, fu fatto Abate di questo Monastero il celebre Filosofo Niccolò d'Otranto, nominato Niceta: questi vi rifece una famosa Biblioteca, e fece ricercare senza risparmio libri da tutta la Grecia d'ogni genere, e quanto più ne potè raccogliere, tutti fece trasportare nel suo monastero, e fra gli altri molti di Filosofia, e di Logica. Fu, per la sua saviezza ed integrità di costumi, adoperato dagl'Imperadori d'Oriente e da' Sommi Pontefici in varie Legazioni, i quali nelle contese fra di loro nate, o per causa di religione o di Stato, si servivano della di lui persona per comporle, e spesse volte era mandato e rimandato da Costantinopoli a Roma dall'Imperadore, e da Roma in Costantinopoli dal Papa. In discorso di tempo di questi libri, per negligenza de' nostri Latini, e per lo disprezzo e poca cura, che fu presso de' nostri delle lettere greche, alcuni ne furono trasportati a Roma, al Cardinal Bessarione, e quindi a Venezia; ed il resto fu poi tutto consumato e perduto per lo memorabil sacco, che i Turchi calati in Otranto diedero nell'anno 1480 in quella città e monastero e suoi contorni.

Roberto, oltre di favorire i Teologi, non trascurò ancora i Filosofi e'Medici87. Nell'Università degli studj di Napoli proccurò che insegnassero queste scienze i migliori Professori dell'età sua; e perchè altrove così queste, come l'altre facoltà non si potessero apparare, ma solo in Napoli, rinovò gli editti dell'Imperador Federico II, e proibì le Scuole nell'altre città del Regno88; pose in maggior osservanza i privilegi che il Re Carlo II suo padre aveva conceduto al Collegio degli studj di Napoli, li quali egli inserì in quel suo Capitolo, che comincia Universis, che abbiamo tra i suoi Capitoli, sotto il titolo Privilegium Coll. Neap. Studii. Poichè ne' suoi tempi la filosofia d'Aristotele, secondo il metodo prescritto dagli Averroisti, era nelle Scuole universalmente insegnata, e quella sola teneva il campo, posposti tutti gli altri antichi Filosofi, per le cagioni dette da noi altrove; e la medicina non altronde, che da' libri di Galeno era tratta; quindi Roberto ad imitazione di Federico II deputò Niccolò Ruberto famoso Medico e Filosofo di que' tempi, e gli fece fare una traduzione del Greco in Latino dei libri d'Aristotele di Filosofia, e de' libri di Galeno di Medicina, come ricavasi da' regali registri rapportati dal Summonte89.

Amò ancor Roberto, che la sua Corte e la sua Cancelleria fosse ripiena d'uomini dotti, ponendo sommo studio, che usassero in quella i più insigni letterati dell'età sua: il che, come ponderò assai a proposito il Costanzo90, si conosce ancora dallo stile, e frase de' suoi Capitoli e privilegi, che sono più culti, ed ornati di molte clausole oratorie, per quanto comportavano i suoi tempi, ne' quali l'eloquenza e l'eleganza dello scrivere, non era arrivata in quell'elevatezza, che abbiam veduta da poi a' nostri tempi, e dei nostri avoli. E benchè, come soggiunge questo Autore, di tutte le discipline gli piacesse meno dell'altre la poetica, desiderò nientedimeno grandemente d'aver appresso di sè il famoso Petrarca, e che, come si disse, gli dedicasse il suo poema dell'Affrica91. Amò per questa cagione, sopra gli altri Cortigiani suoi, Giovani Barrile, al quale diede il governo di Provenza e di Linguadoca, e Guglielmo Marramaldo, ambedue letterati, ed amici del Petrarca; ed il Petrarca92 e 'l Boccaccio93 scrivono, che nella vecchiaja pentissi di aver tenuto tanto poco conto de' Poeti, e riputava come suo infortunio d'essersi tardi avveduto delle bellezze ed artificj di quelli; ond'è che in vecchiaja si pose a comporre in rima delle virtù morali.

Ma chi nel Regno di Roberto, e negli anni tranquilli del Regno di Giovanna I sua nipote fiorissero sopra tutti gli altri, furono i nostri Giureconsulti, elevati sempre a' primi onori del Regno, ed in somma stima e riputazione avuti. Fiorirono nella Corte di Roberto sopra tutti gli altri Legisti Bartolommeo di Capua, e Niccolò d'Alife. Di Bartolommeo non accade qui ripetere quanto di lui, e sotto il Regno di Carlo II, e sotto quello di Roberto fu detto; fu egli esaltato ad esser G. Protonotario del Regno e suo intimo Consigliere, reggendosi ogni cosa col suo consiglio e colla sua penna: oltre averlo innalzato a' primi onori del Regno, gli donò molte terre e castella col titolo di Contado d'Altavilla. Bartolo94 famoso Giureconsulto di questi tempi lo cumula d'eccelse lodi, e dice che per le sue proprie virtù meritò, che fosse fatto da Roberto Gran Conte. Luca di Penna, Baldo95, Guido Pancirolo96, ed altri celebrano in mille luoghi le virtù e la dottrina di un tanto uomo. Ed Angelo di Costanzo97 fin da' tempi ne' quali egli scrisse quella gravissima e saggia sua Istoria, ponderò, che veramente le tante remunerazioni fatte, e da Carlo e da Roberto a questo insigne Giureconsulto, bisognava dire, che fossero un gran indizio della bontà e virtù di quell'uomo; poichè si vede, che senza mai perdersi per niuna di tante revoluzioni, che da quel tempo in qua sono state nel Regno, ancora durano ne' descendenti suoi, e sono state cagione di fargli maggiori, accrescendovi poi col trattare onoratamente l'armi, i titoli del Principato di Molfetta, e di Conca, e del Ducato di Termoli; e se vedesse a' dì nostri la sua stirpe accresciuta, oltre questi Stati, di altri maggiori, chiari argomenti, non già indizj avrebbe, non men della giustizia e della virtù, che della bontà di sì insigne Giureconsulto.

Niccolò Alunno della città d'Alife fu ancor egli uno de' nostri famosi Legisti, che fiorissero nel Regno di Roberto, e di Giovanna I sua nipote. Pier Vincenti nel Teatro de' Protonotarj del Regno, lo fa dell'istessa famiglia di Giovanni d'Alife, che nel 1262 sotto il Re Manfredi fu G. Protonotario del Regno. Fu egli sotto il Re Roberto Secretario e Notajo della sua Regia Cancelleria, e da poi fu creato Maestro Razionale dalla Regina Giovanna I, non già da Roberto, come credette il Costanzo: fu fatto G. Cancelliere del Regno, mancato che fu il Vescovo Cavillocense, e l'esercitò fin alla sua morte, che accadde l'ultimo di dicembre dell'anno 1367. Giace sepolto in Napoli nella chiesa dell'Ascensione fuori la Porta di Chiaja, ch'egli in vita avea edificata a' Monaci Celestini, ove si vede il suo sepolcro con lunga iscrizione, rapportata anche dall'Engenio nella sua Napoli Sacra98 Ebbe in dono dal Re alcune Terre nella provincia di Bari, che lasciò a' suoi figliuoli, uno de' quali da Urbano VI nell'anno 1284 fu promosso al Cardinalato, detto perciò il Cardinal d'Alife99. Non abbiamo di questo Giureconsulto, che lasciasse di se memoria per qualche opera legale, che avesse composta, siccome abbiamo di Bartolommeo di Capua, d'Andrea d'Isernia, di Niccolò di Napoli, di Luca di Penna, e d'altri suoi coetanei.

Fiorì ancora nel Regno di Roberto, e più in quello della Regina Giovanna sua nipote il famoso Andrea d'Isernia. Per la sua profonda dottrina legale, e particolarmente in materie feudali, fu nel Regno di Carlo II padre di Roberto fatto Avvocato fiscale, e poi Giudice della G. C., indi da Carlo istesso creato Maestro Razionale della Camera de' Conti: ufficio, come fu detto, in que' tempi di grande autorità: a cui donò ancora molte Terre, e fece altre remunerazioni. Roberto suo figliuolo lo mantenne nel medesimo posto di Maestro Razionale ch'esercitò per molti anni, sino che, morto Roberto, dalla Regina Giovanna non fosse stato innalzato ad esser suo Consigliere e Luogotenente della Camera Regia; Tribunale ove egli avea menati molti suoi anni in qualità di M. Razionale.

Alcuni seguitando gli errori del Ciarlante100, credono contro ciò che fu a noi tramandato dagli antichi Scrittori, che Andrea sin nel Regno di Carlo I avesse cominciate le sue fortune, e fosse stato da lui creato Avvocato fiscale; e soggiungono, che dalla Regina Maria sua moglie, da Avvocato fiscale fosse stato fatto suo Consigliere e Maestro Razionale: ancorchè fosse costante presso tutti gli Autori, che e' morisse vecchio in età di settantatrè anni, lo vogliono con tutto ciò morto di morte naturale nel 1316 nel Regno di Roberto, non già nel 1357 nel Regno di Giovanna di morte violenta; imputando quella morte non già a questo Andrea, ma ad un altro Andrea suo nipote figliuolo di Roberto suo figliuolo, che, com'essi dicono, dalla Regina Giovanna fu parimente creato Luogotenente della Regia Camera, siccome suo avo fu creato da Roberto.

Questa opinione, oltre essere stata con manifesti argomenti confutata dall'incomparabile Francesco di Andrea in quella sua dotta disputazione feudale101, è contraria a tutta l'istoria, e si convince favolosa per più ragioni. Primieramente, ciò che si narra della sua moglie, de' figliuoli e delle dignità, che costoro avessero avute dalla Regina Giovanna, è tutto favoloso, siccome fu dimostrato dal Vescovo Liparulo, che con molta diligenza ed esattezza tessè la vita di questo Giureconsulto. II se si voglia far Andrea Avvocato fiscale nel Regno di Carlo I, bisognerà dire, che fosse stato egli Dottore più antico di Bartolommeo di Capua, ciò ch'è falso. Bartolommeo fu non pur coetaneo di Bartolo, ma autore più antico di lui: Bartolo che nelle sue opere fa di questo Giureconsulto onorata memoria, morì in Perugia, secondo pruova Baluzio102 nel 1357 di 46 anni103, ventinove anni da poi della morte di Bartolommeo, il qual, come si è veduto, morì nel 1328. All'incontro Andrea fu coetaneo di Baldo, ebbe con lui dispute in materie feudali, dove Baldo restò vinto: furono poco amici, nè Baldo si ritenne dal malmenarlo, trattandolo da vario ed incostante, e che ora inchinava a destra, ora a sinistra104. Ed è a tutti noto, che Baldo fu discepolo di Bartolo, e visse molti anni appresso; ed anche, se si voglia seguitar Osmano, morì nel 1400: poichè, secondo vogliono altri105, egli morì nel 1420 di età già decrepita, dopo avere per cinquantasei anni letto in Bologna ed in Pavia il jus civile. Donde si vede quanto di gran lunga vada errato il Consigliere de Bottis, il quale scrisse aver egli in un antico Codice d'Andrea d'Isernia letta una postilla a penna, mano di Bartolommeo di Capua; poichè tralasciando esser cosa molto difficile, che de Bottis dopo 250 anni, che egli scrisse, avesse potuto renderci testimonianza, che quella postilla fosse stata scritta di propria mano di quel Giureconsulto, si vede ancora essere affatto inverisimile, che un uomo sì grande ne' tempi del Re Roberto, per la cui autorità egli governava il tutto, avesse voluto scrivere postille ne' Commentarj d'Andrea, Dottore allora presso di lui di niuna, o di poca stima; oltrechè dicendo il medesimo de Bottis, aver veduta tal nota a penna ad Isernia, par che supponga che il libro d'Isernia fosse impresso, il che, se così fosse, non poteva quello essere stato in mano di Bartolommeo, di cui ne' tempi la stampa non per ancora era stata introdotta in Italia. III il voler fissare la morte d'Andrea nell'anno 1316, e per conseguenza prima di Bartolommeo di Capua, per riportarlo in dietro a' tempi di Carlo I ripugna a' più antichi monumenti, ed alle opere istesse di quello Giureconsulto. Abbiamo alcune note del medesimo, fatte a' Capitoli, del Re Roberto, istromentati per mano di Giovanni Grillo Viceprotonotario del Regno; questi dopo la morte di Bartolommeo esercitò quest'ufficio; poichè durante la vita di quello, che fu Protonotario, i Capitoli erano dettati da lui e non da Grillo. Abbiamo ancora che quest'istesso Andrea, nel proemio delle note, che fece sopra le nostre Costituzioni del Regno106, parlando d'Innocenzio III autore della Decretale Cum interest, scrisse, che questo Papa era morto, erano già cento e più anni, allegando le Cronache, che disse potersi in ciò allegare per pruova della verità: avendo dunque egli esattamente vedute le Cronache, avea certamente trovato, che Innocenzio morì a Perugia nell'anno 1216 a' 16 di luglio; onde se nel tempo, nel quale Andrea scrivea, erano scorsi dal Pontificato d'Innocenzio cento e più anni, è chiaro ch'egli scrisse quelle note alle nostre Costituzioni dopo l'anno 1316. Di vantaggio in queste medesime note e nel proemio istesso, più volte allega Tommaso d'Aquino con titolo di Sunto: all'incontro nei Commentari de' Feudi compilati prima, allega questo Autore col solo titolo di Frate, come in più luoghi osservò Liparulo: Tommaso fu posto nel rollo de' Santi da Giovanni XXII nell'anno 1323; è dunque chiaro, ch'e' scrisse sopra le nostre Costituzioni dopo l'anno 1323.

Andrea adunque, ancorchè nato negli ultimi anni del Regno di Carlo I, verso il 1280, quattro anni prima della sua morte, cominciò a rilucere e dar saggio de' suoi talenti nel Regno di Carlo II suo figliuolo, da cui per lo profondo suo sapere e dottrina fu fatto Avvocato fiscale e Giudice della Gran Corte, ed indi Maestro Razionale della Regia Camera. Negli ultimi anni del suo Regno scrisse egli i suoi famosi Commentarj sopra i Feudi; e le note sopra le Costituzioni del Regno le compose sotto il Re Roberto, intorno al 1232, siccome dimostra lo scrittor della sua vita107.

Baldo suo emolo, scorgendo qualche varietà ed incostanza d'opinioni tenute da lui ne' Commentari dei Feudi, che poi variò nelle Costituzioni, non potendo negare la profondità della sua dottrina, l'incolpava di questo vizio; ma non men Liparulo, che l'incomparabile Francesco d'Andrea ne penetrarono l'arcano ed il mistero. Il Re Roberto tutto preso d'amore verso Bartolommeo di Capua, non vedendo per altri occhi, nè reggendo il suo Regno che per i consigli di lui, attese sopra tutti gli altri ad ingrandirlo: Andrea non era ugualmente guardato, nè secondo il suo merito premiato; sotto il Regno di Roberto egli si trovò Maestro Razionale, e così vi rimase, ed in quest'istesso posto continuò in tutti gli anni di Roberto, carica conferitagli da Carlo suo padre, e nella quale l'avea Roberto confermato; all'incontro tutti gli onori erano del Capua, di che ardendo d'invidia Andrea, vedendo il suo emolo innalzato, e lui depresso, non potendo prender del Re altra vendetta, cominciò co' suoi scritti almeno ad abbassare le sue ragioni Fiscali, e quanto ne' Commentari de' Feudi, che compilò sotto Carlo II fu Regalista, altrettanto poi nelle note alle nostre Costituzioni, che compose nel Regno di Roberto, fuvvi avverso e contrario. Moltissimi documenti ed esempj di questo suo animo esasperato possono leggersi presso Liparulo108, e presso il Consiglier Francesco d'Andrea109. Ed osservarono questi Autori, che ne' Commentarj de' Feudi, sempre che l'accadea far menzione (ciò che fece molto spesso) di Re Carlo I e II, non gli nominò, se non con elogi; all'incontro, scrivendo sotto Roberto le note sopra le Costituzioni, ancorchè avesse avuto ben cento occasioni, ed alcune volte necessità di allegarlo, non ci si potè mai indurre di nominarlo; tanto che Matteo d'Afflitto110, parlando d'Andrea, pien di maraviglia ebbe una volta a dire: Et satis miror, quod non alleget Capitulum Regis Roberti, cum ipse fuerit eo tempore, et usque ad tempus Reginae Joannae I. Ed avendo una sola volta per dura necessità dovuto nominare quel Re, che a' suoi tempi fu riputato un altro Salomone, non fu d'altra maniera chiamato, che come un uomo del volgo, senza elogio, ancorchè scrivesse vivente Roberto, ivi: Et fuit determinatum in Consilio, quando Rex Robertus erat Vicarius patris sui111.

Ma morto Roberto nell'anno 1343, e succeduta al Reame Giovanna sua nipote, non avendo altro competitore, gli fu facile entrare per la somma sua dottrina in grazia della medesima, dalla quale fu inalzato al posto di Luogotenente della Regia Camera, e fatto suo Consigliere; la qual carica continuò insino al 1353 anno della sua morte. Quando gli Scrittori moderni non ci portano se non leggieri indizi e deboli argomenti, non dobbiamo rimoverci da ciò, che lasciarono scritto gli antichi intorno a questa sua morte. Narrano questo infelice successo due autori gravissimi, che scrissero non più, che cento anni dapoi che avvenne, onde potevano averlo appreso da' loro maggiori: questi sono Paris de Puteo112, che fiorì sotto Alfonso I di Aragona e fu maestro di Ferdinando suo figliuolo, che gli successe al Regno, e Matteo d'Afflitto113, che scrisse i suoi Commentari a' Feudi sotto il medesimo Re Ferdinando, ciò che si ricava anche da' nostri registri; li quali scrissero, che avendo Andrea giudicato in una causa d'un Tedesco nomato Corrado de Gottis, contro il quale fu profferita sentenza, per cui gli fu tolta una Baronia che possedeva; questi fieramente sdegnato per la perdita, di notte accompagnato con alquanti suoi Tedeschi, mentre Andrea ritornava dal Castel Nuovo a sua casa, vicino porta Petruccia, l'assalì, dicendogli che siccome egli colla sua sentenza l'avea tolta la roba, così egli colle sue armi gli levava la vita; e da più fieri colpi de' suoi masnadieri fu miseramente ucciso. Ecco ciò, che di questo infelice successo ne scrisse Matteo d'Afflitto: Fuit autem interfectus praefatus Doctor insignis in civitate Neapolis die 11 octobris 12 Ind. 1353 etc. ed altrove: Et ego vidi privilegium Reginae Joannae I vindicantis mortem Andreae de Isernia ejus Consiliarii, occisi tarda hora noctis, dum veniret a Castro novo, prope Portam Petrutiam114 per quosdam Teutonicos, acriter condemnatos de crimine laesae Majestatis. La Regina contro gli infami assassini prese aspra vendetta: furono puniti con supplicj, pubblicati i loro beni, diroccate le loro case e sentenziati a morte, non altrimenti che se fossero rei di delitto di Maestà lesa, per la dottrina dell'istesso Andrea, il quale quasi presago del suo fato infelice, avea insegnato che colui, che uccideva il Consigliere del Principe, era reo di delitto di Maestà lesa, e dovea punirsi con tal pena.

Ci lasciò questo insigne Giureconsulto i suoi incomparabili Commentarj sopra i Feudi, che e' compose negli ultimi anni del Re Carlo II, opera nella quale superò se medesimo, e che presso i posteri gli portò que' elogi, e que' soprannomi Princeps, et Auriga omnium Feudistarum, Evangelista feudorum, e simili rapportati dallo Scrittore di sua vita. Sopra la qual opera i nostri professori impiegarono da poi tutti i loro talenti, ed acquistò tanta autorità, che faceva forza non meno che le leggi feudali medesime. Bartolommeo Camerario115 v'impiegò in leggerla ed emendarla quasi tutti gli anni di sua vita, ed egli stesso testimonia, che per lo soverchio studio che vi pose, ci perdette un occhio. Fu non solo appo noi, ma anche presso le nazioni straniere riputato il più gran Feudista, che avesse avuto l'Europa in que' tempi; confuse Baldo e l'obbligò in vecchiezza a darsi allo studio feudale116; e fu non meno da' nostri, che dagli esteri predicato per Principe de' Feudisti.

Scrisse ancora nel Regno di Roberto intorno l'anno 1323 e ne' seguenti, le nostre Costituzioni e sopra i Capitoli del Regno: compilò i Riti della regia Camera, e compose altre opere legali rapportate dal Toppi117 nella sua Biblioteca. Narrasi ancora aver composte alcune opere di teologia e di legge canonica, onde ne riportasse dagli Scrittori, che lo seguirono, i titoli di Excelsus juris Doctor, Theologus maximus, e di Utrisque juris Monarca.

Egli è però vero, che più per vizio de' tempi, nei quali scrisse, che per proprio fu nello stile barbaro e confuso, e senza metodo: ciò che diede occasione ad Alvarotto118 di dire, che fu egli commendabile più tosto per la abbondanza delle cose, che per lo metodo; e che il nostro Loffredo119 si lagnasse, che quelle cose, ch'egli avrebbe potuto trattare con più distinzione e chiarezza, l'avesse esposte così oscuramente, e con poco ordine.

Fiorì ancora negli ultimi anni di Roberto, e vie più nel Regno di Giovanna I sua nipote, un altro insigne Giureconsulto, quanto, e qual fu Luca de Penna. Fu egli coetaneo di Bartolo, come ci testifica egli medesimo nelle sue opere120: fu questo Dottore presso la Regina Giovanna avuto in gran pregio, e nelle cose legali riputato di grande autorità. Compose pienissimi Commentari sopra i tre ultimi libri del Codice 10, 11 e 12121; ma il soggetto che e' si pose ad adornare in que' tempi scarsi d'erudizione, e ne' quali non vi eran molte notizie delle cose romane, de' costumi ed istoria loro, cose tutte necessarie, per quel lavoro, lo fecero cadere in moltissimi errori: non deve però non riputarsi l'impresa degna d'un grande ingegno e di un grande ardire. L'ordine e lo stile, fu un poco più culto di quello che comportava la sua età, e secondo il giudicio di Francesco d'Andrea122, nel metodo di insegnare, e nella chiarezza si lasciò molto indietro Andrea d'Isernia. I Franzesi, non altrimenti, che i Germani tentarono per Pietro delle Vigne, cercarono di togliercelo, e volevano che fosse loro, e nato in Tolosa; ma egli è chiaro più della luce del giorno che fu nostro, e nato in Penna città d'Apruzzo, come Nicolò Toppi l'ha ben dimostrato nella sua Apologia. Nè i più gravi Autori franzesi ce l'han contrastato, fra' quali fu il celebre lor Papiniano Carlo Molineo123, che nella sua glosa parisiense, ed altrove lo chiama Partenopeo, cioè del Regno di Napoli.

Ad Andrea d'Isernia e Luca di Penna bisogna unire anche il famoso Niccolò di Napoli, di cui abbiamo alcune note nelle nostre Costituzioni e Capitoli del Regno. Fu questi Niccolò Spinello detto di Napoli, ma di patria di Giovenazzo, cotanto favorito dalla Regina Giovanna I. Fu Conte di Gioia e G. Cancelliere del Regno ed adoperato dalla Regina ne' più gravi affari di Stato, e quando fu eletto Papa Urbano VI fu da lei mandato a Roma a rallegrarsi col Papa della sua assunzione, ed a dargli ubbidienza124. Questi tre Giureconsulti furono da Camerario125 riputati di tanta autorità e dottrina, che non si ritenne di dire: Nos Andream de Isernia, Nicolaum de Neapoli, et Lucam de Penna, in nostri Regni juribus interpretandis, non aliter venerari, quam veluti humanam Trinitatem.

Fuvvi anche il Viceprotonario Sergio Donnorso M. Razionale della G. C. del quale abbiamo alcune chiose ne' Capitoli del Regno: scrisse anche, come disse, un Commento nelle quattro lettere arbitrarie, del quale fa egli menzione in detti Capitoli: fu egli Viceprotonotario, mentre era nel 1352 C. Protonotario del Regno Napolione Orsino. La famiglia Donnorso fu molto antica in Napoli, e diede il nome ad una delle porte delle città, detta negli antichi tempi Porta Donnorso, la qual era a piè del tempio di S. Pietro a Maiella, e fu poi trasferita presso la chiesa di S. Maria di Costantinopoli nell'ultima ampliazione della città126.

A costoro deve aggiungersi il Giudice Blasio da Morcone della famiglia Paccona: fu egli sotto il Regno di Carlo II discepolo di Benvenuto di Milo da Morcone, il quale, come si disse, fu Lettore dell'Università degli Studj; ed occupò la Cattedra di legge civile. Fece progressi maravigliosi in questo studio, tanto che poi da Roberto successore di Carlo, per la sua dottrina, fu nel 1338 creato suo Consigliere, famigliare e Cappellano. Fu parimente tenuto in somma stima da Carlo Duca di Calabria, il quale in tempo, ch'era Vicario del Regno, gli diede facoltà d'avvocare, e lo costituì Avvocato nelle province di Terra di Lavoro, Contado di Molise, Apruzzo e Capitanata, e ne gli spedì nell'anno 1323 lettere molto favorite, e ripiene di molti encomj e commendazioni127. Ci lasciò molte sue opere, fra le quali la più insigne fu il Trattato, che e' compose delle differenze tra le leggi romane e longobarde, ed i pieni commentarj sopra quelle Leggi. Marino Freccia128 ci testifica aver avuto egli quel Volume M. S. in poter suo, al quale sovente ricorre con citarlo. Questa opera ci ha resi certi, che in questi tempi le leggi de' Longobardi nel nostro Regno non erano ancora andate affatto in disuso. Ancorchè nell'Accademie d'Italia, ed in quella di Napoli le Pandette, e gli altri libri di Giustiniano fossero pubblicamente insegnati, e ne' Tribunali avessero cominciato a prendere forza e vigore, la loro autorità non fu tanta, che ne avesse discacciato affatto le longobarde, siccome avvenne nel Regno degli Aragonesi; nel quale pure, siccome nel Regno degli Spagnuoli, vi rimasero alcune reliquie, onde si diede occasione a Prospero Rendella di comporre quel suo libretto: In reliquias juris Longobardorum. Scrisse ancora alcuni altri Trattati, alcuni Singolari, le Cautele, e le Note sopra le nostre Costituzioni, e Capitoli del Regno129. Di queste sue fatiche gli Scrittori de' tempi, che seguirono, ne fanno onorata memoria. Francesco Vivio130 lo chiama uomo di grande autorità nel Regno, e spezialmente per lo suo Trattato delle differenze tra le leggi romane e Longobarde. L'Autore della Chiosa alla Prammatica Dubitationi, De termino citandi auctorem in causa reali, lo loda non poco; e tutti coloro, che han fatto studio sopra le di lui opere, di molti encomj lo cumulano. Fu coetaneo, e molto amico di Luca di Penna, com'egli stesso ci fa conoscere, scrivendo nella Costituzione Majestati nostrae, de Adulteriis, ch'egli d'un dubbio, che avea sopra quella Costituzione, andò a dimandarne parere da Luca di Penna, il quale, come e' dice, a me interrogatus sic de verbo ad verbum respondit, etc. Passò per qualche tempo, nell'avversa fortuna, la sua vita in Cerreto, e fu sempre grato al suo Maestro Benvenuto di Milo Vescovo di Caserta; confessando nel titolo de Aedificiis dirutis reficiendis, che da niente l'avea fatto, e ridotto in quello stato, in cui si trovava.

Fiorì con lui nel medesimo grado di Consigliere del Re Roberto Giacomo di Milo suo compatriotto: fu anche costui, per la sua dottrina e saviezza, da questo Re fatto suo Consigliere, e glie ne spedì privilegio, che si vede ne' Registri degli anni 1337 e 1338 lit. B fol. 28, onde Morcone, Terra del Contado di Molise, si rese in questi tempi celebre per tre suoi famosi Cittadini, per un dottissimo Vescovo, e due insigni Consiglieri, e Giureconsulti. Intorno a questi medesimi tempi rilusse Filippo d'Isernia celebre Legista, e Lettore della prima Cattedra del Jus Civile nell'Università degli Studj di Napoli, nell'istesso tempo ch'era Consigliere, e famigliare del Re Roberto, il quale lo tenne in tanta stima, che non solo lo fece suo Consigliere, ma nell'anno 1320 l'elesse per Avvocato de' Poveri, e poi del suo Fisco131. Fiorirono ancora Bartolommeo di Napoli, contemporaneo di Dino132, Bartolommeo Caracciolo, di cui si crede, che fosse la Cronaca pubblicata sotto il nome di Giovanni Villano, al sentire d'Agnello Ruggiero di Salerno133, ed alcuni altri rapportati dal Toppi, de' quali a noi rara ed oscura fama è pervenuta, per non averci di loro lasciate opere, nè altra memoria si ha de' loro scritti.

Di Napodano Sebastiano, che fiorì sotto la Regina Giovanna I, famoso Chiosatore delle nostre Consuetudini, a bastanza fu da noi detto nel libro precedente: morì egli nel 1382, e possiamo dire in lui essersi quasi che estinto presso noi lo studio della giurisprudenza. I tempi torbidi, e pieni di rivoluzioni, che seguirono e che per lo corso d'un secolo intero continuarono insino al Regno placido e pacato d'Alfonso I d'Aragona, fecero tacere presso di noi non meno la giurisprudenza, che l'altre lettere. Da Napodano insino a Paris de Puteo, Goffredo di Gaeta, e Matteo d'Afflitto, nel tempo de' quali cominciò ella a risorgere, non abbiamo Scrittore, che ci lasciasse di quella monumento alcuno. E vedi intanto in queste regioni le vicende della nostra giurisprudenza, e quanto ella debba a' favori de' Principi letterali, ed all'amore della pace.

Nel tempo del Re Roberto, e ne' principj del Regno di Giovanna sua nipote, nell'Accademie, e negli altri Stati d'Italia fiorirono tanti insigni ed illustri Giureconsulti; nè l'Accademia di Napoli, e la Corte de' suoi Re furono inferiori a quelle.

In questo decimoquarto secolo cominciò in Italia quasi un nuovo periodo alla ragion civile, e surse l'età de' Commentatori; poichè dopo Accursio niuno più con Chiose, ma con pieni Commentarj cominciarono i Giureconsulti di questi tempi ad illustrarla. Si distinsero nelle altre città d'Italia Bartolo di Sassoferrato, Baldo Perugino suo discepolo, Angelo fratello di Baldo, e poi Alessandro Tartagna, Bartolommeo Saliceto, Paolo di Castro, Giasone Maino, Cino, Oltrado, Pietro di Bellapertica, Raffael Fulgosio, Raffael Cumano, Ipolito Riminaldo, e tanti altri, i quali al Corpo della ragion civile aggiunsero nuovi Commentarj. Noi in niente avevamo di che invidiargli per li nostri celebri Giureconsulti, che vi fiorirono ne' medesimi tempi, Bartolommeo di Capua, Andrea d'Isernia, Luca di Penna, Niccolò di Napoli, e gli altri di sopra riferiti. E veramente, siccome confessano anche gli stranieri134, fu questa gran lode della nostra Italia, la quale sopra tutte le altre Nazioni in ciò si distinse. E quantunque per l'ignoranza dell'istorie, delle lingue, e dell'erudizione, ne' loro Commentarj sia molto che riprendere; nulladimanco ciò non dee imputarsi a lor difetto, ma al secolo infelice, nel quale scrissero. Ma ben lo compensarono colla perspicacia ed acume de' loro ingegni, e coll'ostinate e lunghe fatiche, in guisa che dove non eran assolutamente necessarie l'istorie e le lingue ovvero la lezione degli antichi, essi arrivarono, e diedero al segno col solo acume della ragione e della lor mente. Fu riserbato questo miglior rischiaramento al secolo seguente, quando, come diremo, per la ruina della città di Costantinopoli cominciarono a risorgere presso noi, ed a fiorire le buone lettere; e questo vanto pur deesi alla nostra Italia, e per la giurisprudenza, ad Andrea Aleiato di Milano, il quale in il primo a restituirla nel suo candore e pulitezza.

Ma siccome sotto il Re Roberto, stando il Regno in grandissima tranquillità, poterono i Cavalieri e' Baroni desiderosi d'acquistar onori e titoli, esercitar il loro valore nelle guerre, che fuori del Regno, ora in Sicilia ed in altre parti d'Italia, ora in Grecia ed in Soria si facevano, e servendo con molta virtù in presenza del Re, o de' suoi Capitani generali, meritare essere esaltati, ed arricchiti d'onorati premj, onde per questa via dell'armi sorsero le loro famiglie, le quali poterono mantenere il di loro splendore per molti secoli appresso: così gli uomini letterati e di governo servendo a' loro Principi, si videro esaltati a diversi, ed eminenti posti, ed adoperati in cose importantissime, de' quali insin'al dì d'oggi se ne vedono successori posti in altissimi gradi e titoli; ciò che ha fatto vedere, che non meno l'uso della spada, che della penna suol onorare, e far illustri le persone e le schiatte, e che questi soli siano i due fonti, donde ugualmente deriva la nobiltà e la grandezza nelle famiglie. Ma quando per la morte del savio Re Roberto senza figliuoli maschi, s'estinse la linea di que' Re potenti, e valorosi, e 'l Regno venne in man di femmina, tra le discordie di tanti Reali, che vi rimasero, e quelle arme, che fin qui s'erano adoperate in far guerra ad altri, a mantener il Regno in pace, ed in quiete, si rivolsero a danni e ruine del medesimo Regno; non pur ne nacquero mutazioni di Signorie, morti violente di Principi, distruzioni e calamità di Popoli. ma le discipline e le lettere tra i moti e dissensioni civili, vennero parimente a declinare; nè presso di noi risursero, se non quando, dopo tante rivoluzioni di cose, che saranno il soggetto de' seguenti libri, venne finalmente il Regno a riposarsi sotto la dominazione d'Alfonso primo d'Aragona, Re savio e magnanimo, che restituillo nella pristina sua pace e quiete.

78

Villan. lib. 11 hist. et lib. 12.

79

Petrar. rer. memor. lib. 23.

80

Boccac. in Genealog. Deor. lib. 14 cap. 9 et 22 et lib. 15 c. 13.

81

Petrarc. Rer. memorand. lib. 2. Sacrar. Scripturar. peritissimus: Philosophiae charissimus alumnus.

82

Costanz. lib. 6.

83

Alacci de Eccl. Occid. etc. lib. 2. cap. 17.

84

V. Alacci l. c. V. Nicod. in Addit. ad Bibliot. Toppi.

85

Boccac. Genealog. l. 5 c. 6. Nicod. l. c.

86

Galat. de Situ Japigiae.

87

Petrar. l. c. Philosophiae charissimus Alumnus: Orator egregius: incredibili Physicae notitia.

88

Cap. Robertus, etc. Grande fuit.

89

Summon. t. 2 l. 3 p. 411.

90

Costanzo lib. 6.

91

Boccac. Gen. Deor. lib. 15 cap. 13.

92

Petrarc. Rer. memor. l. 2.

93

Boccacc. in Genealog. Deor. l. 14.

94

Bart. in Auth. Presbyteros, C. de Episc. et Clericis.

95

Bald. l. properandum in fin. C. de Judiciis.

96

Pancirol. de Clar. II. interpr. l. 2 c. 48.

97

Costanzo l. 6.

98

Caesar. Engen. Nap. Sacra, p. 657.

99

P. Vincenti de' Protonot. Ciarlanto del Sannio l. 4 c. 29.

100

Ciarl. del Sannio l. 4 c. 24.

101

Andreys disp. feud. An fratres, etc.

102

Baluz. in Notis ad Vitas PP. Aven. to. 1 pag. 971.

103

Boxornius in Monum. vir. illustr. pag. 102. Pancirol. de Cl. inter lib. 2 cap. 67.

104

Lipar. in vita Andreae.

105

Arthur. Duck l. 1 cap. 5 § 15.

106

Andr. in prooem. Constit. 20 col. in fin.

107

Liparul. in vita Andreae.

108

V. Liparul. in vita Andreae.

109

Andreys in disp. feud. cap. I § 6 num. 33, 34.

110

Affl. in Constit. hostici, Cap. si Comes, aut Baro, numer. 26.

111

Andr. in Constit. Sancimus, de offic. Magistr. Justitiar. verb. miserabilium, in principio.

112

Paris de Puteo de Sindicatu, tit. de excessib. Consiliar. in fin.

113

Afflict. Com. in feud. Quae sint Regalia, § et bona, nu. 43.

114

Costanzo lib. 6 dice la Porta Petruccia essere stata tra la Chiesa di S. Giorgio de' Genovesi, e l'Ospedale di S. Gioachimo, il qual a' suoi tempi era dirimpetto a quella Chiesa.

115

Camer. cons. 371 post Cannetium.

116

Card. de Luca de emphyt. disc.

117

Toppi in Biblioth. De Jure Prothomiscos, seu de Jure Congrui. Super. auth. habita, ne filius pro patre. Et in primo Codicis.

118

Alvarot. in praelud. feud.

119

Loffred. in tit. Si contentio sit inter dom. et agn. § si quis per 30 in fin. fol. 31.

120

Luc. de Penna in l. unic. C. de his, qui se deferunt, lib. 10.

121

Vedi Toppi de orig. Trib. pag. 1 lib. 3 cap. 11.

122

Andreys disp. feud. cap. 1 § 8 num. 41 pag. 45.

123

Molin. glos. Paris. tit. de feud. in princ.

124

Costanzo lib. 6.

125

Camerar. tit an agnat. num. 152.

126

Pier Vincenti de' Proton. ann. 1352 pag. 90.

127

Ciarlan. lib. 4 cap. 26.

128

Freccia de Subfeud.

129

Conrad Gesnero in Bibliotheca. Autore dell'Indice de' libri legali. V. Toppi in Biblioth. pag. 40.

130

Viv. decis. 163.

131

V. Toppi in Biblioth. p. 400.

132

V. Gesner. in Biblioth. fol. 105. Toppi in Biblioth. fol. 40.

133

Aguel. Rug. Orat. Literar. Theatrum.

134

Arthur. Duck de Auth. etc. lib. 1 c. 5 § 15. Struv. de Hist. Jur. Justin. restaur. cap. 5 § 14.

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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