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8 – Prendersi: esercizi, scaramucce, perversioni (Realtà)

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«Sto tanto bene con te, mi piace toccarti tutta e desidero da tanto che anche tu mi accarezzi» disse Nicòle.

«Sei certa di volerlo? Desideri davvero un contatto più intimo?» disse Flora, mentre stavano abbracciate con le guance che si sfioravano.

«Sì. Lo desidero da mesi: voglio che mi tocchi anche tu!» poi aggiunse sussurrando «Lo so bene che mia madre non accetterebbe tutto questo, ma io non dirò mai niente. Io voglio solamente essere tua!» Flora sorrise e si lasciò finalmente andare, come si fosse sciolta da un legaccio, un blocco ne inibiva le emozioni. Era ora di raccogliere i frutti dei suoi segreti maneggi e della sua tenacia. La baciò ancora sulle labbra con complicità, e le sue mani iniziarono a muoversi. Scivolarono sotto lo spesso maglione e le cercarono le spalle, e si saziarono di quel corpo giovane tanto a lungo bramato. Dalle spalle scesero sui fianchi, poi, da sopra le calze scesero alle natiche, strette e sode. Conobbero le sue gambe, per poi risalire, strisciando i polsi sul pube, ma senza soggiornarvi... almeno per il momento.

Le carezze proseguirono di nuovo verso l'alto, tornando sotto la maglia e raggiungendo i piccoli seni appuntiti, sbocciati da poco e durissimi. Arrivate all’aureola rosa si fermarono e Flora fissò Nicòle con un sorriso di sfida; aspettava un permesso che non le fu negato. Allora sapientemente seppe pressare e tirare quelle collinette acerbe. Le circondava e le massaggiava; dopo averla baciata ancora si diresse, con la bocca, sulla maglia, sottoponendo i piccoli seni alla voracità delle sue labbra. Con l’alito tiepido oltrepassava la lana, inondando la ragazza di un calore nuovo e inebriante.

L’eccitazione divenne sogno quando, con movimenti voluttuosi, Flora fece scivolare verso l’alto sia la maglia che la canotta leggera, col contatto diretto delle labbra sui bottoni rosa, duri come madreperla.

La ragazza aveva il fuoco nel ventre. Il desiderio la rimescolava tutta, non sapeva come, ma voleva da quella donna tutto ciò che l’eros poteva offrire. Nicòle non poteva sapere che quella danza era solo l’insieme dei preliminari. Infatti, qualche minuto dopo, Flora si alzò, chiuse la porta a doppia mandata e le prese la mano. Scalze, come ninfe dei boschi, salirono al piano superiore dove c’era la camera da letto.

La fece stendere pressandola delicatamente, e poi si accovacciò sulla giovane, mettendosi a quattro zampe, come una cagna; intanto i seni sconfinati precipitavano sul collo e sul petto di Nicòle.

«Tesoro mio, adesso puoi guardare e toccare… tutto. Non ti devi più trattenere. È da tanto che lo desideravo, piccola mia.» Si scostò una ciocca con le dita. «Finalmente…» aggiunse, quasi commossa per l’estasi di quei momenti.

Allora Nicòle, con un gesto liberatorio, le aprì tutti i bottoni e lasciò che la veste scorresse via, lasciando la sua fata finalmente nuda, in tutta l’opulenza delle sue morbide forme: ora le si mostrava tutta davanti agli occhi vogliosi.

Cominciò a godere già solo a guardare le curve muliebri che aveva desiderato per mesi. La possedette con lo sguardo, come un bambino che diventa padrone del giocattolo che anela da tanto. Libera, Nicòle cominciò a tastare la donna, studiandone prima i seni, poi la pancia e i fianchi.

Flora indossava ancora le mutane bianche. Curiose di provare, le dita di Nicòle frugarono sotto l’elastico, voleva scoprire fin dove si poteva spingere oltre quella nuova frontiera della sensualità; cercò l’orlo e iniziò a sfilarle. La donna si abbandonò a quel piacere così fresco, e Nicòle, seguendo il suo corpo col tatto, ebbe l’occasione di esplorare tutta la sua carne, fino ai piedi, nudi e caldi, che tante volte aveva desiderato baciare. Ora, la grande dama era tutta nuda e tutta sua: che piacere inatteso!

Come un dono d’amore, anche la giovanetta si offrì:

«Prendimi anche tu, Flora, scoprimi, guardami e tocca tutto ciò che desideri di me, il mio corpo ti appartiene da tempo e tu trattami come fossi una cosa tua.»

L’adulta fu bravissima: le sue mani le sfilarono tutto, scorrendo sulla pelle e facendola vibrare. Languidamente le tolse le calze strappate, facendole scivolare sulle lunghe gambe da gazzella. Le dita leggere sfioravano i piccoli seni, che reagivano, autonomamente, a ogni sua carezza. Con fare materno sistemò la biancheria su un cuscino. In poco tempo, anche la ragazza venne completamente spogliata.

Per Nicòle, starle di fronte era come volare: vedere per intero il suo corpo, la faceva sentire sospesa in uno stato conturbante, mai provato prima.

Essere così nude fece sì che si fondessero in un abbraccio totale, ogni centimetro di pelle veniva a contatto, combaciando. Distese sul letto, le mani di Flora, immediatamente seguite dalle sue labbra, iniziarono quel viaggio passionale che mai più si sarebbe cancellato nei ricordi di Nicòle.

Le sue dita addosso erano come scintille, lava incandescente. Scivolavano, assetate di carne; appena dopo le dita, arrivava la bocca, umida di fiato e di saliva, sembrava fumare: una bava ardente lasciava, sul corpo ancora acerbo, emozioni mai provate. La scia evaporava subito, per la febbre dell’amore e procurava brividi di eccitazione incontrollabili. Nicòle era in trance. Viveva tutto come fosse in un’altra dimensione. Le sensazioni nuove erano intense, violente, eppure ovattate: come se la mente le vivesse sotto l’effetto della più inebriante delle droghe.

Finalmente, dopo il lungo peregrinare, le dita raggiunsero la piccola farfalla che, come appena sorta dal bozzolo, se ne stava immobile e contrita, in attesa che la natura le insegnasse a schiudersi al piacere. Ciò che sembrava l’apice insostenibile della goduria si rivelò solo l’alba del sentiero proibito, durante quell’accoppiamento, tremendo, innaturale.

La mano di Flora si dedicò al gioiellino della giovane Nicòle: la carezzava, la confortava… l’avvisava di tenersi forte, perché l’affondo stava per giungere. Infatti, pochi momenti dopo, la bocca carnosa discese implacabile, affamata. Ghermì la farfallina, violentandone le ali piene di rugiada, spaccandola fino al vertice con la lingua possente e decisa. La bocca tutta premeva; la lingua penetrava inarrestabile: come il canino di un vampiro assetato di miele. Flora penetrò nel sacello bagnato e, al tempo stesso, infuocato dalla passione.

Un suono osceno si sprigionava da quella scena erotica. La dolcezza aveva lasciato il posto all’ingordigia. Un fulmine elettrico, squarciante, luminoso, partì dal ventre di Nicòle e percorrendo ogni suo muscolo più recondito, raggiunse il cervello, facendola sobbalzare per l’emozione.

Un piacere mai provato, sconosciuto persino nelle notti solitarie in cui si martoriava il sesso. Flora le stette addosso con la stessa forza di un maschio che vuol possedere la preda conquistata. Pur senza deflorarla, la fece sua ripetutamente, forse in maniera ancora più veemente; marchiandola per sempre col suo peso e con le lettere infuocate del suo incontenibile desiderio. La infilò col medio, rigido, e poi anche l’indice riuscì a passarle dentro.

L’orgasmo… gli orgasmi di Nicòle iniziarono pochi minuti dopo quelle ondate di pressione, nella sua carne che si squassava. Dopo non fu possibile contarli, così come poi non sarebbe stato possibile contare i giorni d’amore e di piacere che avrebbero vissuto in seguito. Tutte quelle ore insieme le avrebbero trasformate in amanti indivisibili.

Quando Nicòle cercò di ricambiare, dirigendo la bocca verso i luoghi segreti della donna, Flora non le permise di raggiungerli. La ragazza si dovette accontentare di poggiarle la guancia sul ventre, mentre cercava di aspirare, vicinissima all’intimità della donna, tutto l’odore che ne sprigionava.

La sua amante le accarezzò la mano e, delicatamente, la guidò, così le concesse di avventurarsi dentro di lei ma solo con le dita. Nicòle cominciò a scavare e a rovistare, come fosse la padrona; sguazzava felice in quel mare di umori. Di nascosto, si leccava le dita, per riprendere subito dopo il suo ditalino. In pochi minuti anche Flora esplose, senza più controllo. Appena Nicòle capì che la sua istitutrice stava raggiungendo l’acme, cercò, con l’altra mano, la sua natura e si associò a lei nel novello piacere che, liquido e sonoro, la fece sciogliere… come se svenisse, in un lago peccaminoso. Godere insieme fu inconcepibile, iniziandole subito a una comunione che mai più si sarebbe potuta ignorare.

Per la giovane Nicòle, questa fu la prima, vera esperienza sessuale, e fu tutta al femminile. Andava ben oltre il semplice sesso; sfociava nell’emozione d’amore: un'emozione che mai, nella sua vita, sarebbe stata eguagliata. Per quanto piacere potesse mai assaporare, nessuna relazione avrebbe retto il paragone con quella prima, indelebile, avventura. Quel paio d’ore intense e travolgenti restarono impresse nei suoi ricordi come un livello di estasi ineguagliabile.

Spossata, si accucciò sotto il corpo della sua fata, dopo il sesso sfrenato, adesso, cercava l’amore incondizionato.

E si addormentò.

Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I

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