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4 – L’istitutrice: fascino e polso fermo (Realtà)

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Flora credeva di impazzire, tanto la situazione era divenuta insostenibile. Nonostante le promesse fatte a se stessa e alla madre di Nicòle, la presenza della ragazza era diventata troppo intrigante, eppure opprimente per lei. Il piacere che provava, a sentirsi osservata di nascosto da quella piccola troia, le rimescolava il sangue nelle vene e, appena la vedeva o la pensava, si ritrovava eccitata. Dal primo istante in cui Nicòle giungeva a casa, la sua parte più recondita iniziava a sbavare piacere; desiderava l’orgasmo per ore, mentre le sue guance avvampavano e sudava tra i seni. La voleva! E, naturalmente, alla fine restava frustrata dal “nulla di fatto” che, essa stessa, si era imposta solennemente. Avrebbe voluto sfogare su quel corpo delicato l’infinito desiderio.

Il primo giorno che Nicòle disertò le lezioni, Flora respirò e, dopo settimane di stress, le sembrò di riprendere il controllo della sua vita e della sua casa. Era diventata una piccola despota; una vera canaglia, quella sua principessa! Appena scoprì di poter comandare, iniziò a tiranneggiarla… (che meravigliosa sensazione)

Il secondo giorno s’immalinconì. Le mancava. Voleva essere maltrattata ancora da quell’impertinente spiona. Le mancavano i suoi occhioni che le fissavano le cosce… E sì che Nicòle aveva davvero esagerato: farsi trovare nuda, sul gabinetto, ancora bagnata.

Pensieri deliziosi l’avevano attraversata, come correnti galvaniche scintillanti; ma doveva comportarsi da adulta, responsabile. Doveva resistere!

Quella sera si decise e chiamò un suo amico, per dare sfogo al vulcano della libidine, ma l'uomo era già impegnato; il fatto che lui non potesse raggiungerla la rese ancora più furiosa.

Si frugò nell’intimità, meccanicamente, sul letto, ma il piacere la rese ancora più eccitata e incapace di vincere il desiderio di Nicòle. La sera del terzo giorno la fece finita: telefonò.

«Eppure ero certa che ti avesse avvisato» rispose Franca, perplessa «i giovani di oggi non hanno più nessun rispetto.»

«No, lasciala stare, sono ragazzi, magari qui da me si annoia. Purtroppo non ho vicini con ragazzi della sua età. La capisco poverina.» la giustificò Flora.

«Aspetta adesso la chiamo, vediamo come si sente.» Poi Flora, trepidante e impacciata, udì le voci lontane di Nicòle e della madre:

«Ma che ti salta in mente? Perché non hai avvertito Flora che stavi male?»

«Uffa, ma io non stavo bene, pensavo che glielo avessi detto tu.»

«Sei una gran maleducata. Adesso vai al telefono e scusati…» Seguirono altre parole che non fu in grado di sentire. Dopo poco arrivò Nicòle:

«Scusa!» esordì.

«E di che cosa, tesoro mio? Mi dispiace se sei stata poco bene» disse raggiante Flora «ma adesso come va?»

«Sto bene» continuò Nicòle, lievemente laconica, poi si sentì confabulare.

«Dice mamma: se non disturbo, posso continuare a venire da te?»

Flora non seppe dissimulare la gioia che le procurarono quelle parole, così con la voce rotta dalla trepidazione, rispose:

«Lo sai, Nicòle, ormai questa è casa tua. Devi decidere tu, se vuoi… che ci vediamo ancora.»

«Sì. Voglio venirci ancora» disse la giovane.

Il giorno dopo, quando entrò nella casa, un profumo fragrante di torta di mele e cannella la pervase. Flora le andò incontro e si abbracciarono senza parlare. Da allora però, non si sedette più sul pouf, ma sul divano, di fianco a Nicòle.

Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I

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